Plakat: WÄHLT VAN DER LUBBE!

Ostrogoto [de]

Plakat: WÄHLT VAN DER LUBBE!

 

Votez Van der Lubbe !

Ostrogoto [fr]

Votez Van der Lubbe !

 

Marinus Van der Lubbe

Brecce

Marinus Van der Lubbe l’incendiario del Reichstag

Il 27 febbraio u.s., un incendio scoppiò nell’aula delle sedute del Reichstag, che danneggiò alquanto l’interno dell’edificio.
Quell’incendio, scoppiato nel fragore di una campagna elettorale in stile fascista, con cui il partito di Hitler mirava a fabbricarsi una maggioranza parlamentare da cui ricevere la investitura dittatoriale, avrebbe potuto essere veramente il segnale della riscossa dei lavoratori, non solo, ma anche dei vari e ancor forti partiti di opposizione: socialdemocratici e comunisti.
Fu, invece, il pretesto ad un intensificato terrore governativo. I fascisti di Hitler lo presentarono per quel che avrebbe potuto essere gridando che «i comunisti avevano pronte le squadre rosse per prendere in ostaggio le donne e i bambini dei capi Nazisti e farsene scudo nella guerra civile imminente»... che avevano «meditato di avvelenare i generi alimentari... incendiare i granai di tutta la Germania...».

Ma gli anarchici non votano?

Contropelo

Ma gli anarchici non votano?

Alfredo M. Bonanno

Dirsi anarchico vuol dire molto, ma può anche voler dire nulla. In un mondo di identità flebili, quando tutto sembra sfumare nella nebbia dell'incertezza, considerarsi anarchico può essere un modo come un altro di seguire una bandiera, nulla di più.
Ma l'anarchismo a volte risulta un'etichetta scomoda. Può insinuarti domande nella mente cui non è poi facile dare una risposta. Può farti notare le strane contraddizioni della tua vita: il lavoro, il ruolo che la società ti ha imposto, lo status a cui tu stesso hai partecipato, la carriera a cui non sai rinunciare, e la famiglia, gli amici, i figli, la fine del mese e lo stipendio, la macchina e la casa di proprietà. Ahimé, fissare una distanza tra questi corredi e le proprie idee di fondo, tra quello che siamo e il nostro essere anarchici, assomiglia molto a quella lotta tra l'essere e il dover essere che faceva sorridere Hegel: il dover essere finisce sempre per soccombere.

Verticalismi

Intempestivi

Verticalismi

L’identificazione del nemico. Questo sarebbe, secondo un recensore, uno dei meriti della lotta contro il TAV in Val Susa e del libro che quella lotta racconta, ovvero “A sarà düra. Storie di vita e di militanza NoTav”, edito da Derive Approdi e curato dal centro sociale Askatasuna di Torino. Ammesso che questo sia realmente un merito del libro, le serate di presentazione che si tengono in giro per l’italico stivale non sono da meno, nel senso che, anche nel corso di queste, qualche nemico è possibile identificarlo. Nemici della libertà individuale, per esempio, da riconoscere in coloro che ci spiegano come la lotta in generale, ed in Val Susa in particolare, per raggiungere i suoi scopi non possa mai essere portata avanti, fino in fondo, in maniera orizzontale. Ci spiegano, i militanti, come ad un certo momento sia assolutamente necessaria una verticalizzazione delle lotte, un momento in cui alcuni prendano per la testa le lotte ed i movimenti che le portano avanti, e le guidino verso la vittoria, verso risultati politici che altrimenti non potrebbero essere raggiunti. Nella pratica ciò è possibile costituendo una sorta di organizzazione leninista.

Arruffapopoli

Contropelo

Arruffapopoli

Uno degli effetti collaterali più desolanti della "svolta" intrapresa da una parte del movimento anarchico negli ultimi anni — l'abbandono dell'alterità assoluta nei confronti dell'esistente in favore di un più pragmatico e realista possibilismo — è stato su altri versanti lo speculare diffondersi di una sorta di allergia per qualsivoglia lotta sociale. In molti casi è sufficiente nominare lo stesso concetto di lotta sociale per indisporre ed irritare non pochi compagni, i quali ormai la identificano con una sorta di cittadinismo d'accatto, con una ricerca di consenso popolare vieppiù disponibile al compromesso.
Come se l'intervento in una lotta sociale si potesse concepire solo celando il proprio pensiero ribelle per ostentarne uno compiacente e riformista, come se la ricerca di complici in un simile contesto si concretizzasse necessariamente nella più imbarazzante questua di alleanze.

Que la peur change de camp !

