René Daumal

Il catechismo


Il Signor Curato aveva sempre l’occhio un po’ cisposo, al risveglio, ma quella mattina gli era stato particolarmente difficile scollare le palpebre. Le lavò con camomilla e si guardò nello specchio. Finalmente gli occhi erano ben aperti, freschi, gradevoli, ma lo sforzo lasciava insoddisfatto il Signor Curato. Si vedeva gli occhi aperti e però se li sentiva chiusi. Come se avesse avuto dentro il cranio altri due occhi dalle palpebre di piombo serrate su mondi notturni. Scosse la testa per cacciar via queste idee malsane, ma facendolo sentì distintamente due globi che oscillavano all’interno. Una voce gli salì alla memoria:

«È la cispa spirituale,

è la lavata di capo

dello Spirito Santo...»

Si fece il segno della Croce. Questo peggiorò soltanto le cose. Ora percepiva bene delle palpebre e la tensione muscolare che le teneva chiuse. Ora, invece, qualcosa si voleva aprire e occorreva uno sforzo per tener chiusi quegli occhi invisibili. «Ma allora, sto diventando rimbambito? Signore, allontana da me questa tentazione». Ma il Signore non rispose e la cosa si trasformò in un bisogno di starnutire. «Aprirò, non aprirò?».

In fretta, dimenandosi come uno scolaro cui la maestra non permetta di uscire dall’aula neanche per un momento, il Signor Curato sfogliò il Dizionario dei Casi di Coscienza dell’Enciclopedia Migne. «Vediamo: occhio... niente! occhi... niente! lavata... capo... niente! cispa... niente! voglia... niente! irresistibile... niente! niente! Niente. Beh, almeno ho la coscienza tranquilla. Non è un peccato catalogato. Rischio di cavarmela. Apro!».

Nella sua testa ci fu un gran strappo, come quando si cava un dente senza anestesia, ma ancor più nel profondo di tutte le ossa. Poi uno scivolare senza rumore, rapido e interminabile, come di un sipario teatrale. E ci siamo. È tutto. Ma bisognava pensarci.

Il Signor Curato mise il suo pezzetto di pane nella tasca della sottana per mangiarlo dopo la Messa, e si diresse verso la Chiesa. Levata di cappello alla tabaccaia, levata di cappello alla guardia campestre, un lazzo allo scaccino, una frecciatina alla donna delle sedie, uno scappellotto al chierichetto, come sempre, come sempre, ma era la prima volta che il Signor Curato osservava il Signor Curato nei suoi gesti quotidiani. Disse la Messa male come al solito, ma per la prima volta l’ascoltò.


Dopo la Messa, c’era il catechismo. I ragazzi c’erano tutti, tranne i due che avevano gli orecchioni; una dozzina, cretini e scaltri, inzaccherati e ben pettinati, rachitici e ben piantati. Il Curato batté le mani, mani che facevano un buon mezzo chilo di carne l’una, e quando i ragazzi ebbero quasi finito di prendersi a spintoni disse loro:

— Figlioli miei, quest’anno abbiamo lavorato bene e, spero, saremo tutti pronti per il cibo della Sacra Mensa.

E tra sé mormorava: «Noi saremo tutti pronti... E però è vero che dico sempre noi. Non l’avevo mai notato». Continuò:

— Riprenderemo oggi il catechismo dall’inizio. Ma oggi faremo in un altro modo. Poiché sappiamo bene il nostro catechismo, non occorre recitarlo. Risponderete secondo il vostro cuore e la vostra coscienza, come se non aveste mai imparato niente, con le sole risorse delle vostre anime.

(Stava per aggiungere «innocenti», ma si trattenne).

— Vediamo, Gustave!

Gustave, il bambino della casellante, che non è né cretino né scaltro, né inzaccherato né ben pettinato, né rachitico né ben piantato, né allegro né triste, né bello né brutto, un bambino modello, insomma, si avvicinò.

— Dimmi, figliolo, che cos’è Dio?

Gustave, tirando su col naso come un vecchio intenditore, si gonfia come un palloncino e comincia a sciorinare:

— Dio è un puro spi...

— Razza d’idiota! — mugghiò il Curato lanciandogli in faccia il suo mezzo chilo di carne destro.

Gustave andò a frignare in un angolo. Silenzio religioso. Non si era mai vista una cosa simile. Arsène, il figlio del gendarme, se la faceva addosso. Una mosca smise di volare.

