a-d-1e0c432e90b88af313e0caa1527d3d7a8d053a06-m-jpg.jpg


Il 6 agosto 1945 una dichiarazione del presidente degli Stati Uniti, Truman, seguita da una dichiarazione dell’ex-primo ministro britannico, Winston Churchill, annunciava che l’aviazione americana aveva usato per la prima volta la bomba atomica. Un solo ordigno lanciato sul porto militare giapponese di Hiroshima aveva annientato gran parte della città. Il fumo dell’esplosione, visibile da 200 km, era salito fino a 23 km di altezza. I capi di Stato prevedono l’impiego di bombe ancor più potenti.

Devo prima di tutto proclamare il carattere prodigioso dell’avvenimento. Per una volta, l’importanza dell’incidente storico è direttamente correlata al suo potere di sensazione. Una luce folgorante ci illumina lungo il cammino del mondo in cui viviamo; il solo pericolo è restarne abbagliati. Non si passa impunemente dal piano di vita quotidiana a quello da romanzo di fantascienza, dalla lotta quotidiana per il cibo all’Apocalisse.

Come per ogni evento fondamentale, c’è da aspettarsi di veder scatenarsi i processi di giustificazione che consentono al mondo di assimilare l’inassimilabile, tanto più inevitabili dal momento che l’uso dell’energia atomica rischia di essere un pericolo mortale per l’uomo, e la consapevolezza di questo pericolo rischierebbe di essere fatale a questo mondo.

Le prime reazioni della stampa francese sono significative. Si è verificato un fatto proprio straordinario: il dispaccio annunciava l’uso della bomba atomica. Ma i commenti dei giornali hanno ben presto integrato lo straordinario nelle proprie categorie prevalentemente d’ordine politico. Combat riportava un articolo di alto tenore morale e Canard alcuni giochi di parole. Il primo è noto per essere un giornale serio e il secondo un giornale umoristico. I giornali socialisti, sulla scia del presidente Truman, hanno espresso la speranza che la bomba atomica possa metter fine alle guerre — ma la bomba non è una speranza, è un fatto. Action ha esaminato le cose dal punto di vista dei rapporti MUR-UDSR, mentre l’Humanité stigmatizzava i nemici dell’Unione Sovietica che pretendevano di usarla contro di essa. Il generale de Gaulle l’ha considerata un ulteriore argomento per occupare la riva sinistra del Reno ed il generalissimo Stalin per non occupare la Corea. Ciò ci dà un’idea di quanto potrebbero dire la nostra stampa e i nostri rispettati leader alla vigilia della fine del mondo.

Viceversa, io vorrei parlare solo della bomba atomica in quanto tale: dell’efficacia della macchina e del destino degli uomini. Tutto il resto mi è indifferente. Me ne infischio della Germania, me ne infischio dell’URSS. Me ne infischio dello stesso Truman. Posso prendere sul serio solo due cose: l’umanità e ciò che la minaccia. Abbiamo appena superato un varco e mi chiedo se, nella storia, abbiamo mai fatto un tale balzo di millenni. Possiamo finalmente affermare che i nostri mezzi sono su scala globale, dal momento che basterebbero alcune migliaia di questi ordigni per trasformare vaste regioni in deserti. E bisogna considerare la bomba atomica oggi utilizzata come un ordigno estremamente rudimentale, il più rudimentale della serie che sarà generata. L’esplosione che ha distrutto Hiroshima è solo un punto di partenza e se la distruzione di un paese ha cessato ormai d’essere una formula retorica, domani la distruzione del mondo sarà alla nostra portata. Evento paragonabile alla scoperta dell’America, la bomba finisce il mondo. Ne conoscevamo teoricamente i limiti, ora ci scontriamo con essi. Sotto la minaccia dell’esplosione finale, la Terra forma un tutto; la solidarietà degli uomini che la abitano cessa d’essere una formula per diventare un fatto diretto.

