Intempestivi

Quando una miserabile attualità urla la sua urgenza, il solo modo per rimanere fuori dal coro è quello di prenderla controtempo. Cercare in essa il lato sconveniente e inopportuno, anziché specularci sopra come avvoltoi. Per sottrarsi ad ogni convenienza e ad ogni opportunismo, per schiudere orizzonti imprevisti e infiniti. I momenti più cruciali della realtà quotidiana, visti però con gli occhi incantati dell'irrealismo.

La guerra dei trent'anni

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La guerra dei trent'anni

Trent'anni. Sono passati trent'anni esatti da quella calda estate del 1983, quando il progetto di costruire una base militare in Sicilia attirò sull'isola molti uomini e donne decisi ad opporsi. Oggi la storia pare ripetersi. All'epoca il paese che doveva ospitare i missili Cruise era Comiso, oggi invece a dover ospitare i radar dell'esercito statunitense è Niscemi.
Ma gli anni non sono trascorsi invano, la lezione del passato è servita. Il 9 agosto 2013 i manifestanti che si riconoscono nei Comitati No Muos sono riusciti ad entrare nell'area proibita, superando il cordone delle forze dell'ordine e tagliando le reti di recinzione. Allora, il tentativo di bloccare i lavori fallì, scatenando violente cariche della polizia. Fu così che terminò l'8 agosto 1983 il corteo dell'IMAC, campeggio a cui presero parte pacifisti ed attivisti del frastagliato arcipelago della sinistra.

È la crisi...

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È la crisi...

Luigi Bertoni

Ecco le parole che oggi servono a spiegare tutto: disoccupazione, mancanza di abitazioni, espulsioni, caro-vita, ribasso di salari, aumento di imposte, di tasse, diritti di dogana, proibizione d'importazione, ecc. tutto un regime che prima della guerra sarebbe parso insopportabile, e al quale la massa si rassegna molto bene oggi, dopo la vittoria del diritto e della libertà. Perché questa vittoria produce degli effetti che bisogna sempre pagare caramente...
Noi abbiamo bene, a dire il vero, una Società delle Nazioni per garantirci la pace, questo bene supremo, e facilitare i rapporti tra i popoli; ma in realtà, ci sono più guerre dopo la pace di Versailles che prima del 1914, e mai le comunicazioni tra i popoli non sono state più difficili e non hanno incontrato più ostacoli.
È inutile cercare di comprendere o domandare delle spiegazioni. Contentatevi di ripetere con tutti: C'è la crisi! — altrimenti detto: un flagello naturale contro il quale non c'è nulla da fare.

E se all'improvviso...

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E se all'improvviso...

Dopo la Svezia, la Turchia; dopo la Turchia, il Brasile. D'un tratto, per un motivo qualsiasi, nulla è più come prima. La rabbia prende il posto della passività, il coraggio ha la meglio sulla paura. Centinaia, migliaia, milioni di esseri umani scendono a portare il disordine nelle strade. Così, all'improvviso, in maniera del tutto imprevedibile fino a poche ore prima. Senza il viatico di nessuna organizzazione rivoluzionaria, senza bisogno di militanti che abbiano preventivamente indottrinato e addestrato.
Nella vecchia Europa come nei paesi emergenti, gli esempi si moltiplicano e riscaldano il cuore. La domanda frulla inevitabile in testa. Ma allora, dopo Francia e Inghilterra di qualche anno fa, dopo queste rivolte scoppiate oggi, quando toccherà a noi? Forse domani, motivo per cui sarebbe sensato essere pronti. Forse mai, motivo per cui sarebbe ancora più sensato sapere un minimo cosa fare. Un minimo, nessun programma dettagliato su cui giurare. Ma nemmeno il più totale abbandono al flusso della situazione in atto.

Se non del tutto giusto...

