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Vorrebbero che in perpetuo stessimo lì ad eseguire capriole attorno alla loro baracca, anche quando questa è diventata l’arca di Noé di tutti gli animali, l’arcobaleno di tutti i colori, lo sfiatatoio di tutti gli zampognari, il pisciatoio di tutti i lavativi, la fiera di tutti i saltimbanchi?

Ma queste sono mentalità e moralità di camorristi e di sagrestani, i quali fanno consistere ogni bene ed ogni gloria nella cricca, nella combriccola, nella chiesuola e nell’altare, nei compagni di coro e di società. Di «onorata società».

Per costoro le incoerenze, le viltà, le ribalderie, i tradimenti sono leciti, anzi lodevoli, se compiuti da uno della tribù. Diventano al contrario delitto capitale se il reo è un trescone o uno scimmione.

La vera coerenza invece consiste nel seguir le idee e non mai gli uomini, e nel giudicare questi dal modo come si comportano di fronte all’idea; molto più quando nell’andare per tale via c’è tutto da perdere e nulla da guadagnare, e quando si corre incontro ad avversioni, a pericoli, a patimenti, a calunnie, a persecuzioni di ogni specie.

Ciò è tanto più necessario in quanto, per colpa di una inqualificabile geldra d’equilibristi e di confusionisti, di guastamestieri e d’avventurieri d’ogni colore e d’ogni tendenza, il movimento anarchico sta per cadere in un caos tale da non sapere più che differenza passa tra un refrattario e un padellaio.


[L’Aurora, n. 4, 15 maggio 1928]