Al mercato elettorale
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Sono giorni di mercato elettorale. Davanti ai neon delle due aziende più grosse, si accalca una folla di clienti. Sono i rivenditori al dettaglio, in cerca della merce ritenuta più redditizia. La confusione è totale. I recenti scandali che hanno portato alla luce imbarazzanti sofistificazioni sui prodotti smerciati al minuto hanno costretto molte botteghe a mutare ragione sociale. Ma i ceffi dietro ai banchi, quelli sono rimasti (quasi) gli stessi. Fra spinte e riverenze, insulti e sorrisi, non sempre le trattative vanno in porto. Talvolta fra la domanda e l’offerta esiste un divario insuperabile. Si consumano allora divorzi improvvisi, come fra adoratori delle quotazioni in Borsa e adoratori delle Sacre Scritture, la cui comunanza di interessi li aveva tenuti insieme per oltre un decennio. Oppure si sanciscono mancate intese, come quella fra coltivatori di ulivi e coltivatori di rose. Ma per un affare saltato, se ne registra un altro concluso. Per chi ama l’abbigliamento militare, ad esempio, ci sarà la possibilità di trovare nello stesso spaccio le camicie verdi e quelle nere. Mentre dall’altra parte della strada si cercherà di coniugare apologia della polizia e rispetto dei diritti civili. La merce è scadente, inutile nasconderlo, ma tutti contano sulle nuove sgargianti confezioni e sulla frenesia al consumo indotta nella popolazione. Gli affari sono affari e alla fine, comunque vada, tutto terminerà in dicasteri e commissioni. Che meraviglia, la democrazia!
«Politico: (uomo politico). Anguilla che striscia nel fango
su cui riposa la struttura dell’organizzazione statale.
Quando si contorce, scambia i movimenti della sua coda
per terremoti o minacce alla stabilità dell’edificio.
Rispetto allo statista, presenta il considerevole svantaggio di essere vivo»
(Ambrose Bierce, Dizionario del Diavolo)
[chesenevadanotutti, febbraio 2008]