Discorso sul luddismo
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George Gordon Byron
Contro il diffondersi del luddismo, all’inizio del 1812 il governo inglese decise di emanare il famigerato Frame Breaking Bill, legge che decretava la pena capitale per chiunque venisse giudicato colpevole di aver distrutto dei telai (reato che fino a quel momento era punito con la deportazione da sette a quattordici anni). La legge venne approvata a grande maggioranza da un Parlamento intimorito dall’estendersi della rivolta. Alla Camera dei Lord l’unica voce che si alzò in opposizione fu quella del poeta Lord Byron, che il 27 febbraio 1812 pronunciò un discorso divenuto storico.
Milordi, il soggetto sottoposto in questo momento per la prima volta alle Vostre Signorie, sebben nuovo per la Camera, non lo è certo pel paese. Questa controversia si era attirata la seria attenzione di ogni genere di persone, prima che venisse ventilata dai legislatori, il cui intervento in siffatta materia poteva soltanto esser veramente utile. Benché straniero non solo a questa Camera in generale, ma anche a quasi tutti coloro di cui oso implorare l’attenzione, la cognizione personale che ho delle sciagure della contea di cui si tratta, mi fa un obbligo di reclamare un po’ dell’indulgenza delle Signorie Vostre, per le poche osservazioni che ho da sottoporvi in materia alla quale, lo confesso, mi sento assai interessato.
Sarebbe superfluo l’entrare in minuti particolari rispetto ai torbidi occorsi: la Camera conosce già che, ad eccezione del sangue, oltraggi ed atti ostili di ogni maniera sono stati commessi, e che l’insulto e la violenza si sono esercitati sui proprietari delle macchine proscritte dai perturbatori, come su tutti coloro che avean con essi qualche attinenza. Nel breve tempo che ho passato nella provincia di Nottingham, dodici ore non iscorrevano senza che fierissimi atti non venissero compiuti; e il giorno in cui abbandonai la contea, seppi che nella precedente sera quaranta macchine erano state infrante, e senza resistenza, e senza che i malfattori venissero denunziati.
Tale era allora lo stato di quella contea, e tale ho ragione di credere sia anche adesso: ma ammettendo ferocissimi quegli atti, non si può negare ch’essi hanno la loro origine in una mala condizione, alla quale non potrebbe nulla paragonarsi. La perseveranza di quegli sciagurati nella loro colpevole condotta prova che non ci è voluto meno di una mancanza d’ogni agiatezza per sospingere una popolazione numerosa, laboriosa e onesta, fino a questo dì, a commettere eccessi così pericolosi per loro, per le loro famiglie e pel paese. Nel momento di cui ho parlato, la città e la contea erano ingombre di nuovi presidi, la polizia era in moto, i magistrati raccolti, nondimeno tutta quella solerzia delle autorità civili e militari non riusciva a nulla. Impossibile era stato l’arrestare in delitto flagrante un solo colpevole vero, contro il quale sapessero riunirsi le testimonianze necessarie a proferire una condanna. Non è a dire nondimeno che la polizia avesse poltrito; molti delinquenti erano stati accennati uomini evidentemente rei del delitto capitale della povertà, uomini rei di aver posto al mondo legittimamente parecchi figli che, grazie alle sciagure dei tempi, divenivano inetti ad alimentare. Una grave ingiuria è stata fatta ai proprietari di quelle officine. Quelle macchine riuscivan loro vantaggiose in quanto che rendevano inutile l’impiego di un certo numero di operai, i quali in conseguenza non potevan più che morir di fame. Coll’adozione di una specie di macchina particolarmente, un uomo solo compiva l’opera di molti, e gli altri rimanevano abbandonati. Osserviamo però che il prodotto di un tal lavoro era di qualità inferiore, che non poteva smaltirsi nel paese, e avrebbe potuto soltanto servire all’esportazione. Quegli articoli col gergo del commercio venivan chiamati tele di ragno. Gli artieri e la cecità della loro ignoranza, anziché rallegrarsi di quei