Noi non moriremo...

Intempestivi

Noi non moriremo precari!

È stato questo l’urlo di rivendicazione lanciato da un manipolo di studenti universitari contro la “Riforma Gelmini”, ovvero contro i previsti tagli a scuola e università; un urlo lanciato nel corso di una ben strana forma di “protesta”. Se una volta si occupavano scuole e università e si scendeva per strada, oggi si pratica un “flash mob” – moderna amenità di un triste presente – facendosi riprendere dalle telecamere, ligi alle direttive della società dello spettacolo.
Ma se le cose non si cambiano con uno spettacolino in piazza, è anche su un altro punto che bisogna soffermarsi a riflettere: la continua rivendicazione di lavoro.
Non passa giorno che non si venga bombardati da una informazione che propina storie lacrimevoli; storie che raccontano di onesti lavoratori che richiedono l’intervento delle forze dell’ordine pur di poter lavorare, di brave madri di famiglia licenziate e costrette a comprare meno vestitini alla moda ai loro figli. Si rivendica il diritto al lavoro non solo per poter far fronte alle primarie esigenze vitali ma, anche, per garantirsi tutto il futile di cui si è soliti circondarsi e non si è più disposti a fare a meno. Si chiede di lavorare per poter consumare, continuando così ad alimentare il perverso meccanismo capitalista che è la reale causa dell’attuale situazione di licenziamenti generalizzata. Il cane si morde la coda.

Fiori di maggio

Brulotti

Fiori di maggio

Gigi Damiani

— Per molti anni, o Maggio delle rosse speranze, noi abbiamo lasciati negletti i tuoi fiori di porpora che pure un giorno avevamo raccolto con religioso fervore – un giorno, quando il raccoglierli era «severamente proibito» – perché irrorati da una rugiada che era di sangue…
— …sangue dei nostri migliori…
— Ma quel «severamente» venne poi cancellato e, su quei fiori, invece di gocce di sangue – rugiada del disinteressato sacrificio – si rovesciarono i reciticci delle scampagnate festive.
— Perciò per molti anni li lasciammo negletti;
— peggio, lasciammo che essi fossero colti da tutti i ciarlatani politici che ne spremevano voti.

Il richiamo costante...

Contropelo

Il richiamo costante del nazionalismo

Fredy Perlman

Nel corso di questo secolo la morte del nazionalismo è stata proclamata a differenti riprese:
– dopo la prima guerra mondiale, con la frantumazione in nazioni autodeterminate degli ultimi imperi europei: l'Austriaco e il Turco; e con la fine di ogni nazionalismo ad eccezione di quello dei sionisti;
– dopo il colpo di stato bolscevico, quando fu proclamato che le lotte borghesi per l'autodeterminazione erano d'ora in avanti soppiantate dalle lotte dei lavoratori, i quali non avevano patria;
– dopo la disfatta militare dell'Italia fascista e della Germania nazionalsocialista, quando i genocidi interni al nazionalismo furono esibiti alla vista di tutti, quando fu considerato che il nazionalismo, come teoria e come pratica, era discreditato per sempre. Nondimeno, quarant'anni dopo la disfatta militare dei fascisti e dei nazionalsocialisti, possiamo vedere che il nazionalismo non solo sopravvive ma conosce una rinascita. Il nazionalismo è stato rimesso in essere non solamente dalla sedicente destra, ma, anche e prima ancora, dalla sedicente sinistra. Dopo la guerra nazionalsocialista, il nazionalismo ha cessato di essere una prerogativa dei conservatori ed è divenuto la teoria e la pratica dei rivoluzionari rivelandosi come il solo credo rivoluzionario che oggi si impone.

La guerra è un inferno...

Intempestivi

La guerra è un inferno! La pace è meglio?

Come probabilmente è noto a chiunque, la vita quotidiana in tempo di pace è mortale in tutto il mondo. Tante persone muoiono ma molte di più sopravvivono come morti viventi — vite senza speranze e desideri.
C’è un rapporto fra le morti in pace e le morti in guerra. Le morti in guerra sono destinate in parte ad insegnare ai sopravvissuti a tollerare le morti viventi in tempo di pace. I missili e le bombe dall’alto del cielo che lasciano solo sangue e cenere sono destinati ad insegnare a tutti noi che la resistenza è futile e che non c’è alcuna forza in grado di sfidare gli eserciti ed i governi.
Il loro potere è davvero impressionante. Ma faremmo bene a capire perché sono intenzionati ad usarlo per scopi così crudeli. Potremmo suggerire che i nostri dominatori stiano disperatamente cercando una via per mantenere le cose così come stanno — semplicemente, la salvaguardia del capitalismo nel mondo. La loro disperazione dipende dal fatto che l’ordine che desiderano preservare ha mostrato la sua necrosi e la "crisi" sociale politica ed economica è diventata permanente.

