Brulotti

I maestri non amano i bambini

 

Henri Roorda
 
La vita può continuare a lungo anche in condizioni molto sfavorevoli. Dopo settimane di siccità si vedono a volte spuntare dalle spaccature di un vecchio muro delle sorprendenti pianticelle, quasi rigogliose, nelle quali la pietra avara, dove cercano nutrimento, non è riuscita a soffocare l’ostinata voglia di vivere. Circa dieci anni fa incontravo spesso un disgraziato vecchio che ogni giorno, al momento propizio, andava a rovistare fra i bidoni dei rifiuti nei quartieri abitati da qualche prodigo borghese. Miseria e ubriachezza avevano ridotto quell’essere a una barcollante rovina. Ebbene, quell’uomo non è ancora morto. L’ho rivisto ieri: forse un po’ più malfermo nel passo, il poveraccio si dirigeva verso i suoi bidoni.
Queste tenaci piantine, quell’alcolizzato e tanti altri organismi parzialmente distrutti la cui caparbia volontà è di sopravvivere, danno ragione a quel padre di famiglia il quale, parlandomi della scuola insoddisfacente dove era stato costretto ad inviare il figlio, concludeva dicendo: «Nemmeno io ho avuto un trattamento migliore: ma non morirà per questo».
Non si può dargli torto: quali che siano stati gli sbagli commessi dai nostri educatori, non siamo morti per questo. Siamo ancora qui, a far parte della popolazione censita. Questa è la vera enormità!
Non soltanto i bambini sopravvivono al regime cui sono sottoposti ma, anche se ne soffrono, è in maniera assai poco visibile.
Il bene che viene loro impartito è meno ipotetico. Imparano a leggere, a scrivere, a far di conto. Inoltre, nel corso delle lezioni, acquisiscono varie nozioni, suscettibili di meravigliare la gente semplice.
D’altro canto, la scuola libera i genitori per cinque, sei o sette ore al giorno dalla preoccupazione di sorvegliare i figli. Fornisce lusinghieri attestati agli alunni diligenti. Infine, consegna ai giovani il diploma che permetterà loro di accedere all’apprendistato di una professione più o meno lucrosa. Pretendere di più non significa forse attribuire importanza eccessiva alle cose dello spirito?
Le scuole attuali possono dunque contare sull’adesione di numerose persone di buon senso e sull’approvazione tacita o distratta di molti cittadini che hanno problemi più urgenti, o perlomeno più interessanti, da risolvere che non la questione dell’istruzione pubblica. Poiché la maggior parte degli uomini non si interessa a ciò che riguarda i fanciulli. Non è d’altronde rassicurante l’ammirevole puntualità con la quale, ogni giorno alla stessa ora, insegnanti ed allievi riprendono la loro attività? Tutto si svolge con regolarità. Allo stesso modo con cui affidiamo le nostre lettere agli impiegati delle Poste siamo soliti affidare i nostri figli agli specialisti della pedagogia.
È probabile dunque che la scuola conserverà ancora a lungo le sue vecchie abitudini. Amministrata dallo Stato, essa è al riparo da ogni forma di concorrenza efficace. Da sola educa i continuatori della propria opera. Infine, insegnando ai giovani le sue verità, le sue virtù, la scuola plasma in misura notevole la capacità di giudizio di quelli stessi che in futuro potrebbero giudicarla.
Mi propongo di dimostrare che le scuole odierne sono inefficienti e che si potrebbero migliorare radicalmente se lo si volesse veramente, anche se mi affretto nello stesso tempo a riconoscere la fragilità della mia tesi.
Anzitutto, poiché l’insegnamento è il mio mestiere, ho sicuramente una idea inesatta del ruolo della scuola nella vita sodale. Interessandomi esclusivamente ai possibili effetti dell’educazione sulla condotta degli individui, trascuro le influenze di cui il medico. Io storico e l’economista saprebbero cogliere l’importanza essenziale. E poi, ammesso che l’insegnante possa esercitare un’azione decisiva sulla mente umana, in quale direzione dovrebbe agire? Non si può risolvere tale questione che con un sorriso.
