l-c-img-5773-jpg.jpg


Giurista, politologo, parlamentare nelle file della Destra, Gaetano Mosca (1858-1941) può essere considerato uno di quegli uomini di potere che ha parlato troppo. Principale teorico dell’elitismo assieme a Pareto, la sua analisi della classe politica è stata definita «il maggior contributo italiano alla storia del pensiero politico». Di sicuro, uno dei più schietti. Mosca spiega come ogni sistema di potere, quale che sia l’aspetto formale che assume, sia comunque retto da una oligarchia. In monarchia come in democrazia, è sempre una ristretta minoranza di potenti e di ricchi a decidere, a governare, a difendere i propri privilegi e ad imporre la propria volontà. Tutto il resto sono chiacchiere.



Fra le tendenze ed i fatti costanti, che si trovano in tutti gli organismi politici, uno ve n’è la cui evidenza può essere facilmente a tutti manifesta: in tutte le società, a cominciare da quelle più mediocremente sviluppate e che sono appena arrivate ai primordi della civiltà, fino alle più colte e più forti, esistono due classi di persone: quella dei governanti e l’altra dei governati. La prima, che è sempre la meno numerosa, adempie a tutte le funzioni politiche, monopolizza il potere e gode i vantaggi che ad esso sono uniti; mentre la seconda, più numerosa, è diretta e regolata dalla prima in modo più o meno legale, ovvero più o meno arbitrario e violento, e ad essa fornisce, almeno apparentemente, i mezzi materiali di sussistenza e quelli che alla vitalità dell’organismo politico sono necessari.

Nella pratica della vita tutti riconosciamo l’esistenza di questa classe dirigente o classe politica. Sappiamo infatti che nel nostro paese alla direzione della cosa pubblica vi è una minoranza di persone influenti, di cui la maggioranza subisce, di buon grado o malgrado, la direzione e che lo stesso avviene nei paesi vicini, e non sapremmo quasi nella realtà immaginare un mondo organizzato diversamente, nel quale tutti ugualmente e senza alcuna gerarchia fossero sottoposti ad un solo o tutti ugualmente dirigessero le cose politiche. Se in teoria ragioniamo altrimenti ciò è in parte l’effetto di abitudini inveterate nel nostro pensiero ed in parte è dovuto alla soverchia importanza che diamo a due fatti politici, la cui appariscenza è d’assai superiore alla realtà.

Il primo di essi consiste nella facile constatazione che in ogni organismo politico vi è sempre una persona che è capo della gerarchia di tutta la classe politica e dirige ciò che si chiama il timone dello Stato. Questa persona non sempre è quella che legalmente avrebbe il supremo potere, alle volte anzi, accanto al Re od all’Imperatore ereditario vi è un primo ministro o un maestro di palazzo che ha un potere effettivo maggiore di quello del Sovrano, od, in luogo del Presidente elettivo, governa l’uomo politico influente, che l’ha fatto eleggere. Qualche volta, per circostanze speciali, invece di una persona sola sono due o tre quelle che adempiono a quest’ufficio della suprema direzione.

Il secondo fatto è anch’esso di facile percezione, perché qualunque sia il tipo di organizzazione sociale, agevolmente si può constatare che la pressione proveniente dal malcontento dalla massa dei governati, le passioni da cui essa è agitata possono esercitare una certa influenza sull’indirizzo dalla classe politica.

Ma l’uomo che è a capo dello Stato non potrebbe certo governare senza l’appoggio di una classe numerosa, che i suoi ordini fa eseguire e rispettare, e se egli può far sentire il peso della sua possanza ad uno od a parecchi dei singoli individui, che a questa classe appartengono, non può certo urtarla nel suo complesso e distruggerla. Giacché, dato che ciò fosse possibile, dovrebbe subito ricostituirne un’altra, senza di che la sua azione sarebbe completamente annullata. E d’altra parte, ammesso anche che il malcontento delle masse riuscisse a detronizzare la classe dirigente, dovrebbe necessariamente trovarsi, come più avanti meglio dimostreremo, nel seno delle masse stesse un’altra minoranza organizzata, che all’ufficio di classe dirigente adempisse. Altrimenti qualunque organizzazione e qualunque compagine sociale sarebbe distrutta.