The Insurrection and Its Double

Ostrogoto [en]

The Insurrection and Its Double

In distinguishing true romanticism from sham, Victor Hugo observed how all authentic thought had a disquieting double on the watch for it, always lying in wait, always quick to interpose itself for the original. A character of astounding plasticity that plays on similarities in order to gather some applause on the stage, this double has the specific ability to transform sulfur into holy water and to make the most reluctant public accept it.

Benvenuti alle Murate!

Brulotti

Benvenuti alle Murate!

Mentre il governo e le leggi provvedono alla sicurezza e al benessere degli uomini riuniti, le scienze, le lettere e le arti, meno dispotiche e forse più potenti, spandono ghirlande di fiori sulle loro catene di ferro, soffocano in loro il sentimento di quella libertà originaria cui sembravano essere nati, fan loro amare la schiavitù in cui sono e ne fanno quel che si dice popoli inciviliti. Il bisogno innalzò i troni: le scienze e le arti li hanno consolidati.
Jean-Jacques Rousseau

 

I Signori ci tranquillizzano con immagini. Ci danno libri, concerti, gallerie, spettacoli, cinema.
Attraverso l’arte ci confondono e ci accecano nella nostra schiavitù.
L’arte adorna i muri della nostra prigione, ci tiene silenziosi e divertiti e indifferenti.

Jim Morrison

 

È una consapevolezza diffusa, nel tempo e nello spazio, fra i filosofi del passato come fra le rockstar del presente. Quando non è frutto di un sommovimento dal basso ma di una concessione dall’alto, cultura è sinonimo di galera, di negazione della libertà.

Qualche giorno di commemorazione

Intempestivi

Qualche giorno di commemorazione, una vita di rimozione

Il calendario di Stato è pieno di commemorazioni. Giorni in cui veniamo sollecitati per decreto regio a sforzare una memoria sempre più artificiale su avvenimenti a noi talvolta sconosciuti. I nostri occhi devono chiudersi su quanto mortifica quotidianamente le nostre vite, per spalancarsi soltanto su ciò che un tempo travolse le esistenze di altri. Manifestazioni, funzioni, celebrazioni, ci fanno ripercorrere a distanza di sicurezza quanto ci è stato insegnato sugli orrori del passato per farci sentire al riparo da ciò che sperimentiamo sulla nostra pelle nel presente. Le giornate della Memoria parziale e del Ricordo mistificato sembrano istituite solo per giustificare e riprodurre gli anni della Rimozione totale. Ogni 27 gennaio veniamo invitati a commemorare le vittime dell’Olocausto, i milioni di ebrei e non ebrei soppressi nei lager nazisti. Affinché simili tragedie non debbano ripetersi mai più, le autorità elargiscono onoreficenze ai sopravvissuti o ai loro parenti, inaugurano lapidi a perenne monito, finanziano Treni della Memoria che conducono i ragazzi a visitare il lager di Auschwitz. Tutte nobili iniziative.

Carlo Pisacane

Autopsia

Carlo Pisacane

Luigi Fabbri

Questo eroe dell’azione e del pensiero occupa un posto che non gli spetta nella storia contemporanea, almeno in quella storia conosciuta per tale dai più, illustrata ed insegnata nella nostre scuole e scritta nei libri che hanno maggiore diffusione. Ciò fa sì che di Carlo Pisacane si sappia da tutti il nome, da pochi la vera essenza; — da molti si sappia come visse, che cosa fece e come morì; da quasi nessuno come pensò, perchè agì e quale idea lo conducesse a morire sotto i colpi ignobili dei villani nei dintorni di Sapri.

Guerra, catastrofe, democrazia, prigione...

Fuoriporta

Guerra, catastrofe, democrazia, prigione — noi vogliamo la rivoluzione

In un tempo in cui le parole sembrano perdere il proprio significato, in cui il linguaggio del potere cerca di penetrare in tutte le nostre conversazioni, pensiamo sia ancora più indispensabile fare uno sforzo per parlare in modo chiaro. Finiamola di ripetere come pappagalli quel che dicono i giornali, che ci mostrano le televisioni, che i potenti vogliono farci credere. La questione non è volere ad ogni costo essere d'accordo, né convertire qualsiasi cosa, ma almeno parlare con la nostra bocca, coi nostri termini, coi nostri dolori e le nostre speranze.

 

L'inizio dei bombardamenti NATO contro le forze leali a Gheddafi in Libia ha segnato un passaggio fatale. Quella che senza dubbio era all'inizio un'insurrezione armata di una parte importante della popolazione contro il regime, a poco a poco si sta trasformando in una guerra militare. A parte alcune resistenze autorganizzate, che le autorità di ogni tipo definiscono «irregolari», l'insurrezione in Libia sembra essere degenerata in conflitto tra eserciti contrapposti. E allora non è a caso che gli «irregolari» laggiù siano stati sempre molto diffidenti di fronte all'«opposizione ufficiale» che ha copiato le gerarchie, i gradi, le strutture di comando dell'esercito di Gheddafi. Di fatto, la militarizzazione del conflitto ha affossato la possibilità di un rovesciamento radicale della società libica.