perfezionamenti nelle arti sì vantaggiose al genere umano, si riguardarono come vittime immolate ai progressi meccanici. Nella loro follia immaginarono che l’esistenza e il ben essere della classe industriosa fosse un oggetto di maggior importanza dell’arricchimento di alcuni individui, conseguenza del perfezionamento negli strumenti del lavoro, che lasciano l’operaio senza collocamento. E deve confessarsi che s’egli è vero che l’adozione di un vasto sistema di macchine nello stato in cui si trovava il nostro commercio, non è gran tempo, ha potuto essere utile al padrone senza nuocere all’operaio, pure nella condizione attuale delle nostre fabbriche, allorché i prodotti delle manifatture infracidano nei magazzini senza speranza di esportazione, allorché v’è diminuzione eguale nelle domande di opere e di lavoratori, macchine di tal fatta non possono che materialmente aggravare la povertà e il malcontento degli sciagurati, di cui inutile diventa ogni industria. Ma tale povertà e i torbidi che ne conseguono hanno una causa più profonda. Allorché ci si dice che quegli uomini si collegano non solo per distruggere il loro benessere, ma anche i loro mezzi di sussistenza, possiam noi dimenticare che è la politica funesta, la guerra fatale degli ultimi diciotto anni che ha annientato il loro benessere, il vostro, quello di tutti? Tale politica, opera di grandi uomini che più non sono, è sopravvissuta agli estinti per flagello dei vivi fino alla terza e alla quarta generazione! Gli insorti non han distrutte le macchine se non quando esse son diventate inutili, peggio che inutili, se non quando son divenute un ostacolo reale all’acquisto del loro pane quotidiano. Stupirete voi quindi che in un tempo, come il nostro, in cui il fallimento, la frode, la fellonìa, trovansi fra persone poco al disotto delle Signorie Vostre, la parte inferiore e tuttavia più utile della popolazione dimentichi i suoi doveri nella sua nudità, e si renda soltanto un po’ meno colpevole di qualcuno dei suoi rappresentanti? Ma intantoché il colpevole di inclita progenie trovava mezzo di deluder la legge, forza è che nuove offese capitali siano create, che nuovi lacciuoli vengan tesi agli operai che la fame ha incitato al delitto. Quegli insorti non avrebber chiesto nulla di più che di poter zappare la terra, ma la zappa stava fra altre mani. Essi non avrebbero arrossito di mendicare, ma niuno si trovava per soccorrerli: i mezzi di sussistenza eran loro tolti, nessun altro lavoro si offriva, e i loro eccessi, sebbene condannabili e tristi, non possono sorprenderci.
Fu detto che coloro che possedevano le macchine annuissero alla loro distruzione. Se un’indagine riesce a provare ciò, è necessario che siffatti complici vengan puniti come autori principali del delitto. Ma io speravo che le misure proposte dal governo di Sua Maestà alla decisione delle Vostre Signorie avessero la conciliazione per base: o s’egli era troppo lusingarsi, che un processo informativo, una deliberazione qualunque sarebbe stata giudicata necessaria. Né io credevo che senza esame, senza investigazioni ci si avesse a chiedere di proferire avventate sentenze, di firmare ad occhi chiusi condanne di morte. Ma supponendo che quegli insorti non avessero alcun motivo di querelarsi, supponendo che i loro crucci, e quello dei loro signori, fossero del pari senza fondamento, che essi non meritassero alcuna grazia, quale imbecillità, quale dappocaggine han presieduto alle misure adottate per reprimere lo scandalo! Se si volevano far intervenire le milizie, era egli necessario il rendere tale intervento ridicolo? Finché la diversità delle stagioni lo ha permesso, la campagna d’estate del maggiore Sturgeon è stata parodiata, e tutte le operazioni civili e militari sembrano aver avuto a modello quelle del prefetto e della corporazione di Garatt. Quante marce e contromarce da Nottingham a Bullwell, da Bullwell a Bauford, da Bauford a Mansfield! E allorché infine i battaglioni son giunti al loro