Ormai l’esistenza di Parigi, di Mosca, di New York dipende da un ordine; la civilizzazione delle grandi città ha generato lo strumento grazie al quale è diventata assurda. Anzi, peggio, perché l’universo in cui viviamo è solo un miracoloso punto di applicazione in cui si riequilibrano le forze dell’infinito. E se spezzassimo questo equilibrio, scateneremmo potenze che trasformerebbero il nostro globo in un nuovo sole. Di qui a qualche tempo, in un luogo tenuto segreto, la Fine del Mondo verrà custodita in magazzino. Tutto ciò che ci sembrava eterno: i pioppi del burrone di Cambes, i ghiacciai dell’Antartico, l’autunno sulla spiaggia di Fouras, tutto ciò diventerà provvisorio. Il gelo mattutino di gennaio, il tepore delle notti estive, tutto ciò cesserà d’essere indistruttibile ed eterno. Il mondo degli uomini è una casa infestata dalla presenza della morte, dove è ormai impossibile vivere senza secondi fini.

Non c’è più eternità, non c’è più natura, ma una situazione precaria mantenuta artificialmente da un accordo tra grandi Stati. Ormai l’esistenza del nostro universo dipende solo da un’idea: l’equilibrio mondiale, la grandezza dell’America, l’interesse dei Soviet. Tra la pace di questo giardino estivo e il fuoco dell’inferno, c’è solo lo spessore di un accordo internazionale come quelli che vietano la deportazione e il bombardamento delle popolazioni civili. I realisti e i mistici della politica sanno quanto valgono questi accordi; ciò che conta sono le realtà, è la vita, e nel nome della realtà e della vita qualche spirito positivo scatenerà la distruzione universale. Perché per nostra sventura, o forse per nostra speranza, la nostra situazione politica rimane al di sotto dei nostri mezzi tecnici e, benché ci sia solo una fine del mondo, ci sono ancora diversi Stati. L’arma universale esige l’impero universale.

La possibilità di una tale fine illumina la storia dell’Occidente, come il suo compimento gli conferirebbe un senso rigoroso. La storia del mondo dovrebbe essere considerata come un processo distruttivo che sfocia nell’esplosione finale. Può darsi che effettivamente sia questo e che tra l’esplosione e noi ci sia solo la decisione della nostra libertà. La passione di conoscere per conoscere, la volontà di realizzare per realizzare, il culto del risultato per il risultato potrebbero essere gli elementi della fiamma che l’Occidente ha scatenato sul mondo. E il gusto dell’arte per l’arte, delle idee per le idee, la condizione essenziale della nostra fine: l’assenza dello spirito umano. Così si misura la sua grandezza, più prodigiosa di quella della scienza che ha creato la bomba, poiché tra l’universo terrestre e il nulla, alla fine non c’è che lui.

Ma forse perché rimango figlio di coloro che credevano nel progresso, e perché la storia umana non può assumere per me le proporzioni di un mito, io non posso realizzare questo esito mostruoso. Non crederò alla fine del mondo che quando crederò in Dio e non crederò in Dio che quando crederò alla fine del mondo. La specie umana mi sembra ancora sufficientemente dotata di saggezza fisica da indietreggiare all’ultimo momento davanti al suo suicidio. Affermare che oggi avere fiducia nell’uomo consista nell’attribuirgli un istinto posseduto certamente dagli animali più elementari! Ma la mia ipotesi resta azzardata, perché sono i politici e non gli uomini a comandare oggi nel mondo.

Intravedo una possibilità meno drammatica, ma in fondo più terribile. Può darsi, proprio come prevedeva il presidente Truman, che l’energia atomica alla fine non venga utilizzata che per opere di pace. In tutti i modi, nell’esplosione delle bombe o nel rombo delle macchine, possiamo affermare che un’enorme quantità di energia modellerà il mondo e che in ogni caso, dalla macchina o dalla bomba, esso sarà incredibilmente sconvolto. Può anche darsi che, più dalla pace che dalla guerra, l’esistenza dell’uomo verrà allora radicalmente cambiata. Perché non si tratterà di distruggere le città ma di crearne di nuove, non di spezzare ma di modificare le società, perché la felicità è una forza molto più attiva della disgrazia.

