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    Da Barcellona a Pietroburgo

        C. A.

Da Barcellona a Pietroburgo


C. A.


Leggendo in questi giorni i particolari dell’attentato diretto al ministro russo Stolypine, il 25 agosto, ed i commenti che di questo attentato fa la stampa europea, la nostra mente, per associazione di idee, si è riportata ai particolari dell’attentato compiuto dal compagno nostro Mateo Morales contro i reali di Spagna, il 31 maggio scorso, ed ai commenti che allora fece del fatto la medesima stampa europea. Dal confronto di questi due avvenimenti, poco lusinghieri per i coronati ed i governanti, che vogliono tuttora comandarci col bastone, sono sorte alcune riflessioni che credo opportuno esporre.

A Pietroburgo, come a Barcellona, è la bomba che ha funzionato emettendo il suo terribile boato; nell’uno e nell’altro caso la morte è passata su parecchie vite umane, che avevano appartenuto a personaggi elevati nella scala sociale, ed il sangue, or vermiglio or bleu, fu versato parecchio dalle numerose ferite; in entrambi i casi, le persone designate dal braccio giustiziere, ebbero la ventura di scampare incolumi al pericolo. Come si vede, la somiglianza dei due casi è grande, come pure sono assai consimili le cause che li generarono: miseria e persecuzione, bisogno intenso di una vita nuova più conforme alla libertà.

Essendo eguali le cause e pressoché identici gli effetti, la logica, il sano criterio, vorrebbero che altrettanto consoni fossero i commenti della stampa e i giudizi dati dagli uomini. Eppure, abbiamo potuto osservare quanto diversi fossero fra di loro questi commenti e questi giudizi.

Se facciamo astrazione dei giornali ultra-conservatori, i quali, è notorio, sono disposti ad accettare e giustificare sempre qualunque delitto, purché questo venga commesso dagli uomini del potere o dai loro sgherri, e che in occasione degli ultimi attentati versarono, con pari misura, abbondante fiele, noi troviamo che la stampa così detta liberale e socialista ha tenuto un linguaggio non poco incoerente ed illogico. Quando avvenne l’attentato compiuto dal Morales contro i coronati di Spagna, il «Dalli all’anarchico! Dalli all’assassino!» fu, può dirsi, generale; da ogni lato si reclamarono contro gli anarchici, misure di repressione di ogni sorta: l’esilio, la prigione, la forca, ecc.; vedemmo dei socialisti paragonare gli anarchici a delle belve feroci e dei liberali aggiungere che gli anarchici devono essere cacciati come si caccia la tigre nella foresta; e tutto questo in un linguaggio da trivio e da lupanare. Mentre che, pochi giorni or sono, quando terribile scoppiò la bomba portata dai “terroristi” nel palazzo ministeriale, stendendo al suolo una ventina di alti dignitari della corte e del ministero moscovita, quegli stessi giornali, dimenticarono il noto ritornello della «inviolabilità della vita umana» e, se il senso della responsabilità non avesse calmato alquanto i loro ardori, li avremmo certo intesi intonare la lira carducciana e cantare:

«Oh date pietre a sotterrarli ancora,

Nere macerie de le Tuglieri»

come già qualcuno ha tentato di cantare.

E perché questa diversità di giudizi e di apprezzamenti?

La moderna scienza sociale c’insegna: che ogni fenomeno della vita sociale ha il suo substratum naturale, al quale è intimamente legato, e che non può sussistere indipendentemente da esso. Ciò che in parola volgare, vuol dire: ogni fenomeno, ogni atto individuale o collettivo ha una causa che lo determina, che lo impone. Negare questo è voler negare tutta la filosofia materialista, è voler negare la base medesima della teoria socialista.

Orbene, se si riconosce l’inevitabilità e la necessità degli atti “terroristici” compiuti in Russia, perché non devesi riconoscere egualmente l’inevitabilità e la necessità di quelli compiuti in Spagna o altrove?

Dobbiamo confessare che non comprendiamo affatto questa diversità di interpretazione dei fenomeni sociali.

Se questi fenomeni si producono, siano essi frequenti o rari, vuol dire che ne esistono le relative cause determinanti, più o meno potenti, più o meno palesi, a seconda dell’ambiente nel quale si producono e, per conseguenza, ogni distinzione d’apprezzamento, diviene assurda, tanto più quando questa distinzione mette l’uno contro l’altro gli apprezzamenti stessi.

Sappiamo bene che, generalmente, si invoca il pretesto della maggiore o minore libertà che gode il popolo di un dato paese, ed in base e questo termometro si usa misurare anche il valore sociale dei fenomeni “terroristici”. Ma è un errore grossolano, scusabile forse nel cervello incolto di un contadino o di un lavoratore, a cui non siano familiari né la scienza, né la filosofia del nostro tempo, deplorevole invece in chi, per dovere professionale o per fama acquisita, deve avere dimestichezza colle scoperte scientifiche più recenti e colle manifestazioni ultime del pensiero filosofico.

Dunque, ripetiamo, se i fenomeni sono, devono essere pure le cause, ed assurdo è voler distruggere quelli, lasciando intatte queste, quanto è ridicolo l’apprezzare un atto “terroristico” perché compiuto in Russia e disprezzarne un altro perché compiuto in Spagna od in qualche altro paese detto civile.

Il germe del “terrorismo” esiste ovunque hanno radici e miseria e tirannia, ovunque impera il Capitale e lo Stato, due entità che trovano la loro espressione nella violenza e nell’oppressione politica ed economica ed il loro contrasto nell’atto “terroristico” nella rivolta collettiva.

Il Capitale e lo Stato imperano su tutti i punti della terra e su tutti i punti della terra germinano il “terrorismo” e la rivolta.

Non si ha il diritto di lanciare l’anatema vigliacco contro il lanciatore della bomba, come non si ha il diritto di inveire contro chi, esasperato da una vita di privazioni e di torture, impugna l’arma vindice e fa giustizia delle sofferenze patite, colpendo a morte il rappresentante ufficiale della tirannia, qualunque sia il paese che lo ospita.

Perciò, salutando con gioia il rombo della dinamite scrosciante nella terra degli zar, salutiamo anche la dinamite che fa tremare tutti i potenti della terra.

E solo quando il mondo sarà purificato interamente dai mostri che l’infestano, diremo, contenti, il nostro: Pace fra gli uomini! e col Carducci ripeteremo:

«Noi troppo odiammo e sofferimmo. Amate.

Il mondo è bello e santo è l’avvenir»



[Cronaca Sovversiva, anno IV, n. 37, 15/9/1906]