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Salentini! Leccesi!

Sono molto commosso per l’onore che da anni mi tributate, vi ringrazio di avere avuto l’amabilità di ricordare quotidianamente le mie parole, quelle che da molti decenni si stagliano in alto sulla questura della vostra città capoluogo. Così nessuno può dimenticarle giacché, più che ricordare il passato, esse descrivono il presente e preparano l’avvenire.

Per quello che concerne la regione di questa città barocca io ho anticipato la soluzione di talune questioni che, con un elegante luogo comune, si dicono annose appunto perché passano da un anno all’altro, e passavano da un anno all’altro, senza mai giungere ad una conclusione. Ed ho l’immodestia di dire che quello che ho fatto per l’Italia, l’ho fatto, lo abbiamo fatto, per tutta l’Italia. Il Salento compreso, quindi.

Se guardo indietro agli anni di dura fatica e di pesante responsabilità, io ho la coscienza tranquilla perché sento di aver fornito una mole imponente di opere alla Nazione. Non voglio dire che tutto quello che è stato fatto sia perfetto. Ma come potrebbe esserlo? Voi capirete bene anche che se avessimo dovuto sottoporre ognuno dei nostri provvedimenti alla discussione ed all’approvazione di un’assemblea popolare composta da una moltitudine di rispettabili persone ma anche da qualche facinoroso, ci troveremmo oggi a non aver concluso nulla.

Vi è qualcuno che rimprovera al partito unico dominante, quello dell’Economia e della Tecnologia, di aver imposta una disciplina rigida alla Nazione. È vero. Lo riconosco, l’ho insegnato io e me ne glorio. È una disciplina di stato di guerra.

Mi direte: — ma la guerra è finita, ed è finita da oltre mezzo secolo. Io rispondo che è finita la guerra militare, ma la guerra intesa come competizione di popolo nell’arengo della civiltà mondiale, continua con tutte le sue brusche necessità. Se non mi credete, andate a Melendugno a verificarlo di persona.

Vi sono tre ordini di ragioni che impongono questa disciplina: ragioni di ordine politico, di ordine economico, di ordine morale. Un uomo di governo deve essere vigilante ed attento non solo ai discorsi che si pronunciano nelle cerimonie ufficiali, ma anche a tutto ciò che si elabora nella massa profonda dei popoli. Vi sono delle correnti altrove che non si rassegnano ancora al fatto compiuto delle nostre frontiere. Bisognerà dire una volta per tutte, una volta per sempre, che se vi sono frontiere sacre sono quelle che abbiamo raggiunto con la guerra, ed aggiungo che poiché oggi queste frontiere sono palesemente in gioco bisogna invitare tutti a snudare la spada contro lo straniero povero (e stendere il tappeto a quello ricco).

Vi sono delle ragioni economiche che impongono la disciplina. Noi non abbiamo motivo di nasconderle: abbiamo attraversato ed attraversiamo un periodo di difficoltà di ordine finanziario; le supereremo ma dobbiamo rendercene conto, e dobbiamo reagire con una solida disciplina interna ed esterna a tutte le tendenze che ci condurrebbero al facilonismo: dobbiamo salvare la nostra economia e per salvarla non bisogna bloccarne la crescita.

Infine ci sono delle ragioni di ordine morale. Per troppo tempo l’immagine del popolo italiano riprodotta all’estero era quella di un popolo disordinato, tumultuante, irrequieto. Oggi l’immagine del popolo italiano deve essere fondamentalmente diversa; e, quel che più conta, il popolo italiano, nella sua massa profonda della città e delle campagne, deve essere perfettamente consapevole della necessità di questa disciplina e resistere a tutte le suggestioni ed a tutti gli eccitamenti degli uomini del disordine. Questo è il segno della profonda maturità che il popolo italiano deve raggiungere.

Non dovete credere, o salentini, o leccesi, che tutto ciò sia effetto di considerazioni di ordine contingente. No. Al fondo c’è un sistema, c’è una dottrina, c’è un’idea. Quale? Quella che domina gli ultimi secoli della civiltà mondiale e soprattutto dell’Europa, durante i quali le industrie e la scienza si sono affermati come in una meravigliosa primavera.