Was können wir mit dem Antifaschismus tun?

Ostrogoto [de]

Was können wir mit dem Antifaschismus tun?

Alfredo M. Bonanno

Faschismus ist ein Wort, das mit F beginnt und 10 Buchstaben hat. Menschen lieben es, mit Wörtern zu spielen, indem sie die Wirklichkeit zum Teil verstecken, sprechen sie sich von persönlicher Überlegung frei oder der Notwendigkeit Entscheidungen zu treffen. Das Symbol handelt an unserer Stelle, und stattet uns mit einer Flagge oder einem Alibi aus.
Und wenn wir ein "anti-" vor das Symbol setzen, handelt es sich nicht bloss um die Frage, gegen das zu sein, was uns vollständig mit Abscheu erfüllt. Wir fühlen uns sicher, dass wir auf der anderen Seite stehen und dass wir unsere Pflicht erfüllt haben. Die Zuflucht zum "anti-" gibt uns ein gutes Gewissen, und schliesst uns in ein wohlbehütetes und oft besuchtes Feld ein.

What can we do with anti-fascism?

Ostrogoto [en]

What can we do with anti-fascism?

Alfredo M. Bonanno

Fascism is a seven-letter word beginning with F. Human beings like playing with words which, by partly concealing reality, absolve them from personal reflection or having to make decisions. The symbol acts in our place, supplying us with a flag and an alibi.
And when we put ‘anti-’ in front of the symbol it is not simply a question of being against what absolutely disgusts us. We feel safe that we are on the other side and have done our duty. Having recourse to that ‘anti-’ gives us a clear conscience, enclosing us in a well-guarded and much frequented field.

Que faire de l’anti-fascisme ?

Ostrogoto [fr]

Que faire de l’anti-fascisme ?

Alfredo M. Bonanno

Le fascisme est un mot à sept lettres qui commence par F. Les gens aiment jouer avec les mots, qui en dissimulant en partie la réalité, les déchargent de toute réflexion personnelle ou de toute prise de décision. Le symbole agit à notre place en nous fournissant un drapeau et un alibi.
Et placer « anti- » devant le symbole n’équivaut pas à être absolument contre tout ce qui nous dégoûte. Nous nous sentons à l’aise de ce côté-ci, avec le sentiment du devoir accompli. Avoir recours à ce « anti- » nous donne une conscience claire, nous enfermant dans un domaine bien gardé, et très fréquenté.

Che ne facciamo dell'antifascismo?

Contropelo

Che ne facciamo dell'antifascismo?

Alfredo M. Bonanno

Il fascismo è una parola di otto lettere che comincia per f. L’uomo, da sempre, si è appassionato fino a morirne per i giochi di parole che, nascondendo la realtà più o meno bene, lo assolvono dalla riflessione personale e dalla decisione. Così il simbolo agisce al nostro posto e ci fornisce un alibi e una bandiera.
Quando al simbolo che non intendiamo sposare, che anzi ci fa schifo profondamente, applichiamo la paroletta “anti”, ci consideriamo da quest’altra parte, al sicuro, e pensiamo di avere assolto con questo a una buona parte dei nostri compiti. Così, poiché alla mente di molti di noi, e chi scrive si annovera fra questi, il fascismo fa schifo, è sufficiente il ricorso a quell’ “anti” per sentirsi a posto con la coscienza, racchiusi in un campo ben guardato e ben frequentato.

L'inganno democratico

Brulotti

L'inganno democratico

Immagine

Aldo Aguzzi
 

L'inganno democratico è di quelli che assumono i più seducenti aspetti, che fanno presa in un infinito numero di cervelli e che, perciò, rendono aspra e lenta la fatica per liberarsene.

 

Lo Stato Democratico, mentre dà al popolo l’illusione di esser lui a comandare, crea il servizio militare obbligatorio, moltiplica le tasse, escogita nuovi codici che col pretesto di far la legge uguale per tutti legano il cittadino con un’infinità di catene da capo a piedi. Anche ciò che sembra una nuova conquista della libertà, sotto un governo democratico, si concreta in una nuova legge, cioè in un obbligo di più pel cittadino che mai come ora fu un suddito. Mai l’individuo fu strumento così impotente dello Stato, mai lo Stato così ciclopico, così complesso, triturante e soffocante. Sì, lo Stato Democratico elargisce al cittadino facoltà di critica, perfino... d’insulto. «Insultami, ma obbediscimi!».

Guerre, catastrophe, démocratie, prison...

