Brulotti

Semplici galleggianti carichi di materiale esplosivo lanciati alla deriva nel tentativo di incendiare le navi nemiche, in senso figurato i brulotti sono piccole idee suscettibili di provocare danni nei luoghi comuni che rendono triste ed opaca la nostra esistenza. Ogni pretesto è buono per simili tentativi: la riflessione su un fatto del giorno, l'intervento in una lotta, l'annuncio di una iniziativa, la riproposizione di testi dimenticati...

Poveri

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Poveri

Molto spesso si tende a prestare attenzione solo a ciò che è materiale, misurabile quantitativamente. Così siamo portati a considerare la miseria che regna in questa società unicamente dal punto di vista della povertà materiale, in altre parole della mancanza di denaro. Ma il capitalismo non ci toglie soltanto i mezzi materiali per vivere come meglio ci aggrada. Non ci obbliga soltanto ad andare a lavorare o a genufletterci davanti alle istituzioni di beneficenza sociale. Non ci impone soltanto di sopravvivere in un ambiente contaminato dall'industria, intossicato dalla sua produzione di oggetti inutili e nocivi, irradiato dal suo impressionante apparato nucleare che rende tutti dipendenti dallo Stato e dai suoi specialisti di fronte ai rischi e alle catastrofi conseguenti. No, non si tratta solo di questo.

Il prete

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Il prete

Il prete è quel pezzo di birbante che dalla penombra della sacristia e del confessionale cospira contro la felicità del genere umano.
È l'inquisitore delle anime che cerca di sondare nel sacrario della famiglia per scoprire i segreti più intimi e i misteri delle alcove.
È il maiale nero che corrompe il cuori più vergini, che attenta all'onore delle fanciulle e alla fedeltà delle spose.
È l'uccellaccio di malaugurio che pronostica la fine del mondo, cher terrorizza lo spirito vacillante dei bambini con gli spauracchi dell'inferno.
È l'immonda bestiaccia che fiuta la morte, che s'aggira intorno ai moribondi ed ai cadaveri come la iena, per ghignare sinistramente in faccia al dolore, sulle disgrazie.

Davanti ai giudici

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Davanti ai giudici

François Claudius Kœnigstein, detto Ravachol

Se prendo la parola, non è per difendermi degli atti di cui mi si accusa, poiché solo la società che, con la sua organizzazione, mette gli uomini in continua lotta gli uni contro gli altri, è responsabile. E in effetti, non vediamo in tutte le classi, in tutti gli ambienti, persone che desiderano, non dico la morte, poiché suonerebbe male all’orecchio, ma la disgrazia dei loro simili se questa può procurare loro dei vantaggi?
Esempio: un padrone non si augura di veder sparire un concorrente? Tutti i commercianti, in generale, non vorrebbero, reciprocamente, essere i soli a godere i vantaggi che possono venire dalla propria industria?
L’operaio senza impiego non sogna, per ottenere del lavoro che, per un qualsiasi motivo, colui che è occupato venga licenziato?
Ebbene, in una società dove si producono simili fatti non devono sorprendere atti come quelli che mi si rimproverano, i quali non sono altro che la logica conseguenza della lotta per l’esistenza tra gli uomini che per vivere sono obbligati ad impiegare tutti i mezzi possibili. Dal momento che ciascuno deve pensare a sé, colui che si trova nella necessità deve agire. Ebbene! Poiché così è, quando ho avuto fame non ho esitato ad impiegare i mezzi che erano a mia disposizione a rischio di fare delle vittime.

