Brulotti

Semplici galleggianti carichi di materiale esplosivo lanciati alla deriva nel tentativo di incendiare le navi nemiche, in senso figurato i brulotti sono piccole idee suscettibili di provocare danni nei luoghi comuni che rendono triste ed opaca la nostra esistenza. Ogni pretesto è buono per simili tentativi: la riflessione su un fatto del giorno, l'intervento in una lotta, l'annuncio di una iniziativa, la riproposizione di testi dimenticati...

Non ho nessuna classe!

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Non ho nessuna classe!

Chiedetelo ai miei amici e ve lo diranno: non ho nessuna classe... Me ne sono andato dall'università dopo qualche semestre e quella è stata la fine delle classi per me.
Ho menzionato le classi delle università perché persino i marxisti e i sindacalisti non sono abbastanza stupidi da pensare che le classi universitarie siano cose in sé o comunque esseri collettivi che possano agire da sé. Gli ideologi più ottusi capiscono che le classi universitarie sono attività, rapporti stabiliti fra individui che recitano i ruoli di professore e studente. Quando non c'è nessuno in classe a recitare questi ruoli, non c'è nessuna classe. E, dato che non sono andato in classe per anni, di certo non ho nessuna classe.

Una serie di passi

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Una serie di passi

André Breton

Sì, a sera, verso le sette, le piace trovarsi nel metrò in uno scompartimento di seconda classe. La maggior parte dei viaggiatori sono persone che tornano dal lavoro. Si siede fra loro, cerca di sorprendere su quei volti ciò che li può preoccupare. Pensano certo a ciò che hanno lasciato fino all’indomani, solo fino all’indomani, e anche a quanto li attende la sera, motivo di distensione o di inquietudine ancora più grande. Nadja fissa qualcosa a mezz’aria: «C’è della brava gente». Turbato più di quanto non voglia apparire, questa volta mi impunto: «Ma no. E poi non è questo il problema. È gente che non può avere nulla di interessante dal momento che sopporta il lavoro, con o senza tutte le altre miserie. Che cosa li potrebbe innalzare se la rivolta non è in loro la più forte?

La repressione dell'anarchismo

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La repressione dell'anarchismo nella Russia sovietica

Gruppo degli anarchici russi esiliati in Germania

Un giorno o l'altro, lo storico si fermerà stupito e atterrito dinanzi alle pagine che riferiscono le persecuzioni che il governo comunista ha fatto subire ai princípi libertari, ai loro discepoli, propagandisti e militanti; deporrà queste pagine con un moto d'orrore. In un primo tempo, non vi crederà. Quando vi crederà, allora si persuaderà della loro sconvolgente veridicità e le definirà le pagine più nere della storia del comunismo statale. Cercherà allora con coraggio la chiave della spiegazione storica e psicologica di questa epopea.
Ma come si può parlare da storici quando ancora oggi a molti anarchici all'estero pare inverosimile che il «potere dei Soviet» possa perseguitare dei militanti per le loro convinzioni, dei rivoluzionari sinceri e devoti alla causa dell'anarchismo? Molti compagni ancora dubitano che un governo comunista possa ridurre al silenzio la stampa, ogni possibilità di espressione ed il pensiero anarchico stesso. Malgrado tutto, alcuni continuano ad esitare nel loro atteggiamento e nella loro interpretazione dei fatti che pure vanno accumulandosi.
Una tale ostinata incredulità è, a dire il vero, ben strana. È per noi forse motivo di sorpresa la persecuzione dell'idea anarchica e dei suoi seguaci da parte del potere socialista statale?

I giorni dell'odio

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I giorni dell'odio

Nessun libro, nessuna opera umana segna un punto definitivo a proprio vantaggio nello scontro con la realtà. Quest’ultima è sempre qualche passo in avanti. Un residuo religioso ci spinge a vedere, nelle grandi analisi e nelle grandi esperienze, la nostra “guida”, e a raccogliere e a numerare queste analisi e queste esperienze in brevi elenchi capaci, secondo noi, di indicarci la strada. Ma la realtà non accetta imitazioni bibliche.

