Titolo: I funghi marci del linguaggio
Argomento: Brulotti
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In un primo tempo mi divenne gradualmente impossibile intrattenermi su argomenti tanto elevati quanto comuni, e quindi proferire proprio quelle parole di cui gli uomini comunemente usano servirsi. Soltanto a pronunciare le parole spirito, anima o corpo, avvertivo un inspiegabile turbamento. Mi riusciva impossibile nell’intimo esprimere giudizi sui fatti della corte, sulle questioni del parlamento, o su qualsiasi altro argomento vogliate immaginare. E questo non per una sorta di prudenza: vi è nota la mia franchezza che si perde nella leggerezza! Piuttosto le astratte parole di cui la lingua naturalmente usa servirsi per portare una qualsiasi idea alla luce del giorno, mi si sfarinavano sulla bocca come funghi marci.


Ed una tale infezione andò dilatandosi nel tempo come ruggine che tutto macera all’intorno. Persino nel discorrere domestico e familiare, l’esprimere un qualsiasi parere di quelli che si offrono leggermente e con noncurante sicurezza, divenne per me così problematico che dovetti cessare di partecipare a queste conversazioni. Provavo un’indescrivibile irritazione che solo a fatica riuscivo a dissimulare nell’ascoltare frasi del genere: la tal cosa è per il tale o per il talaltro andata bene o male; il predicatore T. è un brav’uomo; il fittavolo M. è da compatire perché ha dei figli scialacquatori; un altro è da invidiare perché le sue figlie sono parsimoniose; una famiglia sale ed un’altra declina... Tutto ciò mi appariva indimostrabile, falso, vuoto, sino al parossismo. Per di più il mio spirito m’induceva a vedere vicina in modo inquietante qualsiasi cosa fosse attinente a tali discorsi: così come una volta un lembo di pelle del mio dito mignolo, osservato attraverso una lente di ingrandimento, mi era apparso come un territorio cosparso di profondi solchi e voragini, così mi accadeva ora con gli uomini e con le loro azioni. Non riuscivo più a coglierli nello sguardo semplificato dell’abitudine. Ogni cosa mi si sfaldava incoerentemente in più parti, e queste ancora in ulteriori parti, e nulla si lasciava più ricondurre ad un unico concetto. Singole parole giravano rapide attorno a me, si mutavano in occhi che mi fissavano ed in cui io a mia volta dovevo concentrarmi: erano vortici in un perenne turbinare che a fissarli nel profondo si è presi da un senso di capogiro ed al di là dei quali si è nel vuoto.



[La lettera di Lord Chandos, 1902]