«Un popolo che è disposto a rinunciare ad un po’ della sua libertà
in cambio di un po’ di sicurezza non merita né l’una né l’altra»
Benjamin Franklin
È una questione di cui si fa un gran parlare, ma la cui diagnosi è secca. A destra o a sinistra, il verdetto è unanime: viviamo in un «clima di insicurezza».
Ogni giorno i notiziari ci rovesciano addosso litri di sangue raccolti sui luoghi teatro di agguati, stupri, omicidi. Fatti cruenti descritti e filmati con maniacale dovizia di particolari, sì da far correre orribili brividi lungo la nostra spina dorsale già indebolita dalle quotidiane genuflessioni.
Guardare le altrui sventure non è più una consolazione, non riusciamo a tirare un sospiro di sollievo al pensiero di averla scampata. È un incubo, perché quelle sventure sembrano premere sugli schermi per precipitarsi sul tappeto dei nostri salotti. E se un domani diventassimo noi i protagonisti di quei telegiornali che ormai grondano solo morte? In preda al terrore, cominciamo a serrare a tripla mandata la porta di casa, a non parlare col nuovo vicino, a non uscire più la sera. Il panico si diffonde, si generalizza come la seguente certezza: l’insicurezza è il flagello della nostra epoca. Se venisse risolto, si aprirebbero per noi i cancelli del paradiso.