Lo capisco bene: a sostegno dei miei argomenti non potrò chiamare alcun assoluto: dovrò accontentarmi di esprimere ciò che sento. Rinuncio quindi a proclamare al lettore la verità. Ah! Che peso di meno!
Parlando male della scuola d’oggi dovrò senz’altro esagerare; ne avverto lealmente il lettore. Anzitutto, parlando della scuola, ne elencherò soltanto i difetti. Non bisogna per questo dedurre che la vita vi sia intollerabile. Da venticinque anni vi trascorro ogni settimana dei momenti molto piacevoli. Coloro che vi insegnano sono brave persone; l’assurdità dei nostri metodi di insegnamento è attenuata dal buon senso e dalla bontà d’animo di quelli che li applicano, Gli insegnanti di mia conoscenza differiscono tutti più o meno dal tipo che io combatto e ve ne sono di quelli che non gli assomigliano affatto. Ciò non mi impedisce di affermare che I maestri non amano i bambini. Non li amano abbastanza perché non protestano contro il regime scolastico che li opprime. D’altro canto, personificando le odiose tendenze della nostra antiquata pedagogia, le combatterò con maggiore entusiasmo. E poi, avevo bisogno di un titolo.
Intendiamoci bene: non ho avuto, per un solo istante, l’intenzione di dipingere un quadro esatto e completo dell’istruzione pubblica attuale. Io protesto contro delle abitudini che odio e cerco di attirarvi l’attenzione di persone male informate: ecco tutto. Il lettore completerà egli stesso le mie affermazioni osservando : «Non tutte le scuole hanno quel tale difetto»; oppure: «Vi sono moltissimi scolari che non soffrono troppo per l’educazione che ricevono». Chi lo sa? Esistono magari dei ragazzi ai quali la scuola non cagiona alcun male. Ma i problemi da risolvere sono sempre più complessi di quanto si immagina.
Aggiungiamo che l’influenza della scuola non è la sola che i ragazzi subiscono. Ciò potrà spesso indurre in errore quelli che la giudicano con severità come coloro che la giudicano con troppo favore.
Insomma, i miei giudizi non faranno che rispecchiare il mio carattere. Se ci piacessero altre cose avremmo anche princìpi diversi; di solito, quando si lotta per un’idea, ci sforziamo semplicemente di propagandare il nostro modo di essere. Per fortuna, le mie inclinazioni sono al medesimo tempo le stesse di un buon numero di miei contemporanei. Nel combattere la pedagogia tradizionale non sono solo. E non avrei probabilmente concepito il progetto di scrivere questo libro se non fossi stato incitato dall’eloquenza di tanti scrittori antichi e moderni che hanno difeso il ragazzo contro la scuola. Nel reclamare un regime meno debilitante per gli scolari sono d’accordo con una minoranza ottimista, che non disprezza la natura umana e teme che il modellare troppo rigorosamente la vita esteriore dei giovani possa diminuirne la vita interiore.
Lo ammetto: la pedagogia indiscreta a cui non sfuggono più i ragazzi d’oggi può causarne un appassimento precoce senza costituire un pericolo imminente per la nostra razza.
 

Non porrò quindi obiezioni agli scettici e ai soddisfatti che mi diranno: «L’umanità ha visto ben altro». Ma coloro che accettano il nome di educatori non possono accontentarsi di questa prospettiva, e cioè che «i figli siano degni dei padri». Per definizione, devono credere in un futuro migliore realizzabile, in un possibile perfezionamento dell’essere umano. Negli educatori un certo idealismo è inevitabile. Ed è precisamente il disaccordo esistente fra i princìpi, che per decenza sono obbligati a proclamare, e le vecchie abitudini, che conservano, a costituire la forza dei loro avversari. Ogni anno, in un posto o nell’altro, davanti al pubblico bonaccione delle celebrazioni scolastiche, rassicuranti oratori enunciano con parole altisonanti i doveri dell’educatore. Ma costui, timido burocrate, inculcherà negli allievi il rispetto e la docilità che li spingeranno a fare sempre «come gli altri». E così, renderà ancora più incerto l’avvenire migliore verso il quale tendono i giovani.

 
[1917]