Intempestivi

Il solco

 

Cinque giorni. Solo 120 ore circa dividono gli scontri di Roma durante la manifestazione organizzata dagli "Indignati" da quelli scoppiati in piazza Syntagma ad Atene nel secondo giorno di sciopero generale. In entrambi i casi, chi vorrebbe farla finita con il mondo del denaro e dell'autorità – e preferisce alcune giornate da incappucciato ad una vita da incravattato – si è ritrovato a fare i conti non solo con gli sgherri in uniforme schierati a protezione dei loro padroni, ma soprattutto con gli ultimi difensori di uno Stato sempre più indifendibile: i cittadini, nella loro versione più sinistra e militante.
Sono loro che a Roma hanno cercato di mettere in riga chi non marciava a passo cadenzato, invocando ed applaudendo l'intervento delle forze dell'ordine. Sono loro che si sono precipitati a fare opera delatoria, consegnando alla magistratura le immagini catturate con le più disparate protesi tecnologiche. E sì, sono ancora loro che ad Atene si sono schierati a protezione del Parlamento, accogliendo coi propri manganelli i manifestanti più arrabbiati. È noto il seguito: scontri violentissimi, caccia al sovversivo, sotto lo sguardo divertito della polizia. Sono volate pietre, persino molotov, ed un volenteroso quanto volontario custode del Palazzo ci ha lasciato la pelle, stroncato dai gas lacrimogeni dispensati dai suoi colleghi in divisa. Il giorno dopo, qui in Italia, i colonnelli dell'esercito di riserva dello Stato hanno minacciato d'ora in poi adeguati servizi d'ordine per prevenire futuri incidenti. Mentre in Grecia le sedi del KKE – partito comunista, che assieme al sindacato PAME ha fornito uomini per proteggere Papandreou e la sua cricca – e i ritrovi del KNE (partito dei giovani comunisti, ormai ribattezzato KNAT) sono fatti oggetto di focosi ed impetuosi ringraziamenti.
C'è chi le chiama «lotte fratricide», da deplorare e da evitare. Non è così. Sono la conseguenza ovvia ed inevitabile della collisione di due tensioni non soltanto diverse, per di più contrapposte. Di fronte ad uno Stato che vacilla, c'è chi accorre per puntellarlo e chi per abbatterlo. Chi vuole ripulire il Parlamento dei politici indegni perché pensa che ne esistano altri più degni con cui sostituirli, e chi intende fare piazza pulita dell'intera baracca. Chi pensa che la libertà sia il frutto dell'esercizio di un potere assennato, equo, lungimirante, e chi pensa sia solo da coglioni insistere a praticare quella «ginnastica dell'obbedienza». 
Si tratta di due tensioni che attraversano tutta la storia e che, immancabilmente, nei momenti di intensa ebollizione, vengono ai ferri corti. Ciò è talmente risaputo da rendere patetici quei bardi della memoria storica, quella senza cui non ci sarebbe futuro, che oggi si trasformano all'improvviso in pubblicitari dell'oblio interessato.
Dopo che per decenni hanno ostentato un reciproco disprezzo, molti esponenti delle due anime di quel che per pura convenzione linguistica ci si ostina a definire "Movimento" da un po' di tempo a questa parte hanno iniziato a collaborare. Prima piccoli ammiccamenti, poi sporadici inviti, infine incontri allargati ed iniziative comuni. Turandosi il naso, le orecchie e talvolta pure gli occhi (ma saranno ancora vivi?), i riformatori di questo mondo e molti fra i suoi acerrimi nemici si sono dati un gran da fare per andare, se non d'amore, almeno d'accordo. Basta smetterla di tormentare le cicatrici del passato. Che Genova, tanto per dirne una, torni ad essere solo il nome di una città ligure. Che la geografia del conflitto insegni solo l'ubicazione di Chiomonte. 
Più la situazione si è fatta drammatica, più il baratro si è andato spalancando, e più sarà apparso assurdo perdere tempo a contarsi reciprocamente le differenze. Meglio aggrapparsi alle similitudini. Il nemico, per esempio. Si vuole o non si vuole farla finita con questo governo becero, razzista e militarista? E allora facciamolo tutti assieme, mettendo da parte l'ideologismo della teoria per dedicarci all'intelligenza della pratica. Se non si vuole rimanere immobilizzati in un isolamento rancoroso e compiaciuto, si deve iniziare ad agitarsi in una comunella compiaciuta e rancorosa. Occorre contaminarsi, per non rinchiudersi in un purismo identitario. Che gli autoritari scoprano la bellezza della decentralizzazione, che gli antiautoritari rivendichino le virtù repubblicane! Occhi negli occhi, maalox per maalox, zainetto in spalla, fra una zuppa sui binari e una schitarrata attorno al falò, ci si ritroverà tutti più vicini di quanto non si supponesse. Magari non compagni, ma di certo amici politici.
Dopo Roma, dopo Atene, questa allucinazione indotta sta per esaurirsi. Frantumata come la statua della Madonna appena esce dalle vallate piemontesi. Quando la situazione inizia a precipitare davvero, quando la partita volge al termine, si comincia a giocare a carte scoperte. Giunti a un certo punto, chi ha pensato con presunzione di poter fare affari coi banchieri forse ricorderà all'improvviso che esiste un legame indissolubile fra il pensiero e l'azione, che i mezzi non sono mai separati dai fini. Quando verrà denunciato dai suoi alleati occasionali, quando si troverà la strada sbarrata dalle guardie rosse, si renderà conto che nessuna stucchevole retorica potrà mai occultare l'abisso che separa la riforma dello Stato dalla sua distruzione. Il ceto politico di Movimento può anche affannarsi a ricoprire o almeno a ridimensionare il solco, ma è la materialità stessa della lotta che si sta incaricando di scavarlo.
Ogni giorno di più.
[22/10/11]