Miraggi

L'attore e il re

B. Traven

 

Capita raramente. Per fortuna. Ma una volta avvenne che un attore scegliesse un re come suo amico. O forse fu viceversa. Ma in fondo non c’è differenza.
I due erano onesti e sinceri amici. Litigavano e facevano la pace, come si usa in genere tra veri amici.
La loro amicizia durò due anni.
L’attore non fece più rumore su questa amicizia di quanto non avrebbe fatto su un’amicizia con qualsiasi altro mortale.
Un pomeriggio andarono a passeggio nel parco.
L’attore aveva recitato la parte di un re la sera prima. Ma non un re shakespeariano. Il direttore del teatro non li poteva sopportare. Perché i re di Shakespeare, nonostante il loro diritto divino, erano uomini del tutto ordinari che amavano e odiavano, assassinavano e regnavano… proprio come si addiceva ai loro scopi e alle loro intenzioni.
La parte del re nella commedia della sera prima, comunque, era stata scritta da un autore che a diciott’anni era anarchico, anche se poi era stato nominato Consigliere della Corona.
È comprensibile che questa parte avesse enormemente appagato il re e gli avesse offerto l’opportunità di conversare con l’attore riguardo al problema di mettere in scena un monarca.
“Qual è la sensazione che prova, caro amico, a recitare nelle vesti di un re?”.
“Sento di essere davvero un re, col risultato che sarei incapace di un gesto qualsiasi che non si addicesse al carattere di un sovrano”.
“Posso capirlo benissimo, la folla di comparse, che s’inchinano davanti a lei secondo le istruzioni del regista, conferma il suo senso di regale dignità e suggerisce al pubblico che lei è proprio un re”.
“Anche senza le comparse io rimango un re agli occhi del mio pubblico… anche se dovesse accadere che io fossi in scena da solo e recitassi un monologo!”.
Questa concezione grandiosamente artistica dell’attore spinse il re a formulare un paragone assolutamente riduttivo tra se stesso e il monarca teatrale.
“Eppure, rimane un abisso incolmabile tra un re vero e un re attore. Per quanto possa essere notevole la sua prestazione come re, lei cessa di essere un re appena il sipario cala. Suggestione e illusione drammatica mettono termine alla sua regalità appena smettono di agire. Mentre io, mio caro, rimango un re anche quando vado a dormire!”.
A ciò l’attore replico: “Mio caro amico, il suo paragone si applica a tutti e due. Proprio un momento fa siamo venuti in vettura fino ai cancelli di questo parco. Un sacco di gente si assiepava per la strada o ci rincorreva. Salutavano… e lei rispondeva al saluto. Urlavano a perdifiato: “Lunga vita al re!” e “Evviva”… lei sorrideva. Piuttosto compiaciuto. Ma se quegli individui smettessero mai di recitare la loro parte di comparse non retribuite, allora anche lei (e non solo nel suo letto, ma anche alla luce del sole) anche lei, amico mio, smetterebbe di essere un vero re!”.
Il re si fermò all’improvviso sui suoi passi.
Squadrò l’attore.
Le sue labbra si fecero esangui e cominciarono a tremare.
Di colpo girò sui tacchi.
S’incamminò svelto verso la vettura e se ne tornò a casa.
Da solo.
L’amicizia era finita.
Gli amici non si rividero più.
E mai più il re andò a teatro.
Divenne filosofo.
Divenne ossessionato dal pensiero di essere un mortale del tutto ordinario.
Di conseguenza, dovette abdicare.
Morì cinque anni dopo.
Con la mente sconvolta.
Si disse.

 

[1919]