Ostrogoto [fr]

Que la peur change de camp !

On en fait le constat tous les jours : la situation économique se durcit. Les licenciements massifs, comme à Ford Genk ou chez Arcelor-Mittal, se succèdent, les fermetures d’usines et de boîtes se comptent par dizaines, les allocations sociales supposées acheter la paix des démunis sont revues à la baisse. Dans d’autres pays européens comme la Grèce, le Portugal ou l’Espagne, la situation est devenue dramatique, à un point tel que de plus en plus de gens commencent désormais à avoir faim.

Che la paura cambi di campo!

Brulotti

Che la paura cambi di campo!

Il vero e proprio bastione del potere, del sistema sociale di oppressione e sfruttamento, forse non è tanto la sua polizia e la sua capacità di acquisire il consenso di coloro che lo subiscono, quanto la paura, che sembra essere un'alleata temibile del potere, un'alleata difficile da abbattere. Paura di perdere la scarna sicurezza dei mezzi di sussistenza che restano; paura di perdere perfino la triste prospettiva di una vita trascorsa a faticare; paura di perdere quel che c'è, per quanto miserabile sia. Se il coraggio può spostare montagne, la paura ne costituisce di sicuro le principali fondamenta.

Ma queste fondamenta non sono immutabili... possono essere d'argilla. Per poco che uno slancio prenda il via, che la dignità si drizzi in piedi, che il desiderio di avventura e di libertà sgorghi finalmente dal profondo della nostra anima mutilata da questo mondo tecnologico, la paura comincia a dissiparsi. Essa può allora cedere il posto a ciò che l'individuo ha di migliore in sé: la lotta e la solidarietà contro tutto ciò che ci opprime.

Lo sciopero elettorale

Brulotti

Lo sciopero elettorale

Con sadica gioia e nazionale fierezza, non vedo l’ora che fra qualche giorno si apra il periodo elettorale. Si può persino affermare che lo sia già, che lo è sempre stato e che, visti i nostri costumi parlamentari e i nostri gusti politici, che sono quelli di disprezzarci gli uni con gli altri, questo non modificherà nulla delle nostre abitudini e dei nostri piaceri. Ma ciò che è impossibile prevedere è la sua fine, e se mai avrà una fine. Dio non voglia!

Non si potrà più fare un passo per strada senza essere sollecitati, adescati, entusiasmati da forti e diverse distrazioni, in cui il piacere degli occhi si mescolerà alle gioie dello spirito, senza veder stagliarsi l’infinita idiozia, l’infinita stoltezza della politica sui muri, sui tronchi d’albero, sui pali indicatori. Ogni casa sarà trasformata in sezione; in ogni pubblica piazza ci saranno raduni urlanti; dall’alto di ogni pulpito, bizzarri personaggi vomitati da chissà quali misteriose casseforti, strappati all’appiccicosa oscurità di chissà quale caverna giornalistica, gesticoleranno, sbraiteranno, abbaieranno e, con gli occhi iniettati di sangue, la bocca schiumante, ci prometteranno la felicità.

Qualunquisti e consenso

Intempestivi

Qualunquisti e consenso

Qualunquisti, ecco quel che siamo noi astensionisti. Qualsiasi politico, qualsiasi livrea indossi, ve lo potrà testimoniare. Il rifiuto della politica, il non-voto, è a suo dire sinonimo di indifferenza nei confronti delle questioni sociali. Che assurdità! Già il pulpito da cui parte una simile accusa non è dei migliori, appartenendo a chi ha dimostrato di avere a cuore solo la propria carriera politica.

 

Che si pensi possibile un cambiamento sociale da attuarsi con la non-violenza, mediante una Riforma, o con la violenza, mediante una Rivoluzione, resta il fatto che il primo passo da compiere per chi vuole farla finita con questo mondo è di corrodere il consenso su cui si fonda l’attuale ordine sociale. Un consenso costruito quotidianamente, nei mille luoghi della riproduzione sociale, senza che neanche ce ne accorgiamo, attraverso un comportamento abitudinario. Giorno dopo giorno veniamo allevati ad essere obbedienti, addestrati ad essere rispettosi, istruiti ad essere sottomessi.

Egypt: Jako moře

Ostrogoto (cs)

Egypt: Jako moře

Sociální revoluce je jako moře. Vlny se v něm honí, naráží na překážky, které se jim postaví do cesty, rozbijí je nebo ustoupí. S veškerým násilím nezkrotné vášně ničí všechny zbytky moci, vykořisťování a útlaku jeden po druhém. První vlna, obrovská a neočekávaná, smetla Mubarakovu diktaturu. Druhá srazila na kolena armádu, která se chystala převzít moc. Třetí se dnes zvedá proti novému pořádku, který se snaží zavádět islamisté.

