Idioti
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Le sommosse improvvise e violente, come quelle che hanno da poco illuminato il cielo inglese, non hanno quasi mai goduto dei favori di chi vorrebbe sovvertire questo mondo. Certo, possono anche aver attratto sguardi benevoli, meglio se a distanza, ma è inutile nascondere che né gli eruditi della teoria radicale né gli architetti di nuovi mondi si sentono a proprio agio davanti a queste esplosioni intermittenti di furore. Soprattutto quando la loro forma del tutto caotica non si limita a manifestazioni episodiche, ma tende a generalizzarsi quale tratto distintivo della rabbia di un’intera epoca. Il tuono che annuncia il temporale rigeneratore può risultare piacevole ad un ascoltatore attento, che non ha motivo di spaventarsi. Ma un susseguirsi di boati, uno più potente dell’altro, semina il panico ed incute terrore. Cosa sta succedendo? È l’atteso temporale che si avvicina o il temuto uragano?
Istruttiva a questo proposito è la lettura dei commenti circolati nel movimento sulla rivolta scoppiata a Londra. Dopo la doverosa e scontata comprensione dei motivi che possono aver spinto migliaia di giovani in strada a saccheggiare negozi e a battersi con la polizia, la loro conclusione si divide per lo più fra un’isterica condanna e una calcolata approvazione. Per i militanti dediti al quotidiano lavoro politico — conquistare ed educare le masse — non ci possono essere dubbi sul conto di queste sommosse. Si tratta di sfoghi di febbre momentanei, terminati i quali tutto rientra nella normalità; sono privi di contenuto, di un programma, di una prospettiva, per cui non fanno altro che fornire pretesti ad un inasprimento delle leggi repressive; sono opera di giovani frustrati che non mettono in discussione nulla, come dimostrano le merci che maggiormente vanno a ruba (telefoni cellulari e capi di abbigliamento sportivo).
Invece gli intellettuali, più avvezzi alla strategia politica, non si fanno molti scrupoli. Meglio fare buon viso a cattivo gioco ed arruolare sul campo l’energia dispiegata nel corso delle sommosse, attribuendo loro ragioni e finalità che palesemente non hanno ma che rispecchiano, ovviamente, quelle di chi ci specula sopra. Vale la pena qui notare che a lanciarsi in questo comico esercizio di mistificazione sono coloro che più di tutti si sono distinti per essersi battuti contro gli eccessi della rivolta. Questi aspiranti consiglieri del principe sarebbero assai più conseguenti se — anziché salutare l’inesistente consapevolezza dei rivoltosi inglesi nel dover «mettere le mani nei meccanismi di potere» al fine di inventare «nuove istituzioni costituenti» — si unissero all’arcivescovo di Westminster nella sua condanna contro chi non rispetta il Bene Comune (parole sue!). A meno che non pensino che questi stessi rivoltosi, dovesse mai diffondersi qui in Italia la loro collera, si infilerebbero le pattine prima di entrare negli uffici dell’AltroComune.
Ma che questa chiosa militante-intellettuale sia liquidatoria o carezzevole, la sua sostanza non cambia di molto. Viene comunque decretato che quegli insorti avrebbero bisogno di qualcuno che li illumini e li guidi. Il comitato centrale di un’organizzazione rivoluzionaria, secondo alcuni; una figura carismatica alla Martin Luther King, secondo altri. Altrimenti tutto il loro scatenarsi rischia di rimanere mindless: irragionevole, sciocco, privo di intelligenza. E così è stata effettivamente definita da più parti la recente rivolta inglese che non ha proposto nulla, non ha offerto una alternativa politica, non ha avanzato rivendicazioni precise. È stata per lo più un’esplosione di rabbia consumata non soltanto contro grandi magazzini, automobili di lusso e pattuglie di polizia, ma anche contro piccoli negozi, macchine utilitarie, edifici popolari. Addirittura — come lamenta un patetico comunicato di un gruppo comunista libertario — contro i mezzi di trasporto pubblici che conducono gli operai al lavoro.
