#author Katerina Gogou #title Difendo Anarchia #topics Miraggi #pubdate 2016-09-24 #lang it #cover d-a-img-0203-jpg.jpg <br> <em>Come attrice, Katerina Gogou (1940-1993) non ha fatto parlare molto di sé nell’ambiente del cinema, avendo recitato sì in numerosi film ma (quasi) sempre con ruoli da comparsa. Ma come poetessa, era e rimane la bestia nera della letteratura moderna greca. Nata sotto l’occupazione nazista, passata attraverso il regime dei colonnelli e la Resistenza, ha dato voce all’anima nera del quartiere Exarcheia di Atene, vivendone e cantandone la rivolta anarchica e la disperazione umana. Nelle sei raccolte di poesie da lei pubblicate c’è spazio solo per questo suo mondo, il sottobosco fatto di prostitute, drogati, pazzi, fuorilegge, sovversivi. Dopo aver a lungo contribuito alla rinascita del movimento anarchico greco, Katerina Gogou trascorse i suoi ultimi anni dentro e fuori le cliniche psichiatriche. Morì per una overdose di pillole e alcol; ai suoi funerali parteciparono migliaia di persone.</em> <br> <center> *** </center> <br> <strong>25 maggio</strong> <br> Un mattino aprirò la porta e uscirò per strada come ieri. E non penserò a nulla se non a un pezzo di padre e un pezzo di mare — quello che m’hanno lasciato — e la città. La città che hanno fatto decomporre. E i nostri amici che si persero. <br> Un mattino aprirò la porta dritta dritta nel fuoco e come ieri entrerò urlando «fascisti!» alzando barricate e tirando pietre con una bandiera rossa a splendere nel sole. <br> Aprirò la porta ed è ora che ti dica — non che abbia paura — ma ecco, vorrei dirti di come non ho fatto in tempo e di come tu debba imparare a non scendere in strada senza armi come me — perché io non ho fatto in tempo — perché allora ti perderai, come me «indeterminata» fatta a pezzi di mare, infanzia e bandiere rosse. <br> Un mattino aprirò la porta mi perderò con il sogno della rivoluzione nella sconfinata solitudine delle strade che bruceranno, nella sconfinata solitudine di barricate di carta con il solito titolo — non gli credere! — di «provocatore». <br> * <br> <strong>Non rimane nessuno in questa città</strong> <br> Non rimane nessuno in questa città! Non rimane nessuno? <br> Cos’è successo che i suoi abitanti se ne sono andati via di fretta e hanno lasciato le porte aperte, le luci accese... Grossi uccelli ciechi si scontrano con le ali spiegate terrorizzati Il mare entra dentro in città sommerge la terraferma metodicamente una nave di lebbrosi dementi naviga fuori dalle porte e si dispiega lentamente... piano... lentamente... Gli anni della mia infanzia bambini inflessibili, induriti dissepolti da un cane giallo che di continuo me li riporta salgono le acque le mie mani si mettono in croce da sole come morte. Non c’è nessuno qui? Nessuno? Nessuno <br> Guardo davanti una strada bianca di sabbia Di nuovo la fosca barca con la fenice di pietra e il barcaiolo di marmo <br> In questo posto non c’è neanche un bambino BZZZZUNBBBZZZUNNN un bambino? Vieni che giochiamo alle automobiline. Vieni bambino! Vieni, uccellino? Cip cip cip cip cip, vieni! Vieni, uccellino... <br> Quale ricordo umano mi trattiene qui? Giorgos... Myrtò... Di quale terrore il segno mi trattiene qui, cui non è stata resa giustizia? Giorgos... Myrtò... <br> Di quale pianeta la fine vergognosa m’hanno lasciato come spauracchio perché qui io morissi di paura... Perché non passo oltre, dove il vento ferisce i fuochi a baionetta? <br> Sono rimasta come goccia da una stalagmite. Dentro questa bottiglia vuota, l’hanno gettata via un’estate di tanto tempo fa i miei amici. <br> E ci rimango dentro. Altri tempi lontani che ritorneranno, l’ultimo SOS di solidarietà da decifrare. <br> * <br> <strong>La solitudine</strong> <br> La solitudine... non ha il colore triste degli occhi di un’amante rannuvolata. Non gironzola indolente ancheggiando in sale da ballo e gelidi musei. Non è fatta di gialle cornici dei «buoni» tempi andati e di naftalina nei bauli della nonna di nastri viola e cappelli di paglia a larga tesa. Non allarga le gambe con risolini soffocati sguardo bovino sospiri trattenuti e biancheria intima assortita. La solitudine. Ha il colore dei pakistani la solitudine e si misura a piatti insieme ai loro cocci sul fondo di un pozzo di luce. Sta paziente in piedi in coda Bournazi – Aghìa Varvàra – Kokkinià Toumba – Stavropoli – Kalamarià Con ogni tempo le suda la testa. Eiacula