Ciò che poi costituisce la vera superiorità della classe politica, come base di ricerche scientifiche, è l’importanza preponderante che la sua varia costituzione ha nel determinare il tipo politico ed anche il grado di civiltà dei diversi popoli. Stando infatti a quella maniera di classificare le forme dei governi, che è ancora in voga, la Turchia e la Russia erano fino a qualche anno fa tutte e due monarchie assolute, l’Inghilterra e l’Italia monarchie costituzionali e la Francia e gli Stati Uniti andrebbero poste nella categoria delle Repubbliche. Questa classificazione è basata sul fatto che, nei primi due paesi, il capo dello Stato è ereditario ed era nominalmente onnipotente, nei secondi, pur essendo ereditario, ha facoltà ed attribuzioni limitate, negli ultimi infine è elettivo. Ma la classificazione è evidentemente superficiale.

Giacché appare subito che ben poco di comune v’è nella maniera come sono ed erano rette politicamente la Russia e la Turchia, assai diverso essendo il grado di civiltà di questi due paesi e l’ordinamento delle loro classi politiche: e, seguendo lo stesso criterio, troviamo il regime dell’Italia monarchica assai più analogo a quello della Francia repubblicana che a quello dell’Inghilterra ugualmente monarchica, ed importantissime differenze esservi fra l’ordinamento politico degli Stati Uniti e quello della Francia stessa, sebbene ambedue i paesi siano retti a repubblica.

Come poco avanti abbiamo accennato, lunghe abitudini di pensiero si sono opposte e si oppongono su questo punto al progresso scientifico. La classificazione da noi accennata, che divide i Governi in monarchie assolute, temperate e repubbliche è opera di Montesquieu che la sostituì a quella classica, che già avea fatto Aristotele, il quale li divideva in monarchie, aristocrazie e democrazie (1). Da Polibio a Montesquieu molti autori aveano perfezionato la classificazione aristotelica sviluppandola nella teoria dei Governi misti. Poi la corrente democratica moderna, che ebbe il suo inizio con Rousseau, si fondò sul concetto che la maggioranza dei cittadini di uno Stato possa, anzi debba partecipare alla vita politica; e la dottrina della sovranità popolare, malgrado che la scienza moderna renda sempre più manifesta la coesistenza in ogni organismo politico del principio democratico, del monarchico e dell’aristocratico, s’impone ancora a moltissime menti. Noi qui non la confuteremo direttamente, giacché a questo compito adempiamo in tutto il complesso del nostro lavoro, e perché è assai difficile in poche pagine distruggere in una mente umana tutto un sistema d’idee, che vi si è radicato; giacché, come bene scrisse il Las Casas nella vita di Cristoforo Colombo, il disimparare è in molti casi più difficile dell’imparare.


Fin da ora però crediamo utile di rispondere ad una obiezione, la quale ci pare che molto facilmente si possa fare al nostro modo di vedere. Se è agevole il comprendere che un solo non possa comandare ad una massa senza che ci sia in essa una minoranza che lo sostenga, è piuttosto difficile l’ammettere come un fatto costante e naturale, che le minoranze comandino alle maggioranze anziché queste a quelle. Ma è questo uno dei punti, come tanti se ne danno in tutte le altre scienze, in cui la prima apparenza delle cose è contraria alla loro realtà. Nel fatto è fatale la prevalenza di una minoranza organizzata, che obbedisce ad unico impulso, sulla maggioranza disorganizzata. La forza di qualsiasi minoranza è irresistibile di fronte ad ogni individuo della maggioranza, il quale si trova solo davanti alla totalità della minoranza organizzata; e nello stesso tempo si può dire che questa è organizzata appunto perché è minoranza. Cento, che agiscano sempre di concerto e d’intesa gli uni cogli altri, trionferanno su mille presi ad uno ad uno e che non avranno alcun accordo fra loro; e nello stesso tempo sarà ai primi molto più facile l’agire di concerto e l’avere un’intesa, perché son cento e non mille.

Da questo fatto si ricava facilmente la conseguenza che, quanto più è grande una comunità politica, altrettanto minore può essere la proporzione della minoranza governante rispetto alla maggioranza governata, e tanto più difficile riesce a questa l’organizzarsi per reagire contro di quella.

Però, oltre al vantaggio grandissimo che viene dall’organizzazione, le minoranze governanti ordinariamente sono costituite in maniera che gl’individui che le compongono, si distinguono dalla massa dei governati per certe qualità, che danno loro una certa superiorità materiale ed intellettuale od anche morale, oppure sono gli eredi di coloro che queste qualità possedevano: essi in altre parole devono avere qualche requisito, vero od apparente, che è fortemente apprezzato e molto si fa valere nella società nella quale vivono.