Lavoro

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Per la critica del lavoro

Günther Anders

Per proletariato s'intendeva, cent'anni fa, quella massa di persone che dovevano vendere il loro tempo di lavoro e la loro forza di lavoro, e che non erano proprietari dei loro mezzi di produzione e della maggioranza dei loro prodotti. Oggi noi (anche quando, come salariati o stipendiati, possediamo un'automobile, un frigorifero, ecc.) siamo non proprietari in un senso molto più pauroso. Poiché non siamo proprietari dello scopo del nostro lavoro e degli effetti del nostro lavoro. Con ciò non voglio dire soltanto che, nel nostro lavoro, non vediamo davanti a noi il prodotto finito, la sua finalità e il suo impiego; ma che essi non possono e non devono interessarci in alcun modo. Che si lavori in una fabbrica di dentifrici o in campo di sterminio o in un cantiere per l'installazione di missili atomici (in Turchia, a Okinawa, in Italia o a Cuba), è sempre proibito, o passa addirittura per ridicolo chiedersi se ciò che si è prodotto sia approvabile o riprovevole, e non ci viene più nemmeno in mente di chiedercelo. Poiché la grandezza delle industrie e la divisione del lavoro fanno sì che il prodotto finito e il suo impiego non balenino più nemmeno per un istante agli occhi dei lavoratori. Questa circostanza ci toglie perfino la libertà di chiedere. Lasciamo sempre la morale nel guardaroba della fabbrica, per indossarla di nuovo nel dopo lavoro. Che cosa significa questo?

Lo sventramento di Firenze

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Lo sventramento di Firenze

Trivio dei Tumultuosi

Nel 1885, un’amministrazione comunale preoccupata per le gravide tensioni sociali, sollecitata da imprenditori avidi e con l’ausilio di un giornalista servo e bigotto, diede inizio alla distruzione dell’antico centro storico di Firenze, nel nome del “progresso” e della lotta al “degrado”. Stessi pretesti, stessi metodi di oggi. Quei fatti lontani nel tempo — drammaticamente attuali — vengono qui rievocati. I motivi per cui abbiamo organizzato questa mostra sono semplici. Pur vecchia di ormai due secoli, la storia dello è terribilmente attuale. Essendo assai istruttiva su cosa sia sempre stata l’urbanistica, ovvero la programmazione degli spazi pubblici secondo una concezione mercantile e poliziesca dell’esistenza umana, fa capire bene cosa si nasconde anche oggi dietro le dichiarazioni dei burocrati che amministrano le città. La devastazione compiuta dal vecchio «piano di riordinamento del centro storico» annuncia quella dell’odierno «piano di indirizzo territoriale». Lo sventramento di Firenze non si è concluso alla fine dell’Ottocento — continua ancora oggi. Sta a noi fermarlo.

Il flagello (lo sport)

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Il flagello (lo sport)

Tito Eschini

Il mondo antico ed il medio hanno avuto i loro flagelli, l'invasione irrompente dei popoli barbari che mettevano a ferro e a fuoco i territori invasi, che distruggevano quanto la scienza e la civiltà di quei tempi avevano dato; la peste bubbonica, il colera ed altri simili che decimavano gli uomini e arrestavano il corso della civiltà colle loro violente epidemie. L'evo moderno ne ha molti di flagelli, uno dei principali, di cui è nostro compito in questo scritto trattare, è lo sport. Lo sport è un flagello di contraria apparenza, ha forme tutte diverse dagli altri, forme allettevoli e divertenti e per gli sportmen di professione molto proficue e remunerative, ma per questo non cessa di esser meno pernicioso, poiché lo sport è il flagello del vero progresso e dell'intelligenza umana.
Oh! facciano pure la smorfia del disgusto gli sportmen e tutta quella gente che da questo ritraggono un beneficio morale e speculativo, la dirò ugualmente la mia verità sulle conseguenze imprescindibili di questa stupida quanto barbarica passione, su questo forzato tentativo di ritorno al passato.

L'antifascismo e noi

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L'antifascismo e noi

L'Antifascismo è un conglomerato eterogeneo apparso sulla scena politica italiana assai tempo dopo l'avvento del fascismo al potere. È composto da uomini politici, provenienti e aderenti ai partiti più diversi, animati da uno scopo comune: l'abbattimento del fascismo e la liberazione del popolo italiano dallo stato di soggezione medioevale a cui il regime fascista lo ha ridotto.

