Olindo Guerrini
Elezioni
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Musa mia dolce, che le alterigie
De’ carmi arcigni non hai sul viso,
Tu che rallegri l’ore mie grigie
Di stravaganti scoppi di riso
E volentieri mostri la pelle
Dai larghi strappi de le gonnelle,
Musa mia dolce, vieni, discendi
A la solinga mia cameretta;
Avide ai baci le labbra tendi,
Libera i lacci de la fascetta,
Sciogli la chioma bruna e ricciuta
E chiudi l’uscio. L’ora è venuta,
L’ora in cui l’odio fermenta e invade,
Lurida peste, le menti e i cuori;
In cui la gente giù per le strade
Rutta bestemmie, rece rancori
E, masticando laide querele,
Inghiotte o sputa veleno e fiele.
Ognuno in queste turpi giornate
Morde o calunnia, froda o minaccia.
Lo sterco e il fango colto a manate
All’avversario si scaglia in faccia.
Riddano in piazza, lerci e impudichi,
Spie, deplorati, ruffiani e plichi:
E i giornalisti, tinta di loia
La meretrice penna d’acciaio,
Pur che sia piena la mangiatoia
Vendon la feccia del calamaio
Per imbrattarne l’onore altrui,
Quasi superbo che paghi Lui.
Indi, nell’ora concessa al voto,
Cupi, nervosi, van gli elettori,
Parlando basso col viso immoto, –
Guatando come cospiratori
E in ogni canto dice un cartello:
Votate questo!.... Votate quello!....
Entro la sala buia e fetente,
Sozza la gromma vernicia i muri
E intorno a un desco men che decente
Seduti in cerchio cinque figuri
Veglian con l’occhio cogitabondo
L’urna di vetro dal doppio fondo.
S’apre la chiama. Nel pigia pigia
Vota ciascuna pecora sciocca.
Ardono alcuni di cupidigia,
Ad altri l’ira torce la bocca,
Ma quasi tutti, dopo votato,
Palpano il prezzo del lor mercato;
E tutti, uscendo, da un reo contagio
Attossicato sentono il cuore.
Chi entrò dabbene n’uscì malvagio,
Chi entrò ribaldo n’uscì peggiore.
Chi vinse, il turpe bottino aspetta,
Chi perse, spera nella vendetta.
Ecco i comizi! Di quando in quando,
Se non accade qualche sinistro,
Dall’urna falsa sbuca onorando
Un frodolento caro al ministro,
O un imbecille pien di commende;
E l’un si compra, l’altro si vende.
Or perchè debbo far da mezzano
All’ingordigia di Calandrino?
Perchè mi debbo lordar la mano
Scrivendo il nome d’uno strozzino?
Perchè gettarmi nella battaglia
Sotto gli sputi della canaglia?
Musa mia dolce, sulla tua faccia
Ride un giocondo color di rosa.
Passerò lieto fra le tue braccia
Il giorno laido, l’ora schifosa.
Sciogli la chioma bruna e ricciuta
E chiudi l’uscio. L’ora è venuta.
[da Rime di Argia Sbolenfi (1897), con prefazione di Lorenzo Stecchetti,
entrambi pseudonimi di Olindo Guerrini]