[…]

Come in Russia ed in Polonia, come nell’India e nell’Europa del Medio Evo, dappertutto le classi guerriere e dominatrici si sono accaparrata la quasi esclusiva proprietà delle terre, che nei paesi non molto civili sono la fonte principalissima della produzione e della ricchezza. A misura poi che la civiltà va progredendo, il reddito di queste terre va aumentando (2), ed allora, se altre circostanze vi concordano, può avvenire una trasformazione sociale molto importante: la qualità più caratteristica della classe dominante più che il valore militare viene ad essere la ricchezza, i governanti sono i ricchi piuttosto che i forti.

La principale condizione necessaria perché questa trasformazione avvenga è la seguente: occorre che l’organizzazione sociale si perfezioni e si concentri in maniera che il presidio della forza pubblica diventi molto più efficace di quello della forza privata. Bisogna, in altre parole, che la proprietà privata sia sufficientemente tutelata dalla forza pratica e reale delle leggi in modo da rendere superflua quella del proprietario stesso. Ciò si ottiene mediante una serie di graduali mutamenti nell’ordinamento sociale, sui quali più avanti ci dovremo piuttosto lungamente intrattenere, e che hanno per effetto di cambiare quel tipo di organizzazione politica, che noi chiameremo lo Stato feudale, in un altro tipo, essenzialmente diverso, che da noi sarà denominato Stato burocratico. Però fin da ora possiamo dire che la evoluzione, alla quale abbiamo accennato, ordinariamente è molto facilitata dal progredire dei pacifici costumi e da certe abitudini morali, che le società contraggono col progredire della civiltà.

Una volta avvenuta la detta trasformazione è certo che, come il potere politico ha prodotto la ricchezza, così la ricchezza produce il potere. In una società già abbastanza matura, nella quale la forza individuale è tenuta a freno da quella collettiva, se i potenti sono ordinariamente i ricchi, dall’altra parte basta essere ricchi per diventare potenti. Ed in verità è inevitabile che, quando è proibita la lotta a mano armata restando permessa quella a colpi di scudi, i posti migliori siano conquistati appunto da coloro che di scudi sono meglio forniti.

Ci sono invero Stati di civiltà avanzatissima, che sono organizzati in base a princìpi morali di un’indole tale, che sembrano escludere questa preponderanza della ricchezza da noi enunciata. Ma questo è uno dei tanti casi in cui i principi teorici non hanno che una limitata applicazione nella realtà delle cose. Negli Stati Uniti d’America, ad esempio, tutti i poteri escono direttamente od indirettamente dalle elezioni popolari ed il suffragio è, in quasi tutti gli Stati, universale; e vi è anche di più: la democrazia colà non è solo nelle istituzioni, ma anche in certo modo nei costumi, e vi è una certa ripugnanza nei ricchi a darsi ordinariamente alla vita pubblica ed una certa ripugnanza nei poveri a scegliere i ricchi per le cariche elettive. Ciò non toglie che un ricco vi sia sempre molto più influente di un povero, perché può pagare i politicanti spiantati, che dispongono delle pubbliche amministrazioni; non toglie che le elezioni si facciano al suono dei dollari; che intieri parlamenti locali e numerose frazioni del Congresso non risentano l’influenza delle potenti compagnie ferroviarie e dei grandi baroni della finanza. E vi è perfino chi assicura che, in parecchi Stati dell’Unione, chi abbia molto da spendere possa anche concedersi il lusso di ammazzare un uomo colla quasi sicurezza dell’impunità.

[…] Prima di lasciare quest’argomento dobbiamo poi rammentare che, in tutti i paesi del mondo, altri mezzi d’influenza sociale, quali sarebbero la notorietà, la grande cultura, le cognizioni speciali, i gradi elevati nelle gerarchie ecclesiastiche, amministrative e militari, si acquistano sempre più facilmente dai ricchi anziché dai poveri. I primi per arrivare devono sempre percorrere una via notevolmente più breve di quella dei secondi, senza contare che il tratto di strada, che ai ricchi viene risparmiato, è spessissimo il più aspro e difficile.