Anche noi anarchici lottiamo per la libertà del popolo italiano, in quanto lottiamo per la libertà di tutti gli esseri umani. Ma appunto perché la nostra avversione pel fascismo ha più profonde radici nella nostra rivolta contro il capitalismo stesso che quello determina, così il nostro antifascismo è anteriore e più radicale di quello dei partiti che ne hanno monopolizzato il nome.
Nonostante la superficiale apparente comunanza di scopi immediati, con questi uomini e partiti, noi abbiamo ritenuto sempre più opportuno esplicare la nostra attività indipendentemente, e non abbiamo aderito né intendiamo aderire all'antifascismo politicante, né nel suo insieme, né nelle sue singole frazioni che sotto diverse insegne: «fronte unico», «Concentrazione», «Giustizia e Libertà» ecc., tendono alla stessa meta.

Arte-fatto

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Arte-fatto

Nella sua esigenza di totalità, di sconvolgere il mondo che conosciamo nel suo insieme, la rivolta non può non estendersi anche all’ambito delle parole e delle immagini, dove l’arte occupa uno spazio predominante. A sua volta l’arte non sopporta limiti e regole, di cui è nemica per natura; ecco perché spesso si è giunti a legare intimamente l’arte alla rivoluzione, a vedere gli artisti come rivoluzionari e viceversa.
Per questi motivi, le avanguardie artistiche che si sono richiamate più o meno esplicitamente al progetto rivoluzionario (dadaismo, futurismo, surrealismo, Internazionale Situazionista) sono state sovente portate come dimostrazione pratica della sostanziale complicità fra arte e rivoluzione ed hanno sempre esercitato un certo fascino, rappresentando secondo alcuni il "superamento dialettico" dei limiti dell’arte e della politica.
Le avanguardie artistiche e quelle politiche hanno molti difetti in comune. Entrambe certe di possedere una capacità superiore agli altri nel proprio campo specifico, pretendono di erudire "chi è rimasto indietro", finendo così con l’indicare, il teorizzare, lo scomunicare. Il lato comico è che non si rendono conto che alla stragrande maggioranza delle persone non interessa proprio nulla della loro attività specifica, e che la rivoluzione di cui vanno cianciando non si farà grazie al loro apporto ma contro di loro.

Lettera ai suicidi

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Lettera agli aspiranti suicidi

Se ci rivolgiamo a voi, uomini e donne che siete arrivati in fondo al disgusto e che niente e nessuno potrà più sottrarre a un tragico destino, non è per ricordarvi un dovere inesistente nei confronti di una vita che non merita di essere vissuta.

Non mancheremo di rispetto alla vostra decisione, perché voi e solo voi siete in grado di conoscere l’esatta misura del dolore e dell’angoscia che stanno avvelenando la vostra esistenza. Chi non prova quel dolore, quell’angoscia, chi non li ha mai nemmeno sfiorati perché baciato dalla fortuna o rincoglionito dalla fede, non ha ragione alcuna di biasimare la vostra fatale determinazione.

Non vogliamo quindi impartirvi alcuna predica, né trattenervi dal mettere in atto il vostro proposito. Intendiamo solo chiedervi un favore, un piccolo favore per voi che avete deciso di abbandonare questo mondo, ma che darebbe una gioia enorme a noi che per il momento abbiamo deciso di rimanerci.