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Se non del tutto giusto, quasi niente sbagliato

Ha pensato davvero forte quel quarantanovenne disperato che ieri mattina ha salutato a modo suo la nascita del nuovo governo italiano. Si era mescolato fra i curiosi che stazionavano in piazza Colonna a Roma, davanti a Palazzo Chigi, con l'intento di avvicinare qualche politico. In tasca non aveva né un microfono per fare domande, né una penna per chiedere autografi. Aveva una pistola. Perché l'intenzione dichiarata di questo muratore disoccupato calabrese era semplice e chiara: ammazzare qualche politico e poi togliersi la vita.
Ma, come aveva temuto, non è riuscito a realizzare il suo progetto. Colpa dei soliti guastafeste, i carabinieri. I primi che lo hanno fermato si sono beccati qualche pallottola, gli altri lo hanno bloccato e arrestato. Trascinato dalla generosità, non si è tenuto l'ultimo colpo per sé. Li ha sparati tutti contro i guardiani di questo mondo infame.
Pare che non avesse obiettivi privilegiati. Non voleva colpire Tizio piuttosto che Caio. Per lui, tutti i politici sono uguali, tutti sono meritevoli di sparire dalla faccia della terra.

Guardie e ladri

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Guardie e ladri

Durante il corteo NoTav dello scorso 23 marzo in Val Susa, alcuni manifestanti sono entrati in un esercizio commerciale di Bussoleno, hanno prelevato merci per poi uscire senza passare dalla cassa. Le hanno più semplicemente rubate. A render(ce)lo noto è il Movimento No Tav che in un suo comunicato denuncia l'episodio «molto grave», stigmatizzandolo duramente. Gli autori del furto sono paragonati per «brutalità e ignoranza» a chi occupa e devasta quella valle, essendo «arroganti» e «prepotenti» con brave persone che in tempi di crisi cercano di sopravvivere «in modo onesto», e per questo motivo vengono dichiarate – udite! udite! – persone «non gradite in questa terra e nella nostra lotta». Il Movimento No Tav intima quindi a «chi si fosse macchiato di questa infamia» di evitare in futuro di calpestare il suolo valligiano, giacché «questo episodio non rappresenta la lotta no tav, chi ha compiuto questo gesto non può definirsi no tav o portare questa bandiera. Chi ha compiuto questo gesto può solo essere allontanato dal movimento no tav».
Chi sia codesto Movimento No Tav che stila comunicati di condanna per ogni atto che rischi di gettare pubblico discredito sulla lotta No Tav presso le persone dabbene, ormai lo abbiamo appreso.

Il giusto riconoscimento

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Il giusto riconoscimento

Alla fine, è accaduto. Non era immaginabile che l'onore dello Stato potesse tracollare senza che nessuno dei suoi servitori alzasse la voce. Già il caso dei due marò rispediti in India è stata una vera ferita per l'orgoglio italiota. Due militari italiani, incaricati di proteggere le navi italiane, che finiscono in carcere in Asia per aver fatto il loro dovere. Cose da pazzi! E lo Stato, dov'è lo Stato? Ecco, sarà stato questo l'urlo di indignazione che ha portato in piazza a Ferrara alcuni poliziotti legati al Coisp, il Coordinamento per l'indipendenza sindacale delle forze di polizia. Hanno fatto un presidio di protesta, ovviamente autorizzato. Non riescono ad accettare l'idea che quattro loro colleghi operativi in quella città siano stati sottoposti a misure disciplinari per aver causato la morte di Federico Aldrovandi, il 25 settembre 2005.

Neve

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Neve

È primavera da qualche giorno, ma non si direbbe. Piove, fa freddo, qua e là cadono persino copiosi fiocchi di neve. Eppure, sabato 23 marzo è stata una giornata di manifestazioni.
A Roma si sono radunati i sostenitori del Padre Ubu italiota, il Popolo della Libertà. Secondo gli organizzatori – si sussurra, colpiti da uveite – erano in trecentomila.
Sempre a Roma, ma anche a Milano e a Genova, si è dato appuntamento il popolo Viola, ovvero i fustigatori del Padre Ubu italiota. Una petizione che ne dichiara l'ineleggibilità ha raccolto duecentotrentamila firme, incalzano gli organizzatori.
E poi – soprattutto – c'è stata la manifestazione in Val Susa dove ha marciato il popolo NoTav. Settemila per le forze dell’ordine, ottantamila per gli organizzatori.