Nelle società nelle quali le credenze religiose hanno molta forza ed i ministri del culto formano una classe speciale si costituisce quasi sempre un’aristocrazia sacerdotale, che ottiene una parte più o meno grande della ricchezza e del potere politico. Abbiamo esempi cospicui di questo fatto in certe epoche dell’antico Egitto, nell’India braminica e nell’Europa del Medio Evo. Spesso i sacerdoti, oltre che adempire agli uffici religiosi, hanno avuto anche cognizioni giuridiche e scientifiche e hanno rappresentato la classe intellettualmente più elevata. Conscientemente o inconscientemente però, nelle gerarchie sacerdotali si è manifestata di frequente la tendenza a monopolizzare le cognizioni accennate e ad ostacolare la diffusione dei metodi e dei procedimenti, che rendono possibile e facile l’apprenderle. Si può invero sospettare che a questa tendenza sia, almeno in parte, dovuta la lentissima diffusione che ebbe nell’Egitto antico l’alfabeto demotico, infinitamente più semplice e facile della scrittura geroglifica. In Gallia i Druidi, sebbene avessero conoscenza dell’alfabeto greco, non permettevano che la copiosa raccolta della loro letteratura sacra fosse scritta ed obbligavano i loro allievi a cacciarla con molta fatica a memoria. Allo stesso scopo può essere attribuito l’uso tenace e frequente delle lingue morte, che troviamo nell’antica Caldea, nell’India e nell’Europa del Medio Evo. Qualche volta, infine, come è appunto accaduto nell’India, si è proibito formalmente alle classi inferiori di aver conoscenza dei libri sacri.

Le nozioni speciali e la vera cultura scientifica, spoglie di qualunque carattere sacro e religioso, diventano una forza politica importante solo in uno stadio molto avanzato di civiltà; ed è allora soltanto che esse possono a coloro che le posseggono aprire l’adito della classe governante. Ma, anche in questo caso, è da tener presente che ciò che ha un valore politico non è tanto la scienza in se stessa quanto le applicazioni pratiche che se ne possono fare a vantaggio del pubblico, ovvero dello Stato. Qualche volta non si richiede che il possesso dei soli procedimenti meccanici indispensabili per acquistare una coltura superiore, forse perché è più facile constatare e misurare la perizia, che in essi il candidato ha potuto acquistare. Così, in certe epoche dell’antico Egitto, la professione di scriba conduceva alle cariche pubbliche ed al potere, forse anche perché l’apprendere la scrittura geroglifica richiedeva lunghi e pazienti studi; come pure, nella China moderna, la conoscenza dei numerosissimi caratteri della scrittura chinese ha formato la base della cultura dei mandarini. Nell’Europa presente ed in America la classe, che applica alla guerra, all’amministrazione pubblica, alle opere ed alla sanità pubblica i ritrovati della scienza moderna, occupa una posizione socialmente e politicamente ragguardevole: e, negli stessi paesi, come nella Roma antica, privilegiata assolutamente è la condizione dei giurisperiti, che conoscono la complicata legislazione comune a tutti i popoli di antica civiltà, massime se alle nozioni giuridiche accoppiano quel genere di eloquenza, che più incontra il gusto dei propri contemporanei. Non mancano esempi nei quali vediamo che, nella frazione più elevata della classe politica, la lunga pratica nel dirigere l’organizzazione militare e civile della comunità fa nascere e sviluppare una vera arte di governo superiore al gretto empirismo ed a tutto ciò che può suggerire la sola esperienza individuale. E allora che si costituiscono quelle aristocrazie di funzionari, come il Senato romano, il veneto e, fino ad un certo punto la stessa aristocrazia inglese, che formavano l’ammirazione dello Stuart Mill e che certo hanno dato alcuni dei Governi, che più si sono distinti per maturità nei loro disegni e costanza ed avvedutezza nel metterli in esecuzione. Quest’arte non è certo la Scienza politica, ma ha precorso senza dubbio l’applicazione di alcuni suoi postulati; però, se essa si è in qualche modo affermata in certe classi di persone da lungo tempo in possesso delle funzioni politiche, crediamo che la sua conoscenza non abbia servito mai come criterio ordinario per aprirne l’accesso a coloro, che dalla loro posizione sociale ne restavano esclusi.


In certi paesi troviamo le caste ereditarie; la classe governante è perciò definitivamente ristretta ad un dato numero di famiglie e la nascita è l’