Ostrogoto [fr]

Guerre, catastrophe, démocratie, prison - nous voulons la révolution

Dans un temps où les mots semblent perdre leur sens, où le langage du pouvoir cherche à pénétrer dans toutes nos conversations, nous pensons d’autant plus indispensable de nous efforcer de parler clairement. Arrêtons de répéter comme des perroquets ce que les journaux nous disent, ce que les télévisions nous montrent, ce que les puissants veulent nous faire croire. La question n’est pas de vouloir à tout prix être d’accord, ni de convertir qui que ce soit, mais d’au moins parler avec notre bouche, avec nos mots, avec nos douleurs et nos espoirs.

 

La guerre ou... la révolution

Le début des bombardements effectués par l’OTAN contre les forces loyales à Kadhafi en Libye a marqué un passage fatal. Ce qui sans aucun doute était au début un soulèvement armé d’une importante partie de la population contre le régime en place, est petit-à-petit en train de se transformer en une guerre militaire. A part des poignées de résistances auto-organisées, ce que les autorités de tout bord appellent des « irréguliers », le soulèvement en Libye semble avoir dégénéré en conflit entre armées opposées. Et ce n’est alors pas pour rien que les « irréguliers » là-bas ont toujours été très méfiants vis-à-vis « l’opposition officielle » qui a copié les hiérarchies, les grades, les structures de commandement de l’armée de Kadhafi. De fait, la militarisation du conflit a enterré la possibilité d’un bouleversement radical de la société libyenne.

Alla corte dell'atomo

Contropelo

Alla corte dell'atomo

T. Fulano

L'apparente controversia a proposito dell’utilizzo del nucleare non costituisce in realtà materia di dibattito: essa rispecchia la sottintesa questione del potere sociale. La storia della scoperta dell’atomo rende tutto sufficientemente chiaro.
Sviluppatosi all’inizio come arma da guerra sotto la coltre del segreto militare, poi attraverso sforzi coordinati che obbedivano ad enormi interessi industriali, il nucleare non era mai stato oggetto di pubblico dibattito prima che l’intera società non si fosse pesantemente compromessa con esso.
Negli anni 40 una opposizione dichiarata si sarebbe attirata le accuse di tradimento e, malgrado la fine della cosiddetta Guerra fredda, la tecnologia nucleare come le sue sostanze sono ancora oggi considerate una questione strettamente legata alla sicurezza dello Stato.

Un onorario inadeguato

Miraggi

Un onorario inadeguato

Ambrose Bierce

Un bue incapace di tirarsi fuori dal pantano in cui stava sprofondando fu consigliato di servirsi di un Appoggio Politico. Quando arrivò l’Appoggio Politico il Bue disse: «Mio caro amico, per favore lanciami una corda e lascia che la natura faccia il resto».

Anarhistička tenzija

Ostrogoto [hr]

Anarhistička tenzija

Alfredo M. Bonanno

No, svaki je put potrebno započeti razgovor upravo ovim pitanjem: što je anarhizam? Mada sa samo nekoliko riječi. Zašto? Ovo pitanje obično ne susrećemo glede ostalih polja života, ostalih aktivnosti, svih ostalih misli. Tko se definira ili se nečim smatra zasigurno poznaje to nešto.

Ali, anarhisti stalno postavljaju taj problem: što je anarhizam? Što znači biti anarhist? Zašto? Zato što to nije neka definicija koja se jednom postavljena može čuvati u sefu, staviti sa strane i smatrati nekakvim kapitalom iz kojega možemo crpsti malo pomalo. Biti anarhist ne znači dostići nekakvu izvjesnost, ne znači reći jednom zauvijek: »Eto, ja, napokon, od ovog trenutka posjedujem istinu i kao takav sam, barem glede ideje, povlašten.« Tko razmišlja na takva način, anarhist je samo na riječima. Anarhist je naprotiv onaj tko realno sumnja u sebe kao anarhista, kao osobu, i pita se: »U kakvom je odnosu moj život s onim što radim i s onim što mislim? Kakvu vezu uspijevam svakodnevno održavati sa svim stvarima koje činim, tako da potvrđujem anarhizam i ne prihvaćam male svakodnevne kompromise, suglasnosti itd.?«

Benvenuti a bordo del Titanic

Intempestivi

Benvenuti a bordo del Titanic

Quasi un secolo fa, nell’aprile 1912, veniva varato il più grande, veloce e lussuoso transatlantico del mondo, costruito con la tecnologia più avanzata dell’epoca e senza risparmio di mezzi.
Era al tempo stesso il simbolo del progresso e della comodità data dalla ricchezza. Con la sua chiglia dotata di doppio fondo cellulare e lo scafo suddiviso in 16 compartimenti stagni, era considerata una nave sicura in tutti i suoi aspetti, assolutamente indistruttibile.