I morti non sono tutti uguali

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I morti non sono tutti uguali

Qualora ce ne fosse ancora bisogno, la vicenda dei due marò italiani pone l’accento proprio su questo aspetto: che i morti non sono tutti uguali. In particolar modo quando si tratta di morti ammazzati. In conseguenza di ciò, anche gli assassini sembrano essere diversi tra loro. Quando ad uccidere è una persona comune, questa viene definita omicida; se ad uccidere è un ribelle o un insorgente di una qualsivoglia organizzazione lo si definisce terrorista, mentre se ad ammazzare sono dei militari, si afferma che hanno svolto il loro dovere, e quando va bene li si premia con una luccicante medaglia da appuntare sulla divisa. Appare evidente che la qualità del morto sia differente di caso in caso, quasi che alcuni siano più meritevoli di vivere rispetto ad altri e, per converso, che la morte di certi abbia meno rilevanza e sia meno grave di quella di altri.
Ad avallare questa visione concorrono diversi aspetti. Uno è il monopolio della violenza che gli Stati, tutti gli Stati, pretendono di detenere saldamente nelle proprie mani, per cui la morte giusta può essere solo da essi comminata, che sia attraverso sentenze capitali o per mano dei propri legittimi rappresentati: eserciti e forze di polizia. Un altro fattore, stavolta tutto interno agli Stati, è quello della loro potenza, sia essa economica o politica, che concorre a creare una gerarchia anche per ciò che riguarda i rispettivi cittadini morti ammazzati per mano di cittadini di un altro Stato.

Mierda sempre Comandante!

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Mierda sempre Comandante!

Sono trascorsi una manciata di giorni dalla morte di un capo di governo straniero, di un paese dell'America latina, malato da lungo tempo. La notizia non ha colto di sorpresa nessuno. Era attesa, quasi scontata. Così come era scontato il cordoglio più o meno ipocrita delle cancellerie di mezzo mondo ed il lutto di milioni di suoi connazionali, quei sudditi che infestano da secoli il pianeta stringendosi attorno ai loro padroni. Desiderando la scomparsa di ogni Stato, a noi la morte di costui ha lasciato pressoché indifferenti. Solo un mezzo sorriso – che la morte di un capo di governo fa sempre piacere – ma nulla più. Fosse stata causata da un atto di rivolta, allora sì che ci sarebbe stato da festeggiare per la sua scomparsa. Ma per un cancro, naturale o indotto che sia, che gusto c'è?
Se l’annuncio della sua morte ci ha sfiorato appena, alcuni necrologi apparsi qui in Italia nei giorni seguenti sono riusciti invece ad attirare la nostra attenzione.

Reddito di sudditanza

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Reddito di sudditanza

«Bisogna che in uno Stato che non vuole convivere con quel gravissimo male che sarebbe più giusto chiamare "divisione" piuttosto che "sedizione", non vi sia né una molesta condizione di povertà presso alcuni suoi cittadini e neppure la ricchezza, perché l'una e l'altra condizione determinano rispettivamente questi due mali: ora dunque il legislatore deve definire il limite di questi due mali».
Platone
 
Si vocifera che una delle ragioni che hanno spinto milioni di italiani a votare per la creatura politica di un ricco uomo di spettacolo dalla battuta facile (no, non quello di Arcore, quello di Genova) sia stata la sua proposta di garantire un reddito minimo anche per chi non ha lavoro. In un'epoca di licenziamenti di massa, di fallimenti e bancarotte, di disperazione umana disposta a gesti estremi, una simile proposta non poteva che fare breccia nel cuore di tanti elettori. Lo Stato deve prendersi cura dei suoi cittadini, assicurando loro il minimo indispensabile per non farli crepare di fame.

Un paese lontano?

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Un paese lontano?

Ragioniamo per assurdo. Migliaia di operai in sciopero decidono di bloccare la produzione di una fabbrica. Da anni ormai vi lavorano dentro producendo nocività, inquinando l’aria, l’acqua, il terreno circostante. Anche loro non se la passano bene, ogni tanto qualcuno muore sul lavoro per mancanza di mezzi e protezioni adeguate. Da qualche anno a questa parte centinaia di loro familiari si ammalano di cancro e la malattia non guarda in faccia nessuno nè fa distinzioni di età. Bambini, vecchi, giovani. Anche molti operai si sono ammalati e hanno perso la vita oltreché il lavoro. L’elenco potrebbe continuare a lungo. Allevamenti distrutti a causa della diossina sprigionata che ha contaminato ogni cosa; coltivazioni devastate, mare inquinato, falde inquinate. Lungo una strada extraurbana c’è un segnale che indica la direzione della fabbrica. Poco distante ve ne è un altro che indica il quartiere della città più vicino a questa. Sotto ve ne è un altro che indica il cimitero.