Testamento

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Testamento

Jean Meslier

Miei carissimi amici, poiché non mi sarebbe stato permesso, e avrebbe avuto conseguenze troppo pericolose e spiacevoli, dire apertamente in vita ciò che pensavo del modo in cui sono retti e governati gli uomini, delle loro religioni e dei loro costumi, ho deciso di farvelo almeno sapere dopo che fossi morto. Sarebbe sì, certo, mio desiderio dirvelo a viva voce prima di morire, se mi accorgessi di essere vicino alla fine dei miei giorni, e in tale situazione fossi ancora, al tempo stesso, in grado di giudicare e di esprimermi. Ma, siccome non sono sicuro di avere in quegli ultimi giorni, in quegli ultimi momenti, né il tempo né la presenza di spirito che mi sarebbero necessari per rendervi partecipi delle mie idee, ho deciso di esporvele qui per iscritto e di darvi, al tempo stesso, prove chiare e convincenti di quanto ho in animo di dirvi sulla questione, nel tentativo di disingannarvi, per tardi che sia e nei limiti delle mie possibilità, sui vari errori nei quali tutti noi, indistintamente, abbiamo avuto la disgrazia di nascere e di vivere e dei quali, anzi, io stesso ho avuto il dolore di trovarmi costretto a parlarvi.

A distanza

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A distanza

"Killing King Abacus"

Haussmann non ha inventato la progettazione della città; già i romani e i cinesi antichi pianificavano le città. Quelle moderne vennero progettate e costruite nelle colonie britanniche e francesi prima che in Europa. Washington DC venne progettata e costruita su di un’area vuota decenni prima che Haussmann rimodellasse Parigi. La differenza è che Haussmann costruì la sua nuova capitale sopra la vecchia Parigi, una città preindustriale. La Parigi di Haussmann a proposito dell’architettura confacente al capitalismo e allo stato-nazione rivela più di quanto non faccia L’Enfant’s D.C, perché ci mostra cosa Haussmann scelse di distruggere e cosa scelse di costruire. Nella sua demolizione dei quartieri poveri e dei vecchi vicoli possiamo vedere che cosa egli considerasse una minaccia.

A Parigi i viali stavano già sostituendo le strade strette due decenni prima che Haussmann assumesse il suo incarico, ma su scala assai minore. Durante la rivoluzione del luglio 1830 ai soldati governativi venne giocato un brutto tiro: i larghi cubi di granito usati per pavimentare i nuovi viali furono portati in cima agli ultimi piani delle case e lanciati sulle teste dei soldati. Queste lastre di pietra divennero una risorsa comune come materiali di costruzione delle barricate. Nel 1830 ne vennero erette seimila.

L'ipocrisia religiosa

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L'ipocrisia religiosa

Michail Bakunin

Gli ipocriti religiosi, i tartufi hanno un bel dire: non vi è possibilità di transazione o di compromessi con Dio. Dal momento che si proclama la sua esistenza, esso vuol essere tutto, invadere tutto, assorbire tutto. Se esso esiste, tutto deve scomparire, esso è solo e da solo vuole occupare i cuori dei suoi sudditi, la cui stessa esistenza, a rigore, sarebbe già in contrasto con il suo essere; così di tutte le religioni conosciute, il buddhismo mi sembra la più conseguente perché il suo culto non ha altro scopo che il progressivo annichilimento degli individui umani nel niente assoluto, in Dio. È certo che se Dio avesse una esistenza reale, né il mondo né di conseguenza i credenti sarebbero mai esistiti. Solo egli sarebbe: l’Essere unico, il solitario assoluto. Ma siccome egli esiste solo nell’immaginazione e grazie alla fede dei credenti, gli è stato giocoforza far loro questa importante concessione, tollerare che anch’essi esistano, al suo fianco, malgrado la logica; ed in ciò risiede una delle fondamentali assurdità della teologia. Così egli fa loro pagare assai cara questa concessione forzata ed unica, poiché esige da essi subito che, annientandosi perennemente in lui, non cerchino e non trovino la loro esistenza che in lui e non adorino nient’altro che lui: ciò che vuol dire, che essi devono rompere ogni solidarietà umana e terrestre per adorarsi in lui. Dio è l’egoismo idealizzato, è l’Io umano elevato ad una potenza infinita.