Ammetto che per tutta la prima metà del XIX secolo il liberalismo sia stato una idea-forza; oggi non lo è più perché le condizioni di tempo, di ambiente e di popolo sono profondamente mutate. Un’altra idea-forza è stata quella delle rivendicazioni socialistiche ed anch’essa è al declino. Tutto quello che fu pomposamente chiamato sinistra non è che un rottame; e un rottame è la concezione enorme, teatrale e grottesca di una umanità divisa in due classi irreconciliabili; rottame, infine, è l’idea della palingenesi sociale. Ci troviamo di fronte ad idee che hanno esaurito la loro forza di propulsione; di fronte, dico meglio, a delle degenerazioni di queste idee, che il Fascismo Democratico rinnega superandole.

La forza del Fascismo Democratico consiste in ciò: che esso prende da tutti i programmi la parte vitale, e ha la forza di realizzarla. L’idea centrale del nostro pensiero è lo Stato; lo Stato è l’organizzazione politica e giuridica delle società nazionali e transnazionali, e si estrinseca in una serie di istituzioni di vario ordine.

La nostra formula è ancora e sarà sempre questa: tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato, nulla contro lo Stato.

Io credo che la polemica politica in Italia si avvierebbe a un diverso svolgimento se ci si rendesse conto di un fatto, cioè che oramai non è più in questione il se ma soltanto il come. Parlerò chiaro su questo argomento. Qualsiasi regime politico parte da un presupposto indiscutibile e intangibile: l’Autorità ed il Denaro. Per tutto il resto si tratta di istituzioni che vanno al massimo alternate a seconda della circostanza, come il bastone e la carota.

Salentini, leccesi! L’Italia del domani non può indossare il costume che andava bene a quella di ieri. Le grandi opere possono essere rivedibili, modificabili, perfezionabili, ma restano indiscutibili. Di che male abbiamo sofferto noi? Di una inefficacia del Parlamento. Quale il rimedio? Aumentare il potere del Parlamento. Le grandi soluzioni non possono mai essere adottate dalle assemblee se le assemblee non sono state prima convenientemente preparate (ovvero strumentalizzate e manipolate). Una battaglia o è vinta da un generale solo, o è perduta da una assemblea di generali.

Permettetemi ora di tornare su un argomento su cui mi sono già soffermato in altra occasione: l’aggettivo sovrano applicato al popolo è una tragica burla. Il popolo tutt’al più delega, ma non può certo esercitare sovranità alcuna. I sistemi rappresentativi appartengono più alla meccanica che alla morale. Anche nei paesi dove questi meccanismi sono in più alto uso da secoli e secoli, giungono ore solenni in cui non si domanda più nulla al popolo, perché si sente che la risposta sarebbe fatale; gli si strappano le corone cartacee della sovranità – buone per i tempi normali – e gli si ordina di fare ciò che è giusto per lo Stato.

Al popolo non resta che un monosillabo per affermare e obbedire. Voi vedete che la sovranità elargita graziosamente al popolo gli viene sottratta nei momenti in cui potrebbe sentirne il bisogno. Gli viene lasciata solo quando è innocua o è reputata tale, cioè nei momenti di ordinaria amministrazione. Vi immaginate voi una guerra proclamata per referendum? Il referendum va benissimo quando si tratta di scegliere il luogo più acconcio per collocare la fontana del villaggio, ma quando gli interessi supremi di un popolo sono in gioco – e la questione energetica è uno di questi – anche i Governi ultrademocratici si guardano bene dal rimetterli al giudizio del popolo stesso. V’è dunque immanente il dissidio fra forza organizzata dello Stato e il frammentarismo dei singoli e dei gruppi. Regimi esclusivamente consensuali non sono mai esistiti, non esistono, non esisteranno mai.