È evidente cosa sottendano queste rimostranze. Che, se si vuole ottenere consenso, bisogna essere ragionevoli. Il conflitto va ricercato, ma solo nei contesti giusti. Va praticato, ma solo al momento opportuno. Va attraversato, ma solo quel tanto che basta per potersi sedere al tavolo delle trattative con carte migliori in mano. La rivolta da applaudire è quella che ostenta le proprie rivendicazioni in difesa di una qualsiasi Giusta Causa, e viene programmata di volta in volta nel corso di regolari assemblee pubbliche. La rivolta al servizio di un progetto politico, insomma. Ma gli incappucciati di Londra, di Manchester, di Liverpool, come quelli delle banlieu parigine, vivono nelle metropoli che esplodono e non nelle valli che resistono. Chi sono? Non sono cittadini delusi, non sono nemmeno rivoluzionari baldanzosi. Sono, come ha detto un vecchio leader degli hooligan inglesi degli anni 70 e 80, «una generazione la cui idea di futuro e le cui prospettive non arrivano oltre la fine di questa stagione, che non si preoccupa delle ripercussioni dei suoi atti criminali». Scotland Yard denuncia che spuntano in piccoli gruppi molto mobili, assaltano gli esercizi commerciali, li saccheggiano e poi, prima di andarsene, vi appiccano il fuoco. E perché mai lo fanno? A quale titolo? Militanti, intellettuali, preti e giornalisti, sono gente comprensiva. Non hanno dubbi sull’origine di questo disordine. Tutta colpa della polizia razzista e dei suoi abusi di potere, tutta colpa di quel governo conservatore e dei suoi tagli all’assistenza sociale. Se i poliziotti fossero corretti ed educati, se i governanti fossero di una vera sinistra illuminata, tutto ciò non sarebbe mai accaduto. Il popolo, o la moltitudine, sarebbe felice di recarsi al proprio posto di lavoro fisso e farsi sfruttare in cambio di un salario equo da spendere in merci insulse.
Ma la civile comprensione ammutolisce davanti alla domanda fondamentale, quella che darebbe un senso ad ogni cosa. Cosa vogliono questi saccheggiatori? Se solo parlassero, i loro interlocutori si sforzerebbero di capire. È il loro mestiere, hanno bisogno di una risposta ad ogni domanda. Purtroppo questi insorti non parlano, non tengono conferenze stampa. Ecco perché, dai mass-media ai quadri di partito, non trovano di meglio da fare che ripetere le urla di disapprovazione contro chi non ha risparmiato nulla: «questi incappucciati sono pazzi perché hanno attaccato la loro stessa comunità». Nella loro mancanza di coscienza di classe, gli insorti moderni pare siano o poveri idioti in preda ad una furia cieca che non porta da nessuna parte oppure utili idioti al servizio dello Stato.
E «idioti», in un certo senso, lo sono senz’altro. Non è così che nell’antica Grecia veniva definito chi si disinteressava dell’amministrazione della polis, della città, curando esclusivamente il proprio piacere personale? I negozi saccheggiati, i palazzi dati alle fiamme — senza neppure passare per una preventiva approvazione popolare in assemblea! — ne sono una prova inconfutabile. Ma di ben altro genere e spessore di idiozia è affetto invece chi pensa che possa esistere oggi al mondo una comunità diversa da quella di cittadini dello Stato e consumatori del Capitale. Quale sarebbe la «nostra stessa comunità» che non andrebbe attaccata, che andrebbe rispettata? Quella che ha introiettato i valori, il linguaggio e le tradizioni della putrida società in cui si ritrova a vivere? Questi giovani nati e cresciuti a Parigi o a Londra sanno di non essere più algerini o giamaicani, e gli basta uno specchio per capire che non saranno mai neppure francesi o inglesi. Ovunque vadano si ritrovano estranei, ospiti indesiderati, a malapena tollerati se non apertamente disprezzati, e come tali vengono ogni giorno trattati. Perché dovrebbero rispettare qualcosa? Perché mai nei loro pochi momenti di libertà non dovrebbero distruggere ciò che hanno attorno e che ai loro occhi incarna sia l’autorità dei loro padroni sia l’obbedienza dei loro familiari? E perché, se avvicinati, non dovrebbero allontanare gli stessi sovversivi accorsi in loro sostegno, identificati come ennesimi assistenti sociali arrivati sul posto per spiegargli un mondo che già li disgusta?
In fondo loro hanno trovato un modo per risolvere il dilemma esistenziale che è stato loro imposto. In un mondo che da un lato sollecita a diventare proprietari di tutto e dall’altro riduce in una povertà che non può permettersi niente, loro saccheggiano. Mentre noi, che da un lato vorremmo trasformare radicalmente tutto e dall’altro ci imbattiamo (e ci imbatteremo sempre più spesso) in compagni di strada che non vogliono sovvertire niente, cosa intendiamo fare per risolvere il nostro dilemma? Chiuderci nel nostro chiostro per non correre il rischio di venire confusi con la triviale canaglia? Unirci alla baldoria del saccheggio per un momento di rapida gratificazione e per vantarci di essere presenti «nella realtà della lotta»? Oppure...
Il tempo scorre in fretta. Fra esodi di massa e Borse in picchiata, politiche di austerità e crescente disperazione, l’ora della risposta sta per squillare.
[3/9/11]