urlando cala la saracinesca incatenata occupa i mezzi di produzione accende fuochi nella proprietà privata di domenica è una visita parenti ai carcerati nel cortile hanno lo stesso passo sia i criminali che i rivoluzionari la si vende e la si compra soldo a soldo respiro a respiro nei mercati degli schiavi della terra — qui vicino c’è piazza Klotziàs — svegliati di buon’ora Svegliati per vedere. È una puttana nelle case di malaffare è il «turno tedesco» per il fante in sentinella e gli ultimi interminabili chilometri della strada nazionale — centro per le carni appese a un gancio dalla Bulgaria. E quando il suo sangue è strozzato e non ha altro in mano perché stanno svendendo la sua gente balla scalza uno zeibekiko sopra il tavolo reggendo nelle sue mani tumefatte una scure bene affilata. La solitudine la nostra solitudine dico. Della nostra sto parlando è una scure nelle nostre mani che rotea sopra le vostre teste rotea rotea rotea. <center> <br> </center> * <br> <strong>Verrà un tempo</strong> <br> Verrà un tempo in cui le cose cambieranno. Ricordatelo Maria. Ricordi, Maria, durante gli intervalli quel gioco in cui correvamo tenendo in mano il testimone — non guardare me — non piangere. Sei tu la speranza, ascolta, verrà un tempo in cui saranno i figli a scegliersi i genitori non usciranno a vanvera non ci saranno porte chiuse con persone curve al di fuori e il lavoro saremo noi a sceglierlo non saremo dei cavalli a cui si guardano i denti. Le persone — pensaci! — parleranno con colori, altre con note. Conserva soltanto in una grande bottiglia d’acqua parole e significati come questi disadattati – oppressione – solitudine – prezzo – guadagno – umiliazione per la lezione di storia. Maria — non voglio dire bugie — sono tempi difficili. E ne verranno altri. Non lo so — non aspettarti troppo da me — questo ho vissuto, questo ho imparato, questo dico e di tutto quello che ho letto una cosa ho trattenuto bene: «L’importante è rimanere umani» La cambieremo, la vita! Nonostante tutto, Maria. <br> * <br> <strong>Qualche volta</strong> <br> Qualche volta si apre la porta piano piano, ed entri. Porti un vestito tutto bianco e scarpe di lino. Ti chini e mi infili affettuosamente nel palmo della mano settantadue dracme e te ne vai. Ho aspettato dove mi hai lasciata affinché tu mi ritrovassi. Però dev’essere passato molto tempo perché mi si sono allungate le unghie e i miei amici hanno paura di me. <br> Ogni giorno mi cucino patate, non ho più un briciolo di fantasia. E quando sento chiamarmi Katerina, mi spavento. Bisogna, credo, che denunci qualcuno. <br> Ho conservato dei ritagli di giornale con sopra qualcuno che, dicono, sei tu. So che i giornali mentono, perché hanno scritto che ti hanno sparato alle gambe. Lo so che non mirano mai alle gambe. Il Bersaglio è il cervello. Stai attento, eh? <br> * <br> <strong>Gli amici per quanto mi riguard</strong>a <br> Gli amici per quanto mi riguarda sono neri uccelli che fanno l’altalena sulle terrazze di case sgarrupate Exarchìa via Patissia Metaxourghìo Mets. Fanno quello che gli capita. Rappresentanti di ricettari ed enciclopedie aprono strade e uniscono deserti interpreti al cabaret di via Zenone rivoluzionari professionisti messi spalle al muro hanno mollato ora prendono pasticche e alcol per addormentarsi ma sognano e stanno svegli. Le mie amiche per quanto mi riguarda sono fili di ferro tesi sulle terrazze di case vecchie Exarchìa Victoria Concaki Grizi. Ci avete conficcato milioni di mollette di ferro le vostre colpevoli decisioni congressuali sottane in prestito bruciature di sigarette strane emicranie silenzi minacciosi leucorree s’innamorano di omosessuali tricomoniasi ritardo mestruale il telefono il telefono il telefono gli occhiali rotti l’ambulanza nessuno. Fanno quello che gli capita. <br> Sono sempre in giro i miei amici perché gli state col fiato sul collo. Tutti i miei amici dipingono col nero perché gli avete distrutto il rosso scrivono in una lingua nota solo a loro perché la vostra è buona solo per leccare. <br> I miei amici sono uccelli neri e fili di ferro sulle vostre mani e alla vostra gola. I miei amici. <br> * <br> <strong>Col rosso</strong> <br> Con la testa in frantumi per la morsa delle vostre contrattazioni nell’ora di punta e contromano darò fuoco a un gran falò. <br> E lì ci butterò tutti i libri di marxismo in modo che Mirtò non sappia mai le cause della mia