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Un secolo. Considerato a una certa distanza sembra microscopico, appena un sospiro da un punto di vista storico. Ma è anche il momento cardine fra nonni e bisnonni, fra volti noti e foto ingiallite, fra tratti vicini e storie lontane. 1914-1918.

Si avvicinano molte commemorazioni, magari alla presenza di signori signore alti dignitari. Si tengono discorsi che pretendono che «noi» abbiamo imparato dalla storia, che «noi» siamo ora sulla buona strada. Una nota effimera qui (i miglioramenti sono sempre possibili), una confortante pacca sulla schiena là, e come apoteosi quell’inevitabile «Mai più guerra». Una barzelletta che non va fuori moda; le persone di potere che si ergono da pacifisti. Anche le esequie di Mandela hanno costituito una di quelle opere teatrali i cui attori sono conosciuti. Quelli che rivendicano il monopolio della violenza, comandano e armano eserciti e milizie (o polizie se preferite), stringono alleanze per conquistare e occupare territori (war on terror o missioni di pace, nella neolingua), timbrano le autorizzazioni di esportazione di materiale bellico con destinatari spesso ambigui ma dagli obiettivi sempre chiari; dall’oppressione allo sterminio. È uno scherzo amaro.

Il ricordo di una catastrofe inconcepibile (e tutto fuorché naturale) come quella del 1914-18... che devo farne in quanto giovane uomo? Anche i protagonisti che morivano a centinaia di migliaia nelle trincee, che conservavano cicatrici indelebili di quegli anni, non potevano impedirne la ripetizione, sotto certi aspetti superlativa. In tutta onestà, occorre aggiungere che i più virulenti oppositori della guerra, quando non hanno servito come carne da cannone sui campi di battaglia, sono morti negli anni rivoluzionari seguiti al massacro, con una baionetta nel ventre o un coltello nella schiena mentre tentavano di sbarazzarsi dei loro padroni. Opprimere e sterminare, non fa né caldo né freddo alla nuova società.

Qual è allora la lezione che potrei trarre dalla storia? Che si ripete sempre? Questo enorme cliché incessantemente rispolverato ed al tempo stesso negato?

Le cause della catastrofe del 14-18 mi dicono qualcosa, sembrano persino alquanto banali. Una società che si ritiene incontestabile nel suo saper-fare. Dei potenti che aspirano a rendere il proprio potere totalitario, ovvero tangibile in ogni gesto e in ogni pensiero (servendosi dello strumento secolare del patriottismo). Un Progresso tecnologico implacabile che fa balenare paradisi mentre avvicina soprattutto lo sterminio di massa.

I paragoni sono facili (troppo facili?). Una partita di poker finanziario nel quale i perdenti accidentali pagano con la bancarotta i rischi ed i profitti dei vincitori. Poi, un «fate il vostro gioco!» e si ricomincia col prossimo giro. La democrazia che tollera la contestazione solo qualora questa si dichiari in accordo con la democrazia e qualifichi il resto come terrorismo. Potenti che vogliono prevalere fin nei minimi gesti (indicando per esempio dove potete sedervi, o ciò che potete mettere nelle vostre pattumiere). Un nazionalismo che di fatto non è mai scomparso, ma ridisegna di tanto in tanto le sue frontiere al fine di sembrare nuovamente fresco ed allettante. Un’ennesima catastrofe considerata eccezionale (Fukushima e il Golfo del Messico ne sono gli esempi più recenti e spettacolari), che rende un territorio inaccessibile per centinaia di anni, ma non per questo fa vacillare la tecnologia. Anzi, al contrario, gli scienziati risolvono quei problemi con più tecnologie, con tecnologie migliori.

Si possono studiare le cause, trarre conclusioni? E allora? Vogliamo continuare a ripeterci con le nostra grida contro la guerra e i potenti, nell’attesa di un altro esito?

La storia che si proietta nell’avvenire può essere negata? Forse sì. Non è ciò che fanno gli anarchici? Battersi, contro ogni ragione (ovvero, contro la ragione di questa società), per un’altra possibilità, quella della libertà. Non perché vogliamo essere martiri o pedanti che aspirano ad un posto nei libri di storia, come «quelli che erano nel vero fin dall’inizio». Questi stessi libri dimostrano già che una simile speranza è vana. Gli anarchici che lottavano contro le mobiltazioni della guerra erano convinti della propria causa. Loro o le loro idee hanno poi avuto qualche riconoscimento? Per niente. Ciò rende i loro sforzi futili e persino ridicoli? Assolutamente no. Perché una ripetizione della storia, un conformismo con questa società, non è la vita. La vita perde il suo significato, vivere come movimento, quando diventa una fatalità, se noi rifiutiamo di agire.

Vi auguriamo un tumultuoso 2014-2018.



[Salto, n. 4, agosto 2014]