Titolo: Da un compagno uccel di bosco
Argomento: Brulotti
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Cari compagni,

parlerò brevemente della mia situazione personale, per lasciare spazio soprattutto alla questione del ruolo concreto e generale della repressione e del modo in cui intendiamo affrontarla.

A partire dal 10 luglio 2016, essendo ricercato assiduamente dallo Stato, sono costretto ad evitare i luoghi pubblici — compreso l’insieme delle mie relazioni sociali, i miei legami familiari, così come gli spazi di lotta che si organizzano in maniera aperta ed altre iniziative contro il dominio. Tante cose, per non dire tutte, che amo e che mi stanno a cuore. Tuttavia la repressione statale con i suoi mezzi altamente tecnologici ha anch’essa dei limiti: è condannata ad arrestarsi esattamente laddove vorrebbe far centro per eliminare i suoi nemici — ovvero alle idee, idee che per parte mia ho acquisito nel corso degli anni e che sono diventate una parte inseparabile di me. Idee che sognano un mondo altro, ben lontano da quello dello Stato e del Capitale; lontano da tutte le strutture autoritarie dominanti e fustigatrici, idee che si basano al contrario sulla solidarietà ed il sostegno reciproco e desiderano lottare per la libertà senza limite e lo sviluppo di tutte e tutti. Sono queste idee, in costante evoluzione con me stesso, che lo Stato non potrà mai eliminare o far tacere e che sosterranno sempre la rivoluzione sociale. Ed eccomi giunto al punto.

A mio avviso l’ultima ondata repressiva dello Stato contro individui sovversivi non ha nulla di straordinario, non più di quanto indichi un cambio di leader politico per chi ha concezioni anti-statali. Deriva molto di più dall’espansione, nel corso di molti anni, di atti ribelli, azioni dirette e sabotaggi che hanno preso di mira proprio questo sistema di dominio che quotidianamente si adopera a nascondere i cumuli di cadaveri che produce sotto i tappeti persiani del commercio equo e a indirizzare la nostra attenzione verso i luminosi cartelloni pubblicitari. Uno sviluppo di atti sovversivi quindi, che incarnano semplicemente delle idee messe in pratica. La repressione non è né un segno che siamo diventati troppo pericolosi per lo Stato, né una reazione emotiva di chi si possa porre in seguito il problema. È uno strumento di cui lo Stato dispone per mantenersi in carica, proprio come l’imposizione del suo ordine. E tutti coloro che vi si oppongono dovranno prima o poi necessariamente affrontare con la repressione. Tuttavia questa non si basa solo sulla forza bruta. Da anni, lo Stato accumula montagne di dossier sugli individui e i contesti che lo combattono, così da poter classificare, valutare e sorvegliare i suoi nemici; allo scopo di utilizzarne le debolezze, di imparare a leggere in loro e agire di conseguenza. La repressione è tutto questo.

Lo scorso mese, diversi errori e casi sfortunati da parte dei suoi nemici hanno offerto allo Stato la possibilità di accantonare la sua maschera tollerante, di attivare le sue conoscenze accumulate e di far provare brutalmente e duramente la sua repressione ad alcune forze sovversive. Ne ha fatto un certo uso: ci ha sottratto amici e compagni; ha fatto irruzione — talvolta armato pesantemente — nei nostri spazi e in altre abitazioni private, nella vita quotidiana ha terrorizzato, perseguitato e interrogato con forza e seccature, tentando di intimidire compagni ed altre persone, e ci ha privato, il compagno imprigionato e me, sebbene in maniera assai diversa, della presunta libertà.

Le domande che dobbiamo porci in questa situazione non hanno comunque nulla di nuovo, né sono più urgenti di due mesi fa. Solo la realtà attuale ce le fa apparire come tali. Attraverso questo genere di operazioni e diffondendo la paura, lo Stato mira ovviamente a ridurre i suoi nemici al silenzio e al nervosismo, ad imporre un arretramento di idee — e degli atti che ne derivano — dai luoghi pubblici e a generare un lavoro anti-repressivo difensivo: sono pericoli conosciuti contro cui non siamo immunizzati. Ecco perché è necessario un dibattito per affrontare questi scogli. Non si tratta per me di elaborare qui un sistema di valori artificiali che indichi quale attività rivoluzionaria sia prioritaria. Penso sia importante avviare una discussione collettiva sulla maniera in cui le attività e gli interventi anarchici si sono sviluppati nel corso degli ultimi anni, quali effetti hanno avuto socialmente, e sui passi successivi da fare. Una analisi dell’inasprimento generale e della repressione statale è necessaria anche per individuare dove potrebbero intrecciarsi dei campi di tensione e dove un intervento anarchico potrebbe essere significativo. Infatti, l’attuale repressione diretta contro di noi deve essere compresa a livello sociale, proprio come il modo con cui rispondervi.

Ovviamente è importante mettere granelli di sabbia in questo ingranaggio, ma le questioni sul quando, dove, come, con chi e con quale effetto auspicato lo sono altrettanto. Porcele e fornire delle risposte ci dà la capacità di non accontentarci di reagire in modo simbolico agli avvenimenti, ma di creare, coi nostri atti, autentici nuovi momenti che non possano essere ignorati e che si oppongano diametralmente alla normalità funzionale. Una disfunzione della quotidianità racchiude ogni genere di possibilità e sarebbe una risposta adeguata alle rappresaglie contro di noi o contro altri. Perché, per poter sperimentare una nuova realtà, quella antica deve prima di tutto essere messa fuori circuito.


Solidalmente e col pensiero insieme a voi,

vostro compagno da nessuna parte



(Lettera scritta in seguito all’incontro contro la repressione

tenuto il 20 agosto nella Kernstrasse di Zurigo)

[Dissonanz, n. 37, 29 settembre 2016]