È questo ingresso nel secondo millennio, questo prodigioso sconvolgimento che chiedo agli uomini di considerare con la massima serietà. Qualunque sia il loro partito preso politico o religioso, qualunque sia il futuro che intravedono, sono costretti a concedermi che, comunque sia, il mondo cambierà enormemente. Chiedo loro di considerare questo cambiamento perlomeno con la medesima attenzione e paura di una trasformazione dello status politico della Francia, trattandosi dell’esistenza pubblica e privata, di quella di tutti gli uomini, la più profonda ed ampia.

La caratteristica fondamentale di questo sconvolgimento è la sua imprevedibilità. L’unica cosa che ci è possibile dire con certezza è che non l’abbiamo voluto. E dal momento che non ha origine umana, non ci è possibile prevederlo. Ancora una volta, avremo inventato i nostri mezzi senza preoccuparci dei fini che servono, accettando quelli imposti dal loro funzionamento. Il solo fatto che io debba preoccuparmi, ragionare a partire dalla bomba atomica, ha qualcosa di mostruosamente contronatura. La mia inquietudine è la manifestazione di una impotenza dell’uomo di fronte ai suoi mezzi, e tuttavia è già un tentativo di dominarli se paragonata alla cecità ed al mutismo dei realisti.

I nostri mezzi sono sempre più prodigiosi e i nostri fini sempre più incerti. Non ci restano ormai che parole astratte, la giustizia, la libertà, sempre più sprovviste di potenza effettiva. A parte ciò, un vago desiderio di felicità fisica, l’aspirazione ad una maggiore comodità. Soprattutto il bisogno di aumentare la nostra efficacia individuale o sociale. Ma questa volontà di potenza in sé non è che il riflesso dei mezzi di cui disponiamo, la gioia delle forze che essi ci comunicano. Sono i mezzi a creare quel fine.

Se pensiamo agli enormi cambiamenti causati dall’uso del vapore e dell’elettricità, al fatto che ancora non siamo in grado di risolvere i problemi umani che ci hanno posto, intravediamo in quali situazioni insolubili finiremo col trovarci. Come Dio, l’uomo potrà forgiare l’universo a proprio piacimento a partire dall’elemento originale. Ma, non essendo lo strumento a creare la forma, ed essendo il pensiero a guidarlo, il nuovo dio non potrà che distruggere. I suoi stessi strumenti di costruzione saranno solo strumenti di distruzione, la sua pace l’implacabile guerra che condurrà contro la natura e contro la propria natura, avendo fatto dell’universo, a sua immagine, un prodigioso caos.

Mi rivolgo a quanti pretendono di difendere i valori spirituali come a quelli che pretendono di difendere l’uomo e dico loro: Credete in un Dio, in una Ragione, in una Morale, in una Verità permanente? E in tal caso, subirete passivamente uno sconvolgimento in cui i valori perderanno di significato e l’uomo la propria forma? Perché domani, forse, per i nostri figli saremo degli Assiri, e per i nostri nipoti dei Seleniti perché nessun pensiero potrà determinare il nostro presente per assicurare quell’avvenire che non potremo più definire: il nostro avvenire. Quel giorno, quale sarà la vostra Rivelazione? E il vostro umanesimo? Cosa saranno quella giustizia e quella libertà per cui accettiamo di morire, riconoscendo così che devono trasmettersi nei secoli? Allora lo spirito umano sarà sepolto vivo in un mondo assurdo e i ghiacci della morte eterna fisseranno i tempi in una Apocalisse immobile. Nel qual caso la fine del mondo sarebbe veramente una grazia. […]


[1945]