destino con tutto l’apparecchio della guerriera pompa, essi sono appunto giunti a tempo per esser testimoni del male che era stato fatto, per appurare l’evasione dei colpevoli, per raccogliere la spolia opima delle macchine infrante, e rientrar quindi nei loro quartieri fra i sogghigni delle vecchie e gli scherni degli adolescenti. Ora sebbene in un paese libero si possa desiderare che i nostri soldati non sian mai un oggetto di spavento, almeno per noi, io non veggo perché s’abbiano a porre in condizioni in cui non possono essere che ridicoli. Siccome la spada è il peggiore strumento che possa adoprarsi, così deve esser l’ultimo. In questa circostanza è stato il primo, ma fortunatamente è rimasto nel fodero. È vero che la misura attuale lo farà uscire. Nondimeno se opportune assemblee si fossero congregate al principio di quei commovimenti, se i lagni di quegli operai e dei loro padroni (perocché questi ultimi pure avevano di che lagnarsi) fossero stati imparzialmente pesati ed equamente discussi, io credo che si sarebbe trovato modo di ridur quegli uomini ai loro lavori e ristabilir l’ordine nella contea. In questo momento la contea soffre pel doppio flagello di eserciti oziosi e di una popolazione affamata. In quale stato di apatia siam noi dunque rimasti assorti per tanto tempo, che sia ora la prima volta che la Camera è stata ufficialmente avvertita di quelle commozioni? Esse avvenivano a 130 miglia da Londra, intantoché noi, «buona gente, nella sicurità della nostra grandezza», tranquillamente ci occupavamo a goder dei nostri trionfi in terre forestiere, in mezzo alle domestiche calamità. Ma tulle le città che voi avete prese, tutti gli eserciti che son fuggiti davanti ai vostri generali son tristi temi di rallegramento, se la discordia divide il vostro paese, e se v’è forza di inviare dragoni e carnefici contro i vostri concittadini. Voi chiamate quegl’insorti un volgo sfrenato, ignorante e pericoloso, e sembrate credere che il solo mezzo di far tacere la bellua multorum capitum sia quello di abbattere alcune teste! Ma il volgo ancora vien più facilmente ricondotto alla ragione colla mansuetudine, che coi castighi. Conosciamo noi tutte le obbligazioni che abbiamo al volgo? È il volgo che solca i vostri campi e serve nelle vostre case... che combatte sulle vostre navi e compone i vostri eserciti... che vi ha posti a tale di far fronte all’intero mondo, e farà fronte anche a voi, allorché la vostra noncuranza e la sciagura l’avran sospinto alla disperazione. Voi potete dar al popolo il nome di plebe, ma non dimenticate che è spesso il popolo che colla voce della plebe favella; né qui so astenermi dal notare con qual sollecitudine voi correte in soccorso dei vostri alleati infelici, abbandonando gl’infelici della vostra patria contrada alle cure della Provvidenza o... della parrocchia. Allorché i Portoghesi si videro agli estremi, mercé la ritirata dei Francesi, tutte le braccia vennero allungate, tutte le mani si apersero; dagli splendidi doni del ricco fino all’obolo della vedova, tutto fu prodigato per metterli in condizione di riedificare i loro villaggi e di risarcire i loro granai; e in questi momenti in cui migliaia dei vostri compatrioti traviati, ma in preda alla più orrenda miseria, lottano contro tutto ciò che la sciagura e la fame hanno di più spaventoso, la vostra carità, che pei lontani paesi si è mostrata, deve esser muta fra di voi? Una somma assai minore, la decima parte di quei benefizi che furono prodigati al Portogallo, quand’anche questi insorti non fossero potuti ritornare alle loro officine (ciocché non potrei ammettere senza disamine), avrebbe reso inutile il caritatevole ufficio della baionetta e del patibolo. Ma senza dubbio i nostri amici stranieri han titoli più numerosi alla nostra benevolenza perché si ammetta la possibilità di soccorsi domestici; e nullameno non mai necessità più incalzanti li hanno reclamati. Ho attraversato il teatro della guerra nella Penisola, ho visitato alcune