Santificare un testo può essere utile per molti motivi, tutti funzionali alla costruzione del potere. Anche se si tratta di un “nuovo” potere, la cosa non sposta. Abbiamo, per anni, giurato su Marx. Cerchiamo di evitare, adesso, di giurare su qualcos’altro.

E a santificare i testi prestano man forte proprio gli esegeti, i prefattori, i ricercatori, i sistematori. «Dio mio! — esclamava Cœurderoy — salvatemi dai facitori di prefazioni».

Non siamo schiavi

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Non siamo schiavi

Non siamo schiavi, siamo dinamite. Così titolava un manifesto affisso sui muri qualche anno fa per difendere due anarchici arrestati dopo una rapina in banca. Una frase minacciosa per i potenti, ma su cui riflettere bene. Perché non dobbiamo rovesciarla. Noi non siamo dinamite perché siamo degli schiavi. Siamo dinamite perché non saremo schiavi, perché non vogliamo essere schiavi. C'è un mondo intero di differenza fra queste due espressioni. Un mondo che distingue gli anarchici da tutte le altri correnti che si pretendono rivoluzionarie.
Non è la nostra condizione di vita – l'essere proletari o operai, poveri o clandestini – a farci diventare ribelli. Non è sull'attuale deterioramento delle condizioni di sopravvivenza che dovremmo farci delle illusioni e pensare che stia per saltare tutto perché tutto va sempre peggio.

Che la paura cambi di campo!

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Che la paura cambi di campo!

Il vero e proprio bastione del potere, del sistema sociale di oppressione e sfruttamento, forse non è tanto la sua polizia e la sua capacità di acquisire il consenso di coloro che lo subiscono, quanto la paura, che sembra essere un'alleata temibile del potere, un'alleata difficile da abbattere. Paura di perdere la scarna sicurezza dei mezzi di sussistenza che restano; paura di perdere perfino la triste prospettiva di una vita trascorsa a faticare; paura di perdere quel che c'è, per quanto miserabile sia. Se il coraggio può spostare montagne, la paura ne costituisce di sicuro le principali fondamenta.

Ma queste fondamenta non sono immutabili... possono essere d'argilla. Per poco che uno slancio prenda il via, che la dignità si drizzi in piedi, che il desiderio di avventura e di libertà sgorghi finalmente dal profondo della nostra anima mutilata da questo mondo tecnologico, la paura comincia a dissiparsi. Essa può allora cedere il posto a ciò che l'individuo ha di migliore in sé: la lotta e la solidarietà contro tutto ciò che ci opprime.

Lo sciopero elettorale

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Lo sciopero elettorale

Con sadica gioia e nazionale fierezza, non vedo l’ora che fra qualche giorno si apra il periodo elettorale. Si può persino affermare che lo sia già, che lo è sempre stato e che, visti i nostri costumi parlamentari e i nostri gusti politici, che sono quelli di disprezzarci gli uni con gli altri, questo non modificherà nulla delle nostre abitudini e dei nostri piaceri. Ma ciò che è impossibile prevedere è la sua fine, e se mai avrà una fine. Dio non voglia!

Non si potrà più fare un passo per strada senza essere sollecitati, adescati, entusiasmati da forti e diverse distrazioni, in cui il piacere degli occhi si mescolerà alle gioie dello spirito, senza veder stagliarsi l’infinita idiozia, l’infinita stoltezza della politica sui muri, sui tronchi d’albero, sui pali indicatori. Ogni casa sarà trasformata in sezione; in ogni pubblica piazza ci saranno raduni urlanti; dall’alto di ogni pulpito, bizzarri personaggi vomitati da chissà quali misteriose casseforti, strappati all’appiccicosa oscurità di chissà quale caverna giornalistica, gesticoleranno, sbraiteranno, abbaieranno e, con gli occhi iniettati di sangue, la bocca schiumante, ci prometteranno la felicità.