 

Per tutti questi motivi i suoi costruttori le diedero un nome roboante, la chiamarono Titanic.
È noto il seguito della storia.

Addomesticamento industriale

Contropelo

Addomesticamento industriale

Léopold Roc

Se la scienza venisse messa al servizio del capitale,
la docilità dell’operaio recalcitrante sarebbe assicurata

Andrew Ure, Filosofia dei manufatti, 1835

 

In altri tempi, se qualcuno avesse trattato da operaio un artigiano, avrebbe rischiato la rissa.
Oggigiorno, allorché si sostiene che l’operaio è quanto di meglio c’è nello Stato,
tutti pretendono d’essere operai

M. May, 1848

 

La definizione «rivoluzione industriale», comunemente usata per indicare il periodo che va dal 1750 al 1850, è una pura menzogna borghese, simmetrica a quella di «rivoluzione politica». Essa non comprende la valenza negativa e nasce da una visione della storia intesa unicamente come storia dei progressi tecnologici. Si tratta di un doppio beneficio per il nemico che, mentre legittima l’esistenza dei manager e della gerarchia come conseguenza inevitabile di necessità tecniche, impone nel contempo una concezione meccanicistica del progresso, considerato una legge positiva e socialmente neutra. È il momento religioso del materialismo, l’idealismo della materia. Una menzogna del genere era ovviamente destinata ai poveri, fra i quali doveva produrre danni durevoli.

1953: sommossa a Berlino Est

Brecce

1953: sommossa a Berlino Est

Immagine

Le giornate di Berlino Est raccontate da alcuni anarchici che vi presero parte

 

A un dato momento un grido si leva: «Andiamo al governo!» e la colonna operaia si rimette in marcia. Arriva verso mezzogiorno sotto i famosi tigli berlinesi, Unter den Linden; cammin facendo, si è ingrossata e conta ormai decine di migliaia di persone. Più si ingrossa, e più le rivendicazioni si estendono. Non si protesta più solo contro le norme eccessive, ma contro le barriere che separano i settori e le zone, ed infine contro il governo ed il regime. Gli studenti dell’Università Humboldt si mescolano alla folla, che conta ormai centomila persone e si sente padrona della strada. Davanti all’ambasciata russa scandisce: «Ivan, hau ab» (Ivan, vai a casa!) e «Wir wollen keine Slaven sein» (Non vogliamo essere schiavi)...

Pensieri pericolosi

Brulotti

Pensieri pericolosi

Mai avrei creduto di poter odiare lo straniero. Non solo di odiarlo, ma addirittura di pensare che avrebbe fatto meglio a restarsene nel posto da cui era venuto.

 

A volte può capitare. Non me lo sarei mai aspettato, eppure è successo. Potrà suscitare meraviglia, sgomento, disgusto… Di certo sarà anche facile appiglio per una violenta critica nei miei confronti, da parte di chi è sempre in guardia, l’orecchio teso a captare qualunque errore o passo non politicamente corretto o dalla giusta impostazione militante.

Scrupoli

Miraggi

Scrupoli

Octave Mirbeau

Probabilmente Octave Mirbeau è stato il primo ad aver introdotto in letteratura la figura del ladro gentiluomo, elegante e raffinato, capace di rivendicare attraverso una logica stringente la legittimità dei propri atti. Apparso sotto forma di racconto breve nel 1896, Scrupoli precede di appena un anno il più celebre Il ladro, romanzo di Georges Darien il cui protagonista si caratterizzava per un esplicito richiamo all’anarchismo. Sia Mirbeau che Darien furono compagni di strada di quel movimento anarchico francese in cui la questione della ripresa individuale era all’ordine del giorno, come dimostrano i processi tenuti contro Clément Duval nel 1887, contro Vittorio Pini nel 1889, contro Philippe Ortiz nel 1894. Di lì a poco, fra il 1900 e il 1905, i clamorosi furti compiuti dall’anarchico Alexandre-Marius Jacob, lettore di Darien, avrebbero riempito le prime pagine dei giornali, fornendo ispirazione a Maurice Leblanc per la creazione del suo immortale Arsenio Lupin. Ed è proprio in quegli anni che Mirbeau riprenderà il testo di Scrupoli per farne un atto unico teatrale, nella versione che qui presentiamo.

Dieci pugnalate alla politica

Papiri

Dieci pugnalate alla politica

 

 

La politica è l’arte del ricupero. Il modo più efficace per scoraggiare ogni ribellione, ogni desiderio di cambiamento reale, è presentare un uomo di Stato come sovversivo, oppure — meglio ancora — trasformare un sovversivo in un uomo di Stato. Non tutti gli uomini di Stato sono pagati dal governo. Ci sono funzionari che non si trovano in parlamento e nemmeno nelle stanze adiacenti; anzi, frequentano i centri sociali e conoscono discretamente le principali tesi rivoluzionarie. Discettano sulle potenzialità liberatorie della tecnologia, teorizzano di sfere pubbliche non statali e di oltrepassamento del soggetto. La realtà — lo sanno bene — è sempre più complessa di qualsiasi azione. Così, se auspicano una teoria totale è solo per poterla, nella vita quotidiana, dimenticare totalmente. Il potere ha bisogno di loro perché — come loro stessi ci insegnano — quando nessuno lo critica il potere si critica da sé.