morte. <br> Potete dirle che non ho retto alla primavera o che sono passata col rosso sì... questo è più credibile. <br> Col rosso questo dovete dire col rosso...col rosso questo dovete dire... Questo è più credibile col rosso... questo dovete dire col rosso, col rosso questo dovete dire. <br> Col rosso, col rosso, col rosso. <br> * <br> <strong>Come fa presto ad andarsene la luce</strong> <br> Come fa presto a andarsene la luce dalla nostra vita, fratello mio... Dentro le nostre palpebre allergiche lentamente la vita preme con le unghie sta’ a vedere che le scopriamo il gioco si allontana si dilegua... guarda è diventata un puntino gira l’angolo... sparita. Buuuuuio! Guardo dei negativi fotografici e sembrano persone tizzoni rossi nei loro occhi di lupi in trappola unghie in prestito — come si sono ridotti così — dentiere straniere sanguisughe si attaccano alla nostra laringe tirano i nostri bottoni sta’ a vedere che tiriamo avanti ancora un po’. Sono quelli del treno — li ricordo bene che quando decidemmo il nostro primo sogno di metterci in viaggio ci scaraventarono sulle rotaie dell’elettrificata come sacchi vuoti in un passaggio incustodito come peso superfluo. Quelli che: «siamo vissuti» — scritto tra virgolette con mille canne ci tengono sotto tiro dalla terrazza della compagnia telefonica freddo freddo e melò nelle nostre magliette di cotone facciamo come se avessimo il cappotto e un nervo viola — hai visto, tutti noi l’abbiamo — colpisce ancora sotto il nostro occhio. Quanto è cara la vita, fratello mio quant’è scaduta la qualità, coraggio. Parecchie volte — ma io non mollo vanno in testa-coda gli antidepressivi e la bilancia oscilla davanti non c’è altro allora piego il collo e mi prendo tra i denti il mio cervello sanguinante e vado indietro indietro torno indietro per salvarmi e poi non trovo la strada perché anche là è tutta merda — come se non lo sapessi — dappertutto cancelli sfondati e crateri di obice mi spavento mi confondo per un nonnulla non ho dove andare solo la porta del SUPERMERCATO è aperta e mi ci piazzo dentro come un avvoltoio guardo dove vanno a finire i soldi e il valore d’uso delirium tremens lo chiaman loro IO HO VOGLIA DI RUBARE Allora mi metto davanti tutti gli stereo a suonare tutti insieme ogni marca una musica diversa e gli altoparlanti al massimo a spaccare le orecchie e poi con una buona forbicina Singer taglio in tondo le loro bocche le allargo sopra ci incollo la mia anima bacio della morte e ci svuoto dentro gli psicofarmaci le loro farmacie e insieme i loro farmacisti. Morte a Bisanzio e al diavolo le dinastie il diaframma della mia etnia le pacifiche invasioni le Kodak e le G. Stavru in vendita allettanti che vadano a morire. Morte agl’Immortali bandiere nere e rossa la luce si apre — SI APRIRÀ — la strada la bocca gli occhi il cuore e il cervello. Così si deve fare cadrà la porta. E la macchina con l’antico rullino. No. No sempre e sempre gli uomini negativi neri e noi BRUCIATURE DI SOLE. <br> * <br> <strong>9 anni</strong> <br> Quando la mattina ti sveglierai e non troverai sul pavimento pillole maglione e reggiseno e busserai forte alla porta senza sentire dietro te il mio isterico «piantala» non scoppiare a piangere ma vieni a cercarmi nella foto di me bambina che ti guarda. Io non ho mai veduto. Nemmeno nel mio stupido scrivere. Ti ho mentito. Ti dicevo sempre com’erano belli gli uomini i colori e la musica. Tu conteggia solo il cottimo che ho fatto e con quello saprai come sono vissuta. Conteggia poi l’affitto mai ci bastavano a pagarlo. E quanta luce ho bruciato cercando un modo. E va’ avanti, e va’ a chiedere a tuo padre per l’ultima volta i soldi e digli che sono in debito. Poi sciacquati la faccia e non lasciare che nessuno ti dica cosa è successo a tua madre. Solamente con queste prove stupide costruisci un sole di quelli che solo tu hai in mente e sotto questo sole scrivi con le tue divertenti lettere infantili HA SALDATO! SALDATO! SALDATO! HA SALDATO! <br> * <br> <strong>Chiuso. Questo era.