Libertà

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Libertà

«Cento volte respinti, intraprendiamo per la centunesima volta l’attacco. Veramente! questi sono cattivi profeti, che proclamano la morte dell’anarchismo! Finché esisteranno sfruttamento e servitù, esso non potrà morire».
Con queste parole un giornale anarchico iniziò la sua pubblicazione più di cent’anni fa a Zurigo, e queste sono le parole con cui anche noi vogliamo iniziare il nostro Aufruhr (tumulto, rivolta).
I tempi sono cambiati, e con essi anche le forme di servitù, tuttavia la nostra idea di libertà senza compromessi è rimasta la stessa.
Una libertà che è inconciliabile con qualunque forma di dominazione, sia essa dittatoriale o democratica, brutale o sottile, materiale o mentale.
Ed è questo desiderio ardente di libertà, non come lontano ideale, ma qui e adesso, che ci porterà eternamente sul sentiero della ribellione…

Perché siamo intempestivi

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Perché siamo intempestivi

Quando ci guardano, gli abitanti di questo mondo scuotono la testa. Che siano soddisfatti o tristi, felici o arrabbiati, non ci capiscono. Ai loro occhi appariamo folli, insensati, patetici, inefficaci. Comunque colpevoli. Gli uni ci accusano di non muovere un dito per fare carriera all'interno di quanto ci circonda, trascorrendo la nostra esistenza ai suoi margini. Gli altri ci rimproverano che proprio quando un mondo in rovina reclama la nostra presenza, noi ce ne estraniamo. Perché ci ostiniamo ad andare alla deriva, ovvero da nessuna parte, anziché organizzarci per arrivare? Per entrambi, non facciamo altro che sprecare i nostri giorni.
Evidentemente, la nostra prospettiva non è quella degli abitanti di questo mondo. Loro, in questo mondo, vogliono prendere posizione. Lo osservano da vicino, sempre più vicino, ne respirano l'aria, ci sguazzano dentro, vi prendono parte e partito. A noi, questo mondo, fa talmente ribrezzo che lo vogliamo solo sconvolgere. Lo osserviamo a distanza, ma solo per scoprire dove sia il punto migliore per attaccarlo. Non è esattamente la stessa cosa.

Insurrezionismo o evoluzionismo?

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Insurrezionismo o evoluzionismo?

Errico Malatesta

È vecchio tema quello di rivoluzione e evoluzione, continuamente discusso, e continuamente rinascente, a causa soprattutto dell'equivoco prodotto dal vario significato che si può dare alle due parole. La parola evoluzione a volte si prende nel senso generico di cambiamento ed allora afferma un fatto generale della natura e della storia sul quale si può discutere dal punto di vista della scienza, ma che non è messo in dubbio da nessuno nel campo della sociologia; a volte si prende nel senso di cambiamento lento, graduale, regolato da leggi fisse nel tempo e nello spazio, che esclude ogni salto, ogni catastrofe, ogni possibilità di essere affrettato a ritardato e sopratutto di essere violentato e diretto dalla volontà umana in un senso o nell'altro, ed allora essa vuole contrapporsi alla parola ed all'idea di rivoluzione.
In realtà la vecchia discussione non è stata mai altra cosa, nel campo della contesa sociale, che il tentativo di giustificazione teorica di precedenti propositi; e la «scienza», la «filosofia della storia» ed altre parole grosse non han servito che ad intorbidire la questione, ed a nascondere il pensiero e le intenzioni vere dei contendenti.

Terra bruciata

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Terra bruciata

L'aria che respiriamo diventa ogni giorno più polverosa. L'intera città sembra essere in corso di ristrutturazione. Le gru si drizzano sopra le nostre teste, grandi opere vengono avviate, vecchi edifici sono trasformati in loft. Il volto di Bruxelles sta per cambiare, il potere ha deciso così. Parlano di progresso, di maggiore durata, di miglioramenti, di sicurezza. Tutte parole che vogliono dire la stessa cosa: ordine, ordine e ancora ordine.

Ogni progetto di rinnovamento, ogni nuova costruzione, ogni cantiere rivela l'antico sogno dei potenti: trasformare l'ambiente per trasformare gli individui. Per loro, un prigioniero messo in una gabbia dorata non si ribellerà così in fretta di quando si trova rinchiuso in una lurida cella. Per noi anarchici, la questione non è mai stata il colore e la dimensione delle gabbie, ma la loro stessa esistenza.
Le avete già viste — tutte quelle brave persone, quei gentili artisti-architetti coi loro computer portatili, quegli accademici creativi che pretendono di rendere il quartiere "più accogliente"!