— Nénesse! — disse il Curato.

Nénesse, il marmocchio della lavandaia, pulito e tarchiato, la testa fra le spalle e il mento negli occhi, cocciuto come un caprone, si avvicinò in punta di piedi.

— Che cos’è Dio?

Con voce tremante :

— Dio è amore...

— E tua sorella?

E pam! sul sedere.

— Auguste!

Arriva un ragazzino pieno di minestra, flaccido, con dei calzoncini di velluto che gli segano le cosce, un dito nel naso. Ascolta la domanda, fa: «Ehm... ehm...», riceve la sventola e se ne va con due dita nel naso.

— Ferdinand!

Ferdinand ha diciannove anni e segue il catechismo col suo gemello Hasdrubale, perché la mamma, dopo la morte del suo sposo, impresario di pompe funebri e ateo incallito, ha avuto una crisi di coscienza; s’è volta alla religione e ha voluto dare ai suoi due figli l’educazione cristiana di cui la testardaggine materialista del padre li aveva privati. I due gemelli avevano appena superato la licenza (filosofia), con la menzione Bene. Sono dei ragazzi ritardati sotto parecchi punti di vista.

— Ferdinand, che cos’è Dio?

Ferdinand si aggiusta la cravatta con civetteria, fa il gesto di acchiappare un’idea per aria tra pollice e indice e dichiara che «Dio è l’essere necessario di cui si può negare tutto». Sul che riceve uno schiaffo abbagliante e se ne va pieno di sussiego, subito sostituito dal gemello Hasdrubale, che si aggiusta la cravatta con civetteria, unisce il pollice e l’indice e dichiara con tono di superiorità che «Dio è l’essere assolutamente libero di cui si può affermare tutto», e pam! e se ne va, impermalito.

— Arsène!

Il figlio del gendarme non viene.

— Dov’è Arsène?

— È scappato, Signor Curato — dice Auguste.

— Ah, bricconcello — dice il Curato andando a chiudere la porta a chiave. Ma tra sé pensava: «Ecco un ragazzo intelligente».

— Hugues!

— Hugues, un mascalzoncello, si trascina:

— Che cos’è Dio?

— È un piccione...

Pam! sul mascalzoncello.

— Bébert! Che cos’è Dio?

— È Padre nostro che sei...

— Sei? Ripeti un po’: chi sei?

— Chi sei...

E toc! sul dente malato.

— Zacharie!... Che cos’è Dio?

— Gesù bambino...

Pam!

— Octave!... Che cos’è Dio?

— Il nostro Salvatore che...

Ciac!

Si cominciava a tremare e a gemere sinistramente, nella piccola assemblea.

— Marius!... Che cos’è Dio?

— È quando...

Zing!

— Épinard!

Épinard — è un nomignolo — arriva. È lo scemo, il figlio del veterinario. È quasi trasparente di paura e di cretinismo, tranne le lentiggini che navigano alla superficie della sua carne di mollusco; ha grandi ciglia di fieno e capelli di canapa. È l’ultimo a passare.

— Épinard, che cos’è Dio? — dice il Curato con voce vuota.

Il ragazzo si spreme in se stesso come una spugna, gli escono due uova di cristallo da ogni lato della radice del naso, e dice in un soffio :


— È una sberla.


Silenzio, silenzio religioso. Il Curato resta immobile. Dopo un minuto, una mosca si rimette a volare. Épinard aspettava: le due lagrime erano arrivate al mento.

— Ebbene, figliolo, puoi tornare al posto — dice il Curato. — E ora che sappiamo bene il nostro catechismo, canteremo insieme la preghiera quotidiana.

Si mette all’armonium e il brontolio comincia:

«Pater noster che coglieva i suoi gigli, senza le sue marmellate tututuom, ayayayate gogototom, bababalz bz tatata scut scut teterom titine e lisse, bz bz bz cacataca stra stra teté scut scut biribus corteo triste nonosse duducat tatayonem sediderà a Saint-Malo, amen!».


Ecco fatto. «Purché, pensa il Signor Curato rientrando al presbiterio, purché questo non giunga alle orecchie di Monsignore». Ebbe un brividino agro e, lentamente, pesantemente, come un sipario teatrale, abbassò le palpebre, tende di piombo. Poi emise un sospiro di sollievo.


ALTRA VERSIONE

DELLA STESSA STORIA

Questo abate

che dice il Benedicite

è stordito

dalla sua astrusità.



[1935]