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Musa mia dolce, che le alterigie

De’ carmi arcigni non hai sul viso,

Tu che rallegri l’ore mie grigie

Di stravaganti scoppi di riso

E volentieri mostri la pelle

Dai larghi strappi de le gonnelle,


Musa mia dolce, vieni, discendi

A la solinga mia cameretta;

Avide ai baci le labbra tendi,

Libera i lacci de la fascetta,

Sciogli la chioma bruna e ricciuta

E chiudi l’uscio. L’ora è venuta,


L’ora in cui l’odio fermenta e invade,

Lurida peste, le menti e i cuori;

In cui la gente giù per le strade

Rutta bestemmie, rece rancori

E, masticando laide querele,

Inghiotte o sputa veleno e fiele.


Ognuno in queste turpi giornate

Morde o calunnia, froda o minaccia.

Lo sterco e il fango colto a manate

All’avversario si scaglia in faccia.

Riddano in piazza, lerci e impudichi,

Spie, deplorati, ruffiani e plichi:


E i giornalisti, tinta di loia

La meretrice penna d’acciaio,

Pur che sia piena la mangiatoia

Vendon la feccia del calamaio

Per imbrattarne l’onore altrui,

Quasi superbo che paghi Lui.


Indi, nell’ora concessa al voto,

Cupi, nervosi, van gli elettori,

Parlando basso col viso immoto, –

Guatando come cospiratori

E in ogni canto dice un cartello:

Votate questo!.... Votate quello!....


Entro la sala buia e fetente,

Sozza la gromma vernicia i muri

E intorno a un desco men che decente

Seduti in cerchio cinque figuri

Veglian con l’occhio cogitabondo

L’urna di vetro dal doppio fondo.


S’apre la chiama. Nel pigia pigia

Vota ciascuna pecora sciocca.

Ardono alcuni di cupidigia,

Ad altri l’ira torce la bocca,

Ma quasi tutti, dopo votato,

Palpano il prezzo del lor mercato;


E tutti, uscendo, da un reo contagio

Attossicato sentono il cuore.

Chi entrò dabbene n’uscì malvagio,

Chi entrò ribaldo n’uscì peggiore.

Chi vinse, il turpe bottino aspetta,

Chi perse, spera nella vendetta.


Ecco i comizi! Di quando in quando,

Se non accade qualche sinistro,

Dall’urna falsa sbuca onorando

Un frodolento caro al ministro,

O un imbecille pien di commende;

E l’un si compra, l’altro si vende.


Or perchè debbo far da mezzano

All’ingordigia di Calandrino?

Perchè mi debbo lordar la mano

Scrivendo il nome d’uno strozzino?

Perchè gettarmi nella battaglia

Sotto gli sputi della canaglia?


Musa mia dolce, sulla tua faccia

Ride un giocondo color di rosa.

Passerò lieto fra le tue braccia

Il giorno laido, l’ora schifosa.

Sciogli la chioma bruna e ricciuta

E chiudi l’uscio. L’ora è venuta.



[da Rime di Argia Sbolenfi (1897), con prefazione di Lorenzo Stecchetti,

entrambi pseudonimi di Olindo Guerrini]