delle più oppresse Provincie di Turchia, ma sotto il più dispotico dei governi infedeli non ho veduto miserie così orrende, come dopo il mio ritorno nel cuore medesimo di un paese cristiano. E quale riparo recate voi ad un tale stato di cose? Dopo mesi interi di inazione, o di una azione anche peggiore, viene alfine il grande specifico, la ricetta infallibile di tutti i medici dello Stato dai giorni di Dracone fino a noi. Dopo che si saranno tastati i polsi agli infermi scrollando la testa, dopo che si sarà ordinata l’acqua calda e la sanguigna di consuetudine, l’acqua calda della vostra polizia e la lancetta dei vostri soldati, codeste convulsioni debbono terminare colla morte, risultato inevitabile di tutti i Sangradi politici. Senza parlare dell’ingiustizia palese e della vanità certa del Bill, la pena capitale non è essa abbastanza prodigata nei vostri statuti? Non v’è bastante sangue sul vostro codice penale? Se n’ha a sparger altro perché salga al Cielo e attesti contro di voi? Come farete eseguire questo Bill? Porrete prigione tutta una contea? Innalzerete un patibolo in ogni campo per appendervi uomini a guisa di spauracchi? Ovvero (e sarà necessario), per adempiere a tal misura, procederete per via di decimazione? Metterete il paese sotto l’impero della legge marziale? Spopolerete tutta una terra per trasformarla in una vasta solitudine? Volete offrire in dono alla corona la foresta di Sherwood, e ristabilirla nella sua prima condizione di caccia reale e di asilo pei malfattori? Son questi i vostri rimedi ai mali di un popolo famelico e furioso? Credete che lo sciagurato, che per fame ha saputo affrontare le vostre baionette, si lascerà atterrire da una forca? Allorché la morte è un sollievo, il solo, pare, che voi consentiate di concedergli, i vostri dragoni li ricondurranno all’ordine? Quello che non poteron fare i vostri granatieri, lo faranno i vostri carnefici? Se bramate seguire le forme legali, dove saranno le vostre prove? Coloro che han rifiutato di accusare i loro complici, allorché la pena minacciata non era che la deportazione, non acconsentiranno certo a deporre contr’essi quando la pena è la morte. Con tutto il rispetto e la deferenza ch’io debbo ai nobili lordi del lato opposto, credo che alcune investigazioni, qualche esame, muterebbero le loro risoluzioni. Quel ritrovato sì caro ai diplomatici, tanto efficace in molte circostanze recenti, il temporeggiare, non sarebbe qui senza utile. Allorché una misura di emancipazione o di risarcimento vi è proposta, voi esitate, deliberate per anni ed anni; tenete a bada, ricorrete a mille stratagemmi, a mille vie impacciate; ma una legge di morte deve votarsi liberamente e senza pensare alle conseguenze! Io sono certo, da quello che ho veduto ed udito, che nelle circostanze attuali far passare questo Bill senza disamine, senza deliberazioni, sarebbe un unire l’ingiustizia allo sdegno, la barbarie all’indifferenza. Gli autori di un tal Bill debbono rassegnarsi agli onori di quel legislatore di Atene le cui leggi erano, dicesi, scritte non con l’inchiostro, ma col sangue. Ma supponiamo che un tal Bill sia adottato; supponiamo uno di quegli uomini, quali io ne ho veduti... smunti dalla fame, immersi in una cupa disperazione, incurevoli di una vita che le Signorie Vostre son forse per apprezzar meno di un telaio... supponiamo quell’uomo circondato dai figli suoi, ai quali non può dar pane neppure a rischio della sua vita, in procinto di vedersi strappato per sempre da una famiglia che la sua pacifica industria aveva fino allora sostenuta, e per la quale non può più far nulla... immaginiamo un tal uomo, e ve n’ha delle migliaia in tal situazione fra i quali potete scegliere le vostre vittime; immaginiamolo trascinato dinanzi a un tribunale per esservi giudicato per questo nuovo misfatto in virtù di questa nuova legge; ebbene, mancheranno ancora due cose, secondo me, per giudicarlo e condannarlo, cioè... dodici beccai per giurì, e un Jefferies per giudice!