Non è finita, anzi!

Fuoriporta

Non è finita, anzi!

Il vento della rivolta continua a soffiare nel mondo arabo e altrove

 

Le rivolte in Tunisia e in Egitto sembrano aver ispirato gli insorti in molti altri paesi. Dall’Algeria al Bahrein, dall'Iran alla Libia, dallo Yemen alla Siria, molte persone scendono in strada, scioperano dal lavoro, si scontrano con la polizia, saccheggiano e incendiano edifici statali e del potere economico. È un vento di rivolta che soffia attraverso quei paesi, è un vento che dà coraggio, un vento che porta il messaggio che nessun regime, per quanto autoritario sia, è inattaccabile. Che nessuna miseria, nessuna oppressione sarà mai al riparo di una tempesta sociale devastatrice.
Non si può prevedere in che direzione andranno queste tempeste, ma ciò che è certo è che in questi momenti insurrezionali tutto esce allo scoperto.

Sotto il vetriolo, l'incenso

Macchianera

Sotto il vetriolo, l'incenso

Nel calderone del negativo
415, Torino 2005

 

Nata come pubblicazione periodica, proseguita come casa editrice, la "Encyclopédie des Nuisances" porta avanti da molti anni in Francia una serrata critica alla società industriale e alle sue nocività. Le sue analisi vengono spesso associate e rimandano a quella critica radicale formulata contro «la società dello spettacolo» negli anni 60 dall’Internazionale Situazionista, di cui in un certo senso l’Encyclopédie si ritiene legittima erede. Non si può certo dire che si tratti di un millantato credito, tenuto conto che un paio di enciclopedisti hanno iniziato a farsi le ossa proprio nell’IS e che per un breve periodo l’Encyclopédie ha goduto del viatico dello stesso Guy Debord. Ma se all’inizio i riferimenti e le citazioni situazioniste abbondavano negli scritti enciclopedisti, col passare del tempo sono andati via via scomparendo. Non a caso. Infatti tutta l’attività di Semprun e compagni inciampava di continuo in una contraddizione che iniziava a risaltare sotto gli occhi di tutti e che rischiava di minare la stessa credibilità della loro opera: come è possibile criticare radicalmente la tecnologia e rifiutare ogni ipotesi di rottura rivoluzionaria (come fa l’Encyclopédie) e al tempo stesso tessere le lodi a tecnofili sfrenati nonché rivoluzionari convinti (quali furono i situazionisti)?
Alla fine uno dei partecipanti alla "Encyclopédie des Nuisances", Jean-Marc Mandosio, ha deciso di affrontare di petto il delicato argomento.

Ce n’est pas fini, au contraire !

Ostrogoto [fr]

Ce n’est pas fini, au contraire !

Le vent de la révolte continue de souffler fort dans le monde arabe et ailleurs

Les soulèvements en Tunisie et en Egypte semblent inspirer les révoltés dans beaucoup d’autres pays. De l’Algérie au Bahreïn, de l’Iran à la Libye, du Yémen à la Syrie, de nombreuses personnes descendent dans la rue, déclenchent des grèves sur les lieux de travail, s’affrontent avec les forces de l’ordre, passent au saccage ou à l’incendie de bâtiments des pouvoirs étatique et économique. C’est un vent de révolte qui souffle à travers ces pays, c’est un vent qui donne du courage, un vent qui porte le message qu’aucun régime, aussi autoritaire soit-il, n’est inattaquable. Qu’aucune misère, aucune oppression n’est jamais à l’abri d’une tempête sociale dévastatrice.

Non esistono catastrofi naturali

Papiri

Non esistono catastrofi naturali

Migliaia e migliaia di morti e dispersi, milioni di sfollati. Fino ad ora. Intere città spazzate via. Come se a colpire il Giappone non fosse stato un terremoto, ma bombe nucleari. Come se a devastare le case non fosse stato uno tsunami, ma una guerra. 

In effetti, così è stato. Solo che i nemici che colpiscono così duramente non sono la terra o il mare. Questi non sono affatto strumenti della vendetta di una natura che siamo abituati a considerare ostile. 

La guerra in corso ormai da secoli non è quella tra umanità e ambiente naturale, come molti vorrebbero farci credere per assicurarsi la nostra disciplina. Il nostro nemico siamo noi stessi.