Messaggio al Papa

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Messaggio al Papa

[Antonin Artaud]

Non sei tu il Confessionale, o Papa, siamo noi; ma comprendici e anche la cattolicità ci comprenda.
Nel nome della Patria, nel nome della Famiglia, tu induci alla vendita delle anime, alla libera triturazione dei corpi.
Tra la nostra anima e noi, abbiamo tante strade da percorrere e distanze sufficienti da potervi interporre i tuoi preti barcollanti e quel cumulo di dottrine avventurose di cui si nutrono tutti i castrati del liberalismo mondiale.

Bersagli

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Bersagli

Il terremoto elettorale che ha appena mutato volto al Parlamento ha lasciato attonita la stragrande parte delle forze politiche in campo. Si avverte la sensazione che nulla sarà più come prima. Il centrosinistra ha matematicamente vinto, ma talmente di misura che è come se avesse perso. Il centrodestra gongola al pensiero che poteva andare pure peggio, anche se ha visto dileguarsi gran parte del suo elettorato. I moderati non sono in grado nemmeno di fare da ago della bilancia, come avevano preventivato. La vecchia politica di Palazzo è al capolinea?
Il voto di protesta c'è stato, di massa, ma non è andato alla lista che avrebbe dovuto riportare sugli scranni la sinistra cosiddetta radicale e alternativa. L'unico vincitore di queste elezioni è chi intende rappresentare politicamente l'ostilità verso tutti i partiti, contraddizione che la dice lunga sulla pervasività dei meccanismi di riproduzione sociale e sulla necessità di una rottura dell'immaginario.

Verticalismi

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Verticalismi

L’identificazione del nemico. Questo sarebbe, secondo un recensore, uno dei meriti della lotta contro il TAV in Val Susa e del libro che quella lotta racconta, ovvero “A sarà düra. Storie di vita e di militanza NoTav”, edito da Derive Approdi e curato dal centro sociale Askatasuna di Torino. Ammesso che questo sia realmente un merito del libro, le serate di presentazione che si tengono in giro per l’italico stivale non sono da meno, nel senso che, anche nel corso di queste, qualche nemico è possibile identificarlo. Nemici della libertà individuale, per esempio, da riconoscere in coloro che ci spiegano come la lotta in generale, ed in Val Susa in particolare, per raggiungere i suoi scopi non possa mai essere portata avanti, fino in fondo, in maniera orizzontale. Ci spiegano, i militanti, come ad un certo momento sia assolutamente necessaria una verticalizzazione delle lotte, un momento in cui alcuni prendano per la testa le lotte ed i movimenti che le portano avanti, e le guidino verso la vittoria, verso risultati politici che altrimenti non potrebbero essere raggiunti. Nella pratica ciò è possibile costituendo una sorta di organizzazione leninista.

Qualunquisti e consenso

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Qualunquisti e consenso

Qualunquisti, ecco quel che siamo noi astensionisti. Qualsiasi politico, qualsiasi livrea indossi, ve lo potrà testimoniare. Il rifiuto della politica, il non-voto, è a suo dire sinonimo di indifferenza nei confronti delle questioni sociali. Che assurdità! Già il pulpito da cui parte una simile accusa non è dei migliori, appartenendo a chi ha dimostrato di avere a cuore solo la propria carriera politica.

 

Che si pensi possibile un cambiamento sociale da attuarsi con la non-violenza, mediante una Riforma, o con la violenza, mediante una Rivoluzione, resta il fatto che il primo passo da compiere per chi vuole farla finita con questo mondo è di corrodere il consenso su cui si fonda l’attuale ordine sociale. Un consenso costruito quotidianamente, nei mille luoghi della riproduzione sociale, senza che neanche ce ne accorgiamo, attraverso un comportamento abitudinario. Giorno dopo giorno veniamo allevati ad essere obbedienti, addestrati ad essere rispettosi, istruiti ad essere sottomessi.

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