Brulotti

Semplici galleggianti carichi di materiale esplosivo lanciati alla deriva nel tentativo di incendiare le navi nemiche, in senso figurato i brulotti sono piccole idee suscettibili di provocare danni nei luoghi comuni che rendono triste ed opaca la nostra esistenza. Ogni pretesto è buono per simili tentativi: la riflessione su un fatto del giorno, l'intervento in una lotta, l'annuncio di una iniziativa, la riproposizione di testi dimenticati...

La morale degli schiavi

Brulotti

La morale degli schiavi

Anne Archet

A mio nonno, bravo tipo dritto come un fuso, piaceva punzecchiarmi quand'ero bambina. Un giorno che ero andata a trovarlo, mentre prendevo posto a tavola per il pranzo, mi chiese: «hai lavorato oggi?». Avevo solo sei anni, cosicché gli ho ovviamente risposto di no. Allora mi levò il piatto dicendomi: «chi non lavora, non mangia». È ovvio che per lui si trattava solo di uno scherzo senza conseguenze, ma io che adoravo i piatti cucinati da mia nonna scoppiai in lacrime. Quella imposizione mi sembrò così crudele, così ingiusta, che non riuscivo a credere che un uomo che amavo potesse pensare una cosa simile, che potesse rifiutare ad una bambina affamata il cibo con il pretesto che aveva trascorso la sua giornata a giocare, allorché la pentola era piena di buona zuppa e ce n'era senz'altro abbastanza per tutti.

Introduzione all'etnocidio

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Introduzione all'etnocidio

Robert Jaulin

Ci mancherà la tranquillità necessaria per capire ciò che siamo – noi, cioè una civiltà – finché la nostra regola aurea saranno le guerre di ogni genere, la negazione dell'altro. La criminalità culturale, l'etnocidio, è una conseguenza dell'estensione di noi stessi e deriva dal carattere marcato, contraddittorio, delle relazioni che noi imponiamo, che ci si impongono, che noi rappresentiamo.
L'«integrazione» è un diritto di vita che accordiamo all'altro a patto che diventi come noi. Ma la contraddizione, o meglio, la frode insita in questo sistema sta nel fatto che l'altro, privato della sua personalità, muore immediatamente.

Solo una triste necessità?

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Solo una triste necessità?

Vernon Richards-Ugo Fedeli

Riproponiamo una discussione vecchia di sessant'anni, ma purtroppo sempre giovane, il cui titolo originario era La guerra e gli anarchici. Vecchia nel suo oggetto, non certo nelle sue argomentazioni. Se la necessità pratica di fermare il nemico spinge ormai solo i partiti di sinistra a giustificare i bombardamenti, questa stessa necessità pratica viene puntualmente invocata per giustificare ogni abbandono (momentaneo e tattico, naturalmente) dei propri principi di fondo. Concessione che, passo dopo passo, diventa un abito mentale, una abitudine, un metodo, in grado di giustificare qualsiasi cosa. Una volta accettato il contrasto tra fine da raggiungere e mezzi da impiegare, tutto diventa possibile. Anche un sincero e benintenzionato sostegno alla guerra, appunto.
Per la cronaca, ricordiamo che nel 1933 Rudolf Rocker – la cui posizione durante la seconda guerra mondiale servì da pretesto a questa discussione – condannò duramente l'incendio del Reichstag ad opera di Marinus Van der Lubbe, a cui imputò la disfatta del proletariato tedesco, e teorizzò per il movimento la ritirata provvisoria in attesa dell'imminente (?) caduta di Hitler.

Carcere

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Carcere

Alberto Savinio

Ho saputo anzitutto che cosa significa il sentirsi reclusi, e in luogo per di più che i carcerieri si studiano di rendere più scomodo e antipatico che possono, privandolo in gran parte dei due principali elementi di vita che sono l'aria e la luce; perché il carcere ha il fine dichiarato di punire il delinquente e di metterlo in condizione di non nuocere alla società, ma ha anche quello non confessato di logorare la sua salute e dunque in parole povere di ucciderlo. Ho saputo oltre a ciò che cosa significa la promiscuità forzata e l'impossibilità di isolarsi e nascondersi a un prossimo col quale «non si vuole avere rapporti» (in quell'unica cella eravamo in quattro o cinque); ho saputo che cosa significa la rinuncia al pudore più elementare e lo schifo di quel recipiente posato in mezzo alla cella e adibito ai bisogni corporali dei carcerati.

