Macchianera

Idee vecchie

Un'idea esagerata di libertà

Giampiero N. Berti

Elèuthera, Milano 1994

  

Libro vecchio questo di Berti. Vecchio per l'idea che lo sostiene, vecchio per il metodo che propone, vecchio per il modo in cui è svolto, scritto perfino sottinteso. Il fatto è che il suo autore, malgrado la bella faccia pensosa che ama mettere in mostra nel risguardo di copertina, un cipiglio da miglior causa, è nato vecchio, intento come da sempre a guardare attentamente dove mette i piedi per non intralciare la sua carriera universitaria.

Detto questo verifichiamo insieme alcuni punti che non sono privi d'interesse. Berti ha la strana idea che l'anarchismo sia un'ideologia come le altre, anzi da collocare a metà strada tra liberalismo e socialismo, e che questo sedimentarsi dell'ideologia sia dovuto al pensiero dei pensatori anarchici. L'idea anarchica sarebbe, secondo il nostro illuminato professore, autonominatosi qualche tempo fa l'unico storico dell'anarchismo degno di questo nome, la somma delle idee dei teorici anarchici. Il movimento anarchico, da parte sua, sarebbe poi la realizzazione politica di alcuni aspetti di quelle idee, ma realizzazione prigioniera del più ampio processo storico che dall'illuminismo conduce alla concezione socialista della lotta politica.

Diciamo subito che non si capisce per quale motivo siano solo i pensieri dei pensatori a costituire la teoria anarchica e non anche le azioni degli anarchici, di tutti gli anarchici. Non si capisce cioè come, per un'ipotesi teorica che presuppone l'azzeramento di ogni distinzione di metodo, valga la regola generale che il pensatore pensa e l'uomo d'azione agisce, ognuno nella sua sfera e che queste sfere possano incontrarsi solo nel rapporto di causa (l'idea) e di effetto (l'azione). Tutto questo è infantile. Andando alla ricerca dei modi in cui quel pensamento si è realizzato, non si può non incontrare contributi che si sono realizzati nella parola scritta, accanto a contributi che si sono realizzati nell'azione. Partire dal presupposto che solo la teoria deve essere tenuta presente, cioè la teoria che si coagula nei libri, è non solo parziale ma filosoficamente autoritario in quanto presuppone un predominio della teoria sull'azione, una luce che la ragione dominante dovrebbe fare riflettere sull'azione dominata.

Ma questa ipotesi metodologica presuppone ben altre storture. Ad esempio l'ipotesi che la storia si svolga come movimento dell'idea, che i fatti si incasellino all'interno di un processo teorico di cui sono semplice conseguenza, mentre nel loro generale riassommarsi possono svolgere un compito, diciamo oggettivo da un punto di vista hegeliano, solo nell'eventualità in cui sono a loro volta capaci di sospingere profonde modificazioni nelle idee, in quello spirito del tempo che li riflette e, in questa riflessione, li conduce a produrre modificazioni anche nell'ambito delle idee.

Così, Berti non si rende conto che quando pone la contraddizione tra la rivoluzione anarchica e l'idea politica di rivoluzione, deve uscire, se vuole risolvere in un modo o nell'altro questa contraddizione, dal predominio del pensiero. Infatti, sul piano puramente teorico non c'è maniera alcuna di separare in maniera chiara l'anarchismo dall'ideologia anarchica, mentre praticamente l'intervento continuo nella lotta, l'individuazione di sempre nuovi e mai soddisfacenti livelli di attacco, con l'ipotesi ma non con la certezza della eliminazione definitiva di ogni potere, solo in questo c'è una possibile apertura verso l'abolizione della politica. In altre parole, l'estremismo della teoria, quindi l'assoluta realizzazione astratta della libertà nelle formulazioni di principio, non è, di per sé, assenza della politica se non come assenza stessa di ogni possibilità pratica di fare qualcosa per incidere nella realtà di tutti i giorni (che è anche, se non principalmente, condizione politica di rapporti di forza); solo nell'intersecarsi con la pratica, nel reciproco e continuo scambiarsi di teoria e pratica, quel superamento diventa possibile. E questo un osservatore deve registrare. Ma uno storico, specialmente uno storico professionista come Berti, può farlo?

Se l'anarchismo pone fine alla politica vi pone fine non perché ciò sia l'opinione dei suoi teorici, ma perché è nel suo farsi come teoria, quindi anche come pratica, che lo svolgimento di se stesso come processo di trasformazione coinvolge la distruzione della politica, e in quanto tale questa distruzione significa anche distruzione della storia e, pertanto, di qualsiasi costruzione teorica dell'anarchismo stesso che pretenda porsi come monumento all'imperscrutabile stupidità di tutti i fedeli dell'idea.

 

["Canenero", n. 15]