Dovete ancora considerare che la vita moderna, rapida e complessa, presenta continuamente dei problemi. Quando il regime liberale sorse, le nazioni moderne avevano allora dieci, quindici milioni di abitanti, e piccole classi politiche ristrette, prese da un numero determinato di famiglie, con una speciale educazione. Oggi l’ambiente è radicalmente cambiato. I popoli non possono più attendere; sono assillati dai loro problemi, sospinti dalle loro necessità. Queste le ragioni per cui io metto il potere esecutivo in prima linea fra tutti i poteri dello Stato; perché il potere esecutivo è il potere onnipresente e onnioperante nella vita di tutti i giorni della Nazione. V’ha di più: il regime fascista democratico si è diffuso e dilatato in tutta la Nazione, e non è più soltanto un Governo.

Salentini, leccesi! Questo regime non può essere rovesciato che dalla forza. Coloro che credono di poterci sbancare con le piccole petizioni di piazza, o con dei fiumi di inchiostro più o meno sudicio, costoro si disingannino: i Ministeri passano, ma un regime nato da un pensiero unico stronca tutti i tentativi di contestazione e realizza tutte le sue conquiste. Quella che si chiamava la rotazione dei portafogli non esiste più, è una semplice alternanza che si svolge nell’ambito del governo fascista democratico.

Salentini, leccesi! Ove andiamo noi in questo secolo? Bisogna porsi delle mete per avere il coraggio di raggiungerle. Il secolo scorso è stato il secolo della nostra indipendenza dalla monarchia. Il secolo attuale deve essere il secolo della nostra potenza. Potenza in tutti i campi, da quello della materia a quello dell’energia. Ma quale è la chiave magica che apre la porta alla potenza? La volontà disciplinata. Non è più la popolazione, come due secoli fa, divisa in sette Stati, quella popolazione che diventò popolo; poi il popolo, attraverso il sacrificio della guerra, diventò Nazione. Da allora la Nazione si è data la sua ossatura giuridica e politica e morale ed è diventata Stato.

Tutto questo ci impone dei rudi doveri, e un alto e consapevole senso di responsabilità non soltanto collettiva, ma individuale. Ognuno di voi deve considerarsi un soldato; un soldato anche quando non porta il grigio-verde, un soldato anche quando lavora, nell’ufficio, nelle officine, nei cantieri, o nei campi; un soldato legato a tutto il resto dell’esercito; una molecola che sente e pulsa coll’intero organismo. E il primo dovere sacro di un soldato è quello di obbedire agli ordini senza discutere! senza pensare! senza protestare!

Salentini, leccesi! Io credo fermissimamente nel destino di potenza che aspetta la nostra Nazione, di cui la vostra regione fa parte. E tutti i miei sforzi, tutte le mie fatiche, le mie ansie, i miei dolori sono diretti a questo scopo. Da che cosa deriva mai in me questo senso di fiducia, di incrollabile fiducia? V’è qualcosa di fatale nell’andare del nostro popolo. In un secolo abbiamo realizzato dei progressi giganteschi. Oggi questo movimento è accelerato; accelerato dalla nostra volontà, e tutto il popolo deve partecipare a questa fatica. Voi compresi.

Il Governo si considera come lo stato maggiore della Nazione che si affatica nell’opera civile del lavoro, dell’industria, dei mercati. Il Governo è insonne perché non permette che i cittadini siano dei poltroni; il Governo è duro, perché considera che nello Stato non abbiano diritto di cittadinanza i nemici dello Stato; il Governo è inflessibile, perché sente che in questi tempi di ferro solo le volontà inflessibili possono produrre.

Tutto il resto è nebbia, che si disperde ai primi raggi del sole. Guai a voi se continuerete ad opporvi al Tap!


Melendugno-Lecce, dicembre 2017



Questo testo è composto per oltre il 90% da letterali parole di Benito Mussolini (tratte dal discorso per il terzo anniversario della marcia su Roma, con una breve citazione di una sua introduzione ad un’opera di Machiavelli). Ogni similitudine con l’odierna ragione di Stato che giustifica ed impone le grandi opere non è affatto casuale, giacché il potere è il medesimo in tutte le epoche, quale che sia la sua forma politica. Fascismo o democrazia, camicia nera o camicia bianca, sono solo due varianti della medesima oppressione.