Vite rachitiche

Intempestivi

Vite rachitiche

 

«Nel regno della democrazia,
le lotte che si apersero tra capitale e lavoro
furono lotte rachitiche...»
 

A cosa servono le ali della libertà quando sono tarpate da una vita di abitudine all'obbedienza? A cosa serve un cielo infinito quando gli occhi sono sempre fissi a terra? Muscoli allenati a genuflettersi, corpi addestrati a scattare sull'attenti, pensieri educati a seguire pubbliche opinioni, voci istruite a ripetere in coro. Che senso ha urlare contro coloro che identifichiamo come i nemici, i responsabili della miseria che affligge le nostre esistenze, quando la riproduzione dell'esistente nasce soprattutto dentro di noi? È un dubbio che in questi ultimi giorni ci viene in mente, non solo per la frenesia pre-elettorale, ma anche alla luce di alcuni recenti avvenimenti.

Libertà

Brulotti

Libertà

«Cento volte respinti, intraprendiamo per la centunesima volta l’attacco. Veramente! questi sono cattivi profeti, che proclamano la morte dell’anarchismo! Finché esisteranno sfruttamento e servitù, esso non potrà morire».
Con queste parole un giornale anarchico iniziò la sua pubblicazione più di cent’anni fa a Zurigo, e queste sono le parole con cui anche noi vogliamo iniziare il nostro Aufruhr (tumulto, rivolta).
I tempi sono cambiati, e con essi anche le forme di servitù, tuttavia la nostra idea di libertà senza compromessi è rimasta la stessa.
Una libertà che è inconciliabile con qualunque forma di dominazione, sia essa dittatoriale o democratica, brutale o sottile, materiale o mentale.
Ed è questo desiderio ardente di libertà, non come lontano ideale, ma qui e adesso, che ci porterà eternamente sul sentiero della ribellione…

Perché siamo intempestivi

Brulotti

Perché siamo intempestivi

Quando ci guardano, gli abitanti di questo mondo scuotono la testa. Che siano soddisfatti o tristi, felici o arrabbiati, non ci capiscono. Ai loro occhi appariamo folli, insensati, patetici, inefficaci. Comunque colpevoli. Gli uni ci accusano di non muovere un dito per fare carriera all'interno di quanto ci circonda, trascorrendo la nostra esistenza ai suoi margini. Gli altri ci rimproverano che proprio quando un mondo in rovina reclama la nostra presenza, noi ce ne estraniamo. Perché ci ostiniamo ad andare alla deriva, ovvero da nessuna parte, anziché organizzarci per arrivare? Per entrambi, non facciamo altro che sprecare i nostri giorni.
Evidentemente, la nostra prospettiva non è quella degli abitanti di questo mondo. Loro, in questo mondo, vogliono prendere posizione. Lo osservano da vicino, sempre più vicino, ne respirano l'aria, ci sguazzano dentro, vi prendono parte e partito. A noi, questo mondo, fa talmente ribrezzo che lo vogliamo solo sconvolgere. Lo osserviamo a distanza, ma solo per scoprire dove sia il punto migliore per attaccarlo. Non è esattamente la stessa cosa.

Insurrezionismo o evoluzionismo?

Brulotti

Insurrezionismo o evoluzionismo?

Errico Malatesta

È vecchio tema quello di rivoluzione e evoluzione, continuamente discusso, e continuamente rinascente, a causa soprattutto dell'equivoco prodotto dal vario significato che si può dare alle due parole. La parola evoluzione a volte si prende nel senso generico di cambiamento ed allora afferma un fatto generale della natura e della storia sul quale si può discutere dal punto di vista della scienza, ma che non è messo in dubbio da nessuno nel campo della sociologia; a volte si prende nel senso di cambiamento lento, graduale, regolato da leggi fisse nel tempo e nello spazio, che esclude ogni salto, ogni catastrofe, ogni possibilità di essere affrettato a ritardato e sopratutto di essere violentato e diretto dalla volontà umana in un senso o nell'altro, ed allora essa vuole contrapporsi alla parola ed all'idea di rivoluzione.
In realtà la vecchia discussione non è stata mai altra cosa, nel campo della contesa sociale, che il tentativo di giustificazione teorica di precedenti propositi; e la «scienza», la «filosofia della storia» ed altre parole grosse non han servito che ad intorbidire la questione, ed a nascondere il pensiero e le intenzioni vere dei contendenti.