Medicalizzazione vita

Contropelo

La medicalizzazione della vita

Ivan Illich

 

Fino a tempi non lontani la medicina si sforzava di valorizzare ciò che avviene in natura: favoriva la tendenza delle ferite a sanarsi, del sangue a coagularsi, dei batteri a farsi sopraffare dall'immunità naturale. Oggi invece essa cerca di materializzare i sogni della ragione. I contraccettivi orali, per esempio, vengono ordinati «per prevenire un evento normale nelle persone sane». Certe terapie inducono l'organismo a interagire con delle molecole o delle macchine in modi che non hanno precedenti nell'evoluzione. I trapianti implicano la completa obliterazione delle difese immunologiche programmate geneticamente. Perciò il collegamento fra il bene del malato e il successo dello specialista non si può dare per presupposto; ormai dev'essere dimostrato, e l'apporto netto della medicina al carico di malattia della collettività va calcolato dall'esterno della professione. Ma qualunque accusa contro la medicina per il danno clinico ch'essa provoca non è che il primo passo nell'incriminazione della medicina patogena. 

Oltre la tristezza: rabbia!

Intempestivi

Oltre la tristezza: rabbia!

«Non ho versato una lacrima. Ho smesso di piangere tanto tempo fa. Sono anni che vedo uccidere la mia gente dalla polizia. 
Le persone mi dicono di essere dispiaciute. Beh, non lo siate. Perché quello che è successo, succede da lungo tempo a chi ho attorno.
Tutti gli uccisi dalla polizia sono miei fratelli e sorelle. Io non sono triste, non sono dispiaciuta. Sono arrabbiata».
Leletra Widman, sorella di Jacob Blake
 
Tre notti fa, nel Wisconsin, un giovane afroamericano è incappato nel solito incontro con sbirri americani. Durante quello che i bravi cittadini definirebbero un normale controllo di polizia, nasce un diverbio. Il giovane, Jacob Blake, viene colpito alla schiena per ben sette volte. Portato in ospedale, i medici sentenziano l'atrocità: non potrà più camminare. L'ennesima vita devastata dall'autorità.

Quando il sole e il vento...

Brulotti

Quando il sole e il vento...

«Se vogliamo che tutto rimanga come è,

bisogna che tutto cambi»

Tancredi, Il gattopardo (1958)

 

Come rendere la società industriale eterna? Ecco una domanda che i dirigenti del mondo sono ormai costretti a porsi in maniera diversa. Costretti, nel senso che certi modelli di sfruttamento rischiano di avvitarsi su se stessi qualora le società continuino a seguire lo stesso schema. Ogni estate le foreste vanno in fiamme in proporzioni sempre più apocalittiche, e fino al circolo artico. Le terre si inaridiscono. Le acque del mare salgono. Gli oceani si svuotano di pesci. L'inquinamento uccide irrimediabilmente la fauna e la flora, rendendo l'essere umano ancora più dipendente dall'industria farmaceutica per far fronte a ciò malgrado tutto. Più la devastazione avanza, e più l'artificializzazione del vivente viene accolta come la sola ed unica soluzione.

La guerra costruttrice di città

Brulotti

La guerra quale costruttrice di città

Lewis Mumford

 

La guerra affrettò tutte queste trasformazioni; fu essa a determinare il ritmo di tutte le altre istituzioni. I nuovi eserciti permanenti, numerosi, potenti, temibili non meno in pace che in guerra, trasformarono la stessa guerra da un'attività spasmodica in una normale. La necessità di più costosi strumenti di guerra mise le città nelle mani di oligarchie usuraie che finanziavano la funesta politica dei governanti, vivevano lussuosamente dei profitti e del saccheggio, e cercavano di rinforzare le loro posizioni spalleggiando il dispotismo che ne derivava. In una crisi economica i fucili della soldatesca mercenaria potevano essere girati contro i miserabili sudditi ai primi segni di ribellione.

Nel Medioevo il soldato era stato costretto a dividere il potere con l'artigiano, il mercante, il prete: ora nel sistema politico degli Stati assoluti ogni legge era in realtà divenuta una legge marziale. Chiunque potesse finanziare l'esercito e l'arsenale era in grado di diventare il padrone della città. Sparare significò l'arte di governo: era una via spiccia per chiudere una discussione imbarazzante. Invece di accettare gli accomodamenti abituali che assicurarono la salutare espressione delle diversità di temperamento, interesse e fede, le classi dirigenti potevano fare a meno di tali metodi di «do ut des»: il loro linguaggio non conosceva il verbo dare che in seconda persona. Il fucile, il cannone, l'esercito permanente contribuirono a formare una razza di governanti che non riconosceva altra legge se non quella della propria volontà e del proprio capriccio, quella bella razza di tiranni talvolta sciocchi, talvolta intelligenti, che sublimarono i sospetti e le delusioni di uno Stato paranoico in un rituale politico.