Noi siamo la guerra. L’umanità è la guerra. 

La natura è solo il suo principale campo di battaglia. Noi abbiamo causato le alluvioni, trasformando il clima atmosferico con la nostra attività industriale. Noi abbiamo rotto gli argini dei fiumi, cementificando il loro letto e disboscando le rive. Noi abbiamo fatto crollare i ponti, erigendoli con materiali di scarto scelti per vincere gli appalti. Noi abbiamo spazzato via interi borghi, edificando case in zone a rischio. Noi abbiamo contaminato il pianeta, costruendo centrali atomiche. Noi abbiamo allevato gli sciacalli, mirando al profitto in ogni circostanza...

There are no natural catastrophes

Ostrogoto [en]

There are no natural catastrophes

Thousands and thousands dead or missing, millions evacuated. So far. Entire cities swept away. As if it weren’t an earthquake that struck Japan, but a nuclear bomb. As if it weren’t a tsunami that laid waste to houses, but a war. In fact, this is so. It’s just that the enemies who struck so hard are not the earth and the sea. These are not at all tools of revenge for a nature that we are accustomed to view as hostile. The war that has been going on now for centuries is not on between humanity and the natural environment, as many would like to make us believe so as to ensure our discipline. We are our own enemy. We are the war. Humanity is the war. Nature is only its main battlefield. We have caused floods by transforming the atmospheric climate with our industrial activities. We have broken down riverbanks by cementing their beds and deforesting their shores. We have made bridges collapse by building them with scrap material so we could win contracts. We have swept away entire villages by building houses in areas at risk. We have contaminated the planet by building nuclear power plants. We have bred jackals by aiming for profit in every circumstance. We have neglected taking precautionary measures against such events, concerned only with opening new shopping malls, new railroad and subway lines, new stadiums. We have allowed all this to happen and repeat itself by delegating to others the decisions that concern our lives. And now, after we have devastated the world in order to move faster, to eat faster, to work faster, to live faster, we still dare to complain when we discover that we also die faster? There are no natural catastrophes, there are only social catastrophes. If we don’t want to go on being victims of unforeseen earthquakes, unusual floods, unknown viruses and so much else, the only thing left for us to do is to act against the real enemy: our way of life, our values, our habits, our culture, our indifference. It isn’t against nature that we need to urgently declare war, but against this society and all its institutions. If we are not capable of inventing another existence and of fighting to realize it, we must prepare to die in what others have arranged and imposed. And to die in silence, as we have live.

From Sidi Bouzid to Bab-el-Oued

Ostrogoto [en]

From Sidi Bouzid to Bab-el-Oued

Against the state, the power and money

Poverty has been growing in North Africa since the beginning of the year. The price of food staples is soaring, there is less and less work, further reducing the pitiful spectrum of everyone’s means of survival. They are bringing out the old trick of the "crisis", making us believe that misery and revolt are new phenomena produced by it, while they are as old as money and authority. It only took a few sparks in Tunisia to set fire to the powderkeg of an already explosive situation, right to Algeria.

Cops attacked, government buildings, schools, customs, warehouses, police stations, car dealerships, banks and businesses targeted, coordinated roadblocks. Contrary to what power and journalistcops are saying, these riots are not limited to a few imaginary categories ("young", "graduates", "unemployed", "extremist") but are expressed diffusely, and their targets are clear.

Van Sidi Bouzid tot Bab-el-Oued

Ostrogoto [nl]

Van Sidi Bouzid tot Bab-el-Oued

Tegen de Staat, het geld en de macht

Sinds het begin van dit jaar wint de ellende aan terrein in de Magreb. De voedselprijzen schieten de hoogte in. Er is alsmaar minder werk, waardoor het reeds armzalige spectrum aan manieren om te overleven nog meer gereduceerd wordt. Het magische woord ‘crisis’ wordt weer bovengehaald om ons te doen geloven dat ellende en revolte nieuwe fenomenen zijn die alleen door crises teweeggebracht worden, terwijl ze even oud zijn als het geld en de autoriteit. In Tunesië waren enkele vonken genoeg om het vuur aan de lont te leggen in een reeds erg explosieve situatie… tot in Algerije.

De flikken worden aangevallen; administratieve gebouwen, scholen, douaneposten, opslagplaatsen voor koopwaar, commissariaten, autodealers, banken en winkels komen in het vizier van de opstandelingen; gecoördineerde blokkades van de wegen proberen het land plat te leggen. In tegenstelling tot wat de macht en de journalisten ons vertellen, beperken deze rellen zich niet tot een aantal denkbeeldige categorieën (‘jongeren’, ‘studenten’, ‘werklozen’, ‘extremisten’), maar uiten ze zich op een diffuse manier. En de doelwitten zijn duidelijk.