Terrore e unità nazionale

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Terrore e unità nazionale

Questo mondo produce quotidianamente orrore. Nelle guerre che gli Stati si fanno tra di loro, o contro gruppi che – benché non si possano definire propriamente Stati – non anelano che al potere e al dominio sociale e politico. A suon di bombe o di altre armi che colpiscono ben oltre i cosiddetti avversari indicati, che colpiscono cioè centinaia e migliaia di individui che non chiedono di partecipare a queste guerre, in ogni caso che non desiderano creparvi. Il massacro e la mutilazione permanenti si estendono fin nelle conseguenze sociali che derivano dal capitalismo: col suo lavoro, la sua industria, le sue nocività, le malattie che provoca copiose. Giorno, dopo giorno, dopo giorno.
Questo orrore diffuso diventa banale, lo si evoca citando cifre: dieci morti qui, trenta morti là, centinaia e migliaia di feriti. Banale come un'ecatombe in seguito a uno tsunami, a un terremoto, fatale come lo sono i periodici furori e scatenamenti della natura. Lo si evoca (talvolta per alcuni è più utile evocare il dramma che tacerlo, anche le lacrime possono essere produttive in modo interessante in questo mondo putrefatto), lo si fa scivolare nelle notizie di cronaca, rapidamente, perché in fondo non c'è nulla di sostanziale da dire.

Tempo

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Tempo

Alfredo M. Bonanno

Noi non possediamo una nozione fissa di tempo. Quella astronomica è una delle tante nozioni aritmetiche che vengono vissute dall’individuo in modo diverso e ciò in relazione alla sua situazione. In altre parole, il tempo è un problema relazionale. Anche la distinzione, certamente possibile, tra “durata” e “tempo” non sfugge a questa constatazione, la quale è tutt’altro che psicologica ma, al contrario, “sociale”. È la situazione sociale che condiziona la percezione del tempo, come per altro qualsiasi altra “percezione” dell’individuo. E ciò, ovviamente, nei limiti e nelle forme in cui questo condizionamento avviene, non nelle chimere e nelle fantasie dei deterministi e dei meccanicisti.
Ad esempio, se una maggiore o minore disponibilità di tempo libero è certamente da porsi in relazione ad una certa collocazione di classe (maggiore tempo libero per le classi più elevate, mediamente, s’intende), si verificherà che gli appartenenti a queste classi svilupperanno una dilatazione dell’unità temporale percepibile, sempre sulla base del condizionamento comune prodotto dal modello astronomico, la quale sarà più ampia per gli appartenenti alla classe privilegiata e più ristretta per i miserabili costretti a passare la loro vita nel chiuso di una fabbrica.

Ri-ven-di-ca-zi-oni

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Ri-ven-di-ca-zi-oni

Agustin Garcia Calvo

«Che cosa volete, bambini miei? Posti di lavoro? L’autonomia regionale? Un aumento di salario? Il voto a quindici anni? La pensione a quarantacinque? L’uguaglianza dei sessi? Continuate a chiedere in ordine e tutti i vostri reclami saranno ben trattati con la dovuta forma».
Ogni favore che il Signore concede lo consolida, in quanto egli è il Signore. Ma il fatto è che i soggetti ottengono anche quello che vogliono. Quello che vogliono? Sì, e cammin facendo imparano a volere ciò che vien loro ordinato.
Chiedo al Signore il permesso di innamorarmi di mia zia?
Vecchio mio, che idee hai! Questo non lo si domanda al Signore.
Perché? È prematuro: non è stato ancora creato un ministero delle Relazioni erotiche. Ma lo si sta per creare? Senza dubbio, e allora potrai reclamare il diritto di innamorarti di chi vorrai. Per il momento, abbi pazienza; e dimmi, intanto, perché non reclami il diritto di importare liberamente automobili australiane? Non è una vergogna aver voglia di un’automobile australiana (giacché è tuo diritto averne voglia. Non si è forse padroni della propria volontà? Perché allora si vuole il denaro che si guadagna, se non si può spenderlo per ciò che si vuole?).

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