Per la vita, per tutta la vita!

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Per la vita, per tutta la vita!

Agricola [Enrico Arrigoni]

Osservate la massa onesta dei lavoratori che della società costituisce la cura maggiore e la preoccupazione dei sociali Epicuro! Tentate l’azione energica catastrofica della rappresaglia contro uno che vi ha offeso — e con voi ha offeso tutti i vostri compagni di galera — e nella violenza della vostra azione affogate nel sangue, col ventre squarciato dalla dinamite, un padre di famiglia che era un padrone protervo? Vi grideranno assassino e si sforzeranno di togliere l’arte al boia anticipando l’esecuzione legale con una esecuzione sommaria di piazza. Piangeranno come vitelli, i lavoratori onesti, nobilitati dal basto, sulla sorte del povero marmocchio milionario che il vostro atto indemoniato ha orbato del padre; imprecheranno all’anarchico, al delinquente, al fannullone. Piangon miseria da tutti i pori, nel fondo stracciato dei pantaloni e nella manica unta e spelata della giacca, e allibiranno se un audace, che chiaman ladro o rapinatore, al canto della via avrà aggredito un fannullone panciuto carico di ciondoli e di oreficeria alleggerendogli le tasche del portafoglio rigonfio; e l’audace sarà sommerso sotto gli improperi della gente onesta.

Il popolo si diverte

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Il popolo si diverte

Albert Libertad

L'operaio esce dalla fabbrica appestante. È l'ora della liberazione. Dopo il duro lavoro, un po' di riposo.
Esce, probabilmente stanco, scoraggiato, col cuore pieno di odio contro chi lo tiene così rinchiuso per ore pur di assicurarsi il lusso.
Ma dove dirige i suoi passi? Esce, va, corre verso i chioschi di giornali. Un sorriso di soddisfazione mi sale sulle labbra, egli è stanco, ma ha ancora nel cuore tenace la fierezza umana: va là a cercare l'opuscolo, lo scritto dalle parole rivendicatrici, al fine di entrare in comunione di idee con tutti coloro che soffrono, coi fratelli di miseria, con gli sfruttati di tutti i mondi.

La guerra che viene

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La guerra che viene

Max Sartin

L'ideale e il privilegio, la moltitudine diseredata e la minoranza dominante, la Rivoluzione e l'Ordine costituito, l'Anarchia e lo Stato, battono vie diverse, e quando s'incontrano «sangue umano stilla»: il sangue della ribellione o il sangue della persecuzione.
Cerchiamo pure un atteggiamento attivista che ci permetta di «marciare senza dubbi, senza incertezze, senza sopprimerci e senza tradire»; ma sappiamo fin da ora che, se tale atteggiamento non può essere pacifista, non può neanche essere belligerante a fianco e sotto le insegne dell'uno o dell'altro dei blocchi guerreggianti.
Belligeranti, sì, ma contro tutti i governi, contro tutti gli imperialismi, contro tutta la borghesia dominante.

Al di là della Fede

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Al di là della Fede

Auro d'Arcola

La fede, una fede: ecco il pregiudizio.
F.T. Marinetti ed i suoi amici futuristi non sanno concepire l'individualismo anarchico senza una fede. Io all'opposto trovo, dimostro assurdo ed insussistibile l'individualismo anarchico con una fede.
Che significa fede? Credenza?
Credenza in una Patria, in una Società, in un diavolo, in un dio, in un avvenire; in tutto ciò, insomma, che non è, e che mai sarà per la stessa ragion d'esistere della fede. La fede è quindi ciò che si vorrebbe essere e non ciò che si è, e ciò che si potrà essere.