De Sidi Bouzid à Bab-el-Oued

Ostrogoto [fr]

De Sidi Bouzid à Bab-el-Oued

Contre le règne de l’État, du pouvoir et du fric

Depuis le début de l’année, au Maghreb, la misère gagne du terrain. Le prix des denrées alimentaires de première nécessité flambe, il y a de moins en moins de travail, réduisant encore plus le pitoyable spectre des moyens de survie de tout un chacun. On nous ressort le bon vieux coup de « la crise », nous faisant croire que misère et révolte sont des phénomènes nouveaux qu’elle seule produit, alors qu’ils sont aussi vieux que l’argent et l’autorité. Il a suffit de quelques étincelles en Tunisie pour mettre le feu aux poudres d’une situation déjà explosive, jusqu’en Algérie.

Flics attaqués, bâtiments administratifs, lycées, douanes, entrepôts de marchandises, commissariats, concessionnaires automobiles, banques et commerces pris pour cible, barrages de route coordonnés. Contrairement à ce que le pouvoir et les journaflics racontent, ces émeutes ne se limitent pas à quelques catégories imaginaires (« jeunes », « diplômés », « chômeurs », « extrémistes ») mais s’expriment de façon diffuse, et leurs cibles sont claires.

Guerra

Papiri

Guerra

 

Sì, l’Italia è un paese in guerra. In guerra contro il regime del dittatore libico, cui fino a ieri il governo italiano ha fatto il baciamano per garantirsi il petrolio. In guerra contro profughi e immigrati, che anziché rassegnarsi a crepare in casa propria si ostinano a sbarcare sulle nostre coste portandosi dietro il fastidioso olezzo della loro miseria. Ma in guerra anche contro la propria stessa popolazione che, giorno dopo giorno, si ritrova sempre più priva di mezzi di sostentamento, di speranze, di dignità, di sogni. 

Donne e uomini prima sfruttati e poi licenziati, sommersi dalla disperazione come dalla spazzatura, avvelenati dall’obbedienza come dalle radiazioni, intossicati dalla televisione come dagli alimenti sofisticati, minacciati da frane, alluvioni, terremoti che si susseguono al ritmo degli appalti e delle grandi opere. 
Uomini e donne che di colpo stanno scoprendo che è la loro intera esistenza ad essere precaria, la loro salute, la loro libertà, la loro stessa sopravvivenza. E che per questo non vengono più considerati dallo Stato sudditi fedeli cui elargire qualche briciola di pane, ma potenziali nemici, da controllare o da combattere.
 

Da Sidi Bouzid a

Papiri

Da Sidi Bouzid a Bab-El-Oued

Ghibli

Papiri

Ghibli. Attenti ai fantasmi

Sputiamogli addosso

Papiri

Sputiamogli addosso Disertiamo le urne

Émeute à Berlin

Ostrogoto [fr]

1953: Émeute à Berlin

Les journées de Berlin-Est racontées par des anarchistes qui y prirent part

Pour comprendre les événements de juin, il faut savoir ce que c’est que la vie normale en zone russe. La disette est permanente. Alors qu’à Berlin-Ouest on vit sans cartes et que les magasins regorgent de provisions, Berlin-Est, bien que relié à la partie la plus agricole de l’Allemagne, a toujours des cartes spéciales pour les enfants, les non-travailleurs, les travailleurs légers, les travailleurs de force, les intellectuels n° 1, les intellectuels n° 2, etc... Pour les militants des cadres du Parti, il y a des attributions spéciales ; pour l’homme ordinaire, non seulement les rations sont maigres, mais le plus souvent on ne peut les toucher, parce qu’il n’y a plus rien à acheter. Où donc passent les vivres ?

Una cassetta dagli attrezzi spuntati

Autopsia

Una cassetta dagli attrezzi spuntati

Jean-Marc Mandosio

Foucault rappresenta la figura ormai diffusa dell’intellettuale «impegnato» la cui carriera accademica non ha intaccato la credibilità contestatrice — almeno agli occhi di chi lo colloca su un piedistallo nella letteratura consacrata ai «movimenti sociali» — e la cui attività contestatrice, o reputata tale, ha paradossalmente legittimato la carriera accademica.
Da buon scrittore postmoderno che applica con zelo le regole del marketing delle idee, Foucault si adatta costantemente alla tendenza del giorno, ma il suo discorso non smette mai di essere reversibile, così che egli si riserva sempre la possibilità di discostarsene e proclamare la sua singolarità. Egli è strutturalista senza esserlo del tutto; flirta con i maoisti senza confondersi con essi; sostiene brevemente i «nuovi filosofi» prima di lasciarli...
Cosa c’è di meglio di un programma vuoto, fatto di affermazioni contraddittorie e di ingiunzioni equivoche, per soddisfare tutti? A tutt’oggi, Foucault resta l’esempio più compiuto di un anti-istituzionalismo istituzionale.