</strong> <br> Chiuso. Questo era. Vedi, mi s’è perduta la vita fra uomini gialli vetri sporchi e compromessi indicibili. Comincio a invecchiare come quel piccolo salice che t’avevo mostrato all’angolo della strada. E non è che voglio vivere. È, cazzo, che non sono vissuta. E che non ti rivedrò. <br> * <br> <strong>Antropogonia</strong> <br> Perché ombre sono gli dèi, inumani, fra chi è sepolto. Dentro le nubi e in monti e statue della notte si conficcano invidiarono l’uomo hanno, invidiano e hanno paura. E gli intermediari goffi, zoppi e superbi portatori d’acqua in anfore bucate con l’amore e con i sogni portarono ai mortali il terrore per follia o per morte di voler essere immortali alla terra inchiodati. E incisero dovunque in corpo, in anima e mente con il mito che malattia offensiva è la solitudine e non libertà. E sulla malattia in suppurazione mentirono molto perché imparassero a correre così da smarrire la visione dell’invisibile e della politica perché è il tempo più veloce che agisce immobile. E ancora peggio della pena e del nutrimento della loro autodistruzione con grande inganno chiamarono «eroi» i nostri beneamati mortali derivato dell’eroina. E gli dei come sommo violento potere resero onore ai cortigiani chiamandoli con ironia semidei. E gli intermediari — semidei che si nascondono dietro le muse e con alti calzari definirono il nome di sé poeti e consolatori ma è sempre con loro la nostra guerra e loro — se sono — sono utili nelle pause di pace. Tanto hanno sofferto i mortali che al giacinto avevano unito l’anima e puri, belli e splendenti non sapevano il tradimento e gli avevano creduto. Ma ora muoviti curiamo con calma le nostre ali lucenti cominciamo daccapo la strada usciamo nella radura non capiti che altri di noi bevano un’acqua d’oblio e così pur essendoci uguali soffrano di grandi passioni e così come noi maledicemmo loro ci maledicano. <br> * <br> <strong>[Bianca]</strong> <br> Bianca è la razza ariana, il silenzio, i globuli bianchi, il freddo, i camici dei dottori, gli abiti dei morti, l’eroina. <br> ... Queste poche parole per restituire il nero. <br> * <br> <strong>[Ciò che temo di più...]</strong> <br> Ciò che temo di più è di diventare «un poeta»... Chiudermi in una stanza ad ammirare il mare e dimenticare... Ho paura che i punti sulle vene possano cicatrizzare e, invece di avere ricordi confusi sulle notizie alla televisione, mi metto a scarabocchiare fogli e a vendere «le mie opinioni»... Ho paura che quelli che ci hanno scavalcato possano accettarmi in maniera da usarmi. Ho paura che le mie urla possano diventare un mormorio utile a far addormentare la mia gente. Ho paura che potrei imparare ad usare la metrica e il ritmo finendo intrappolata dentro di essi desiderando che i miei versi diventino canzoni popolari. Ho paura che potrei comprare binocoli per far avvicinare le azioni di sabotaggio a cui non prendo parte. Ho paura di diventare stanca — facile preda per preti e accademici — e trasformarmi così in una «femminuccia»... Loro hanno le loro maniere... Loro possono utilizzare la routine a cui sei abituato, ci hanno trasformato in cani: ci guardano mentre ci vergogniamo di non lavorare... ci guardano essere orgogliosi di essere disoccupati... Ecco com’è. Psichiatri entusiasti e schifosi poliziotti ci stanno aspettando all’angolo. Marx... Ho paura di lui... La mia mente va anche oltre a lui... Quei bastardi... è loro la colpa... Merda, non riesco nemmeno a finire di scrivere... Forse... eh?... forse un altro giorno... <br> * <br> <strong>[n. 17]</strong> <br> Ero un albero che si è spezzato Hanno spezzato tutti i miei rami Perché tutti i bambini perduti vi trovavano rifugio Per giocare all’impiccato <br> * <br> <strong>Difendo ANARCHIA</strong> <br> Non mi fermare. Sto sognando. Abbiamo vissuto a capo chino secoli di ingiustizia. Secoli di solitudine. Ora no. Non mi fermare. Ora e qui, per sempre e ovunque. Ho un sogno di libertà. Facciamo sì che la bellissima unicità di ciascuno ripristini l’Armonia dell’Universo. Avanti, giochiamo. Conoscenza è gioia. Non è una mobilitazione scolastica. Io sogno perché amo. Grandi sogni nel cielo. Gli operai delle fabbriche occupate produrranno cioccolata per il mondo. Io sogno perché SO e POSSO. I banchieri generano i «rapinatori» Le prigioni i «terroristi» La solitudine gli «emarginati» Il prodotto il «bisogno» I confini gli eserciti. La proprietà tutto. Violenza genera violenza. Non domandare. Non mi fermare. È il momento di ristabilire la sublime prassi dell’etica. Facciamo della Vita una poesia. E della Vita una prassi. È un sogno possibile possibile possibile. TI AMO e non mi fermare, non sto sognando. Sto vivendo. Tendo le mani all’ Amore alla solidarietà alla Libertà. Quante volte sarà necessario e sempre dal principio Difendo ANARCHIA