Mani sporche e guanti bianchi

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Mani sporche e guanti bianchi

Chi l'avrebbe detto? È trascorso più di un mese da quel 9 dicembre che vide il paese in subbuglio in occasione della scadenza di lotta lanciata dal cosiddetto Movimento dei Forconi. In quei giorni, di fronte a un dibattito tutto interno ad una baldanzosa sinistra antagonista, pubblicammo un breve articolo intitolato Si va o si fischia?. Mai e poi mai avremmo pensato che quelle nostre poche righe avrebbero irritato certi anarchici al punto di spingerli a dedicarci un magnifico capitoletto, intitolato Il cielo in una stanza, di un testo apparso nei giorni scorsi su alcuni blog di movimento: Torino, 9 dicembre. Note su una comunità impossibile. Si tratta di un lungo «contributo personale», scritto però al plurale in virtù delle capriole dell'Io collettivo, che torna su quanto accaduto nel capoluogo piemontese con modesta serenità. Oltre ad una narrazione aneddotica e non ideologica dei fatti, che qui c'è proprio scritto sull'uscio che l'ideologia non è di casa, vi si formula l'ennesima peritosa analisi della «composizione di classe» presente in strada quei giorni. Così, dopo la musica propinataci dai tromboni più sinistri, il panorama viene arricchito dal suono del piffero a-n-a-r-c-h-i-c-o.

La lampada nell'orologio

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La lampada nell'orologio

André Breton

Dal seno della spaventosa miseria fisica e morale di questo tempo si attende, senza ancora disperare, che energie ribelli ad ogni addomesticamento riprendano, a pie' d'opera, il compito dell'emancipazione dell'uomo.
Sarei l'ultimo a non riconoscere che mai partita – in cui è in gioco tutta la sorte dell'umanità – sia stata ingaggiata in condizioni così ineguali.
È duro, e in certi momenti è, se non scoraggiante, almeno deprimente nel senso fisico della parola, osservare che il gioco della storia si sta facendo con dadi truccati. Su questa tappezzeria, dove la barba di Marx ancora brilla ma che il suo magnifico sguardo circolare non anima più, è, senza dubbio, grande peccato vedere iscriversi e sciuparsi, alla fine dell'ascesa verso un meglio che è loro dovuto, le masse proletarie condotte con gli occhi bendati, da preti rubicondi che non si degnano neppure più di spiegare loro dove passano.

Discorso al popolo...

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Discorso al popolo sulla morte della principessa Carlotta

Percy Bysshe Shelley

Figlia unica del principe regnante (futuro Giorgio IV) ed erede della corona inglese, la principessa Carlotta morì il 6 novembre 1817, a soli 21 anni, il giorno dopo aver partorito un bambino nato morto. Il caso vuole che l'indomani venissero giustiziati i tre «martiri di Pentridge», arrestati nel giugno dello stesso anno mentre assieme a duecento operai si dirigevano verso Londra allo scopo di rovesciare il governo ultrareazionario del conte di Liverpool, Robert Banks Jenkinson. Alla testa degli insorti c'era il giovane luddista Jeremiah Brandreth, ma il loro generoso tentativo si rivelò però del tutto manipolato da un infiltrato – William J. Oliver – al diretto servizio del ministro dell'Interno Henry Addington. Infatti a pochi chilometri di strada, a Giltbrook, nei pressi di Nottingham, una compagnia di dragoni che aspettava gli insorti li attaccò e li sbaragliò. Brandreth venne condannato a morte insieme ad Isaac Ludlam e a William Turner, mentre quattordici insorti furono deportati in Tasmania ed altri sei imprigionati.
Fu dalla concomitanza di questi fatti che trasse ispirazione il poeta romantico Percy Bysshe Shelley per questo testo (scritto pochi giorni dopo in forma anonima e subito inviato alla stampa britannica) che all'epoca venne giudicato decisamente scandaloso per il cordoglio espresso più per la morte di rivoltosi intenzionati a sovvertire le istituzioni che per la scomparsa prematura della predestinata regina.

Nessuna Ave Maria

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Nessuna Ave Maria

La seconda ragazza si chiamava Maria Chidiri. Il suo cadavere è stato rinvenuto il pomeriggio del 17 gennaio sul selciato davanti il palazzo dove abitava, a Bruxelles. Era precipitata dal secondo piano, dopo aver inutilmente tentato di salvarsi aggrappandosi all'antenna parabolica. Sfracellata al suolo. Viveva ad Anderlecht, splendido quartiere della capitale europea dove la legge non è di casa. Ma Maria non è vittima di un regolamento di conti, e nemmeno la sua morte è opera di uomini che odiano le donne.
Perché Maria era clandestina, una senza documenti. E, in quanto clandestina, non voleva essere identificata dagli agenti in borghese che hanno bussato alla porta del suo appartamento...

Fatti e disfatti

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Fatti e disfatti

Come diceva un intellettuale immune da virus sovversivi, «le notizie sono gli avvenimenti e gli avvenimenti non esistono senza le notizie. Una notizia sarebbe dunque ciò che un'agenzia di informazioni scrive di un fatto reale o inventato, poiché il fatto in sé non diventa tale se non attraverso la notizia che lo tiene a battesimo, e acquista la precisa importanza che la notizia – letteralmente – gli dona. Si deduce da ciò che senza agenzie non si avrebbero più notizie: per l'uomo della strada nulla più accadrebbe nel mondo... Accadono infatti sulla terra, in ogni secondo di un tempo teoricamente simultaneo, un numero immenso di nascite e morti, progetti e sconfitte, azioni e invenzioni, discorsi e “prese di coscienza”, decisioni e accidenti: ma, per il pubblico, il loro valore di “fatti” dipende da quel che decidono le agenzie. Nell'infinita congerie di ciò che accade (o non accade) nel mondo, la stampa sceglie, nottetempo, un ristretto numero di temi, li manipola, li drammatizza e, in virtù di una tacita intesa, li impone all'attenzione dei popoli e dei loro dirigenti... L'irrealtà di questo nostro secolo dipende dal fatto che la “realtà” alla quale noi ogni mattina crediamo è costruita soltanto dalla stampa e dalla radio, e spesso soltanto per loro proprio uso».

L'idolatria

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L'idolatria

Paolo Schicchi

Vi è mai successo di assistere alla venuta d'un gran sovrano in una città dove non lo si era mai visto per lo innanzi?
Una folla di babbei si accalca alla stazione parecchie ore avanti l'arrivo annunciato. Dappertutto gente ansiosa che va, viene, corre di qua e di là, si domanda reciprocamente: «È arrivato? – Quando arriva?». Ogni rumore di locomotiva, ogni fischio di vaporiera passa di bocca in bocca, attraversa in ogni senso la città: «È lui! – Non è lui! – Verrà! – Non verrà!».
Finalmente il treno reale arriva, un Oh! formidabile esce da tutti... gli intestini, le musiche intonano la marcia reale, il cannone saluta, dovunque nelle più recondite vie folla che accorre, babbei che affaticati annunziano l'arrivo e finalmente la serie interminabile dei vivaaaa! dei servi e degli idioti.

Dall'altra parte

Brulotti

Dall'altra parte

Contro il gasdotto TAP e i suoi sostenitori

Introduzione
 

Questo è un dossier che intende spingere alla lotta.
È un punto fermo che, i pochi lettori attenti che troverà, dovranno tenere sempre presente. La realizzazione di questo opuscolo mira esclusivamente a stimolare una opposizione e una lotta tese a contrastare l’ennesima nocività che si intende far passare, impunemente, sulle nostre teste.
Altro aspetto importante da chiarire è che non abbiamo pretese di obiettività; non aspiriamo quindi ad essere imparziali e a fornire indicazioni e informazioni oggettive. Al contrario, questo è un opuscolo assolutamente di parte, voluto e realizzato da alcuni individui che, trovatisi di fronte all’imposizione di un gasdotto da realizzare nel territorio in cui vivono, si sono schierati dall’altra parte rispetto a tutti coloro che quell’opera vogliono realizzare: che si tratti di una joint-venture di imprese multinazionali che risponde al nome di TAP (Trans Adriatic Pipeline) come di partiti che sostengono la necessità di tale progetto; che siano persone fisiche che intendano indorare la pillola – quali professori universitari, giornalisti, esperti ed imprenditori di turno – oppure astratti “interessi superiori” ad ogni singola persona, quali le necessità energetiche dell’intera Unione Europea. E se la nostra assoluta parzialità la rivendichiamo con orgoglio, è bene far luce da subito sul fatto che, chi agisce in senso opposto al nostro, sotto la tanto sbandierata oggettività, imparzialità e democraticità delle proprie scelte, tenta di celare i propri interessi, che sono gli interessi di un capitalismo transnazionale e di un’economia globalizzata che non possono coincidere con quelli della gente comune, ma sono finalizzati al profitto di pochi a discapito dei moltissimi.

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