Mandateli lassù!

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Mandateli lassù!

Luigi Galleani

I politicanti di talento, di reputazione incontestabile, idolo e segnacolo del partito socialista, li abbiam visti umiliarsi e mentire intorno al suffragio universale per acquistare il diritto a mendicarlo; li vedremo ora abiurare, rinnegare, umiliarsi, transigere e mentire intorno alla funzione ed al valore dello Stato per proclamare il loro diritto alla prebenda, alla pagnotta, alla cuccagna.

 

Che cos'è lo Stato?
Non domandiamolo a Bakunin ed a Kropotkin: scienziati, filosofi, uomini di pensiero e d'azione eroicamente sinceri, non rinnegarono mai né per paura, né per lusinghe, né per calcolo la fede dei primi giorni, rimasero anarchici e sarebbero come tali cattive pietre di paragone alle ciniche e studiate apostasie dei socialisti girella a cui la fede è mercenaria ruffiana della fortuna, non viatico dell'abnegazione, stimolo alla sincerità ed al sacrifizio.

Tu ti lamenti...

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Tu ti lamenti, ma che ti lamenti...

Lo zoo politico italiano – già infestato da squali, coccodrilli, serpenti e struzzi – si è arricchito di un nuovo esemplare: il Grillo. Il Grillo è quel bizzarro animale che, dopo aver urlato e strepitato per anni contro il Palazzo del potere ed i suoi ignobili abitanti, ora sta cercando di conquistarlo. In effetti, è proprio «una cosa pazzesca». Ma a noi non fa ridere affatto. La politica ha raggiunto un tale livello di putrefazione e di meschinità da aver generato attorno a sé solo disprezzo, diffidenza ed ostilità. A parte la clientela abituale dei partiti, chi volete che creda ancora nella parola dei politici? Se c’è un insegnamento che si può trarre dal continuo alternarsi della destra e della sinistra alla guida del governo, in Italia come all’estero, è che chiunque metta le mani sul potere finisce poi immancabilmente per abusarne.
Che se ne vadano tutti, il grido di battaglia lanciato qualche anno fa dai manifestanti argentini esasperati da secoli di oppressione, non conosce angolo del pianeta in cui possa risultare incomprensibile.

La fine del trasporto pubblico

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La fine del trasporto pubblico

Tutti vogliamo andare da qualche parte. Non sarebbe esagerato affermare che è nella stessa natura umana andare, non restare fermi, partire alla scoperta. Relativamente incapace di sradicare del tutto questa pulsione, il potere si dedica piuttosto a determinare in anticipo la destinazione delle nostre strade, delimitandone bene i campi che accolgono la scoperta dei territori proibiti. Andare a scoprire il nuovo centro commerciale, gustare un surrogato della natura in un parco pubblico, gettarsi nell'ignoto di un nuovo impiego, fare festa in luoghi predestinati ad evitare ogni gioioso e quindi incontrollabile eccesso... ecco alcune delle destinazioni che ci vengono offerte. Ma la questione non riguarda solo la destinazione. La critica di questo fantomatico mondo messo in scena dal potere e dalla merce s'incaglierebbe se non comprendesse che è il percorso stesso a condizionare la destinazione.

L'espropriazione

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L'espropriazione

Erinne Vivani

Fin dalle epoche più remote esistevano uomini — paragonabili agli odierni pescecani — che, servendosi della forza brutale e dell'astuzia, si appropriavano del patrimonio comune.
Se si fossero limitati a ciò, sarebbe stato poco male, in quanto che i danneggiati, adottando i sistemi dei loro predoni, avrebbero potuto, forse, riconquistare i beni perduti, rivalendosi magari sugli altri.
Il vero male sorse invece allorquando detti predoni, per consolidare e aumentare i prodotti del furto, costituirono l'autorità e pretesero di dettar leggi al mondo e precisamente a coloro che erano stati da essi usurpati.
Si ebbero, in tal modo, da una parte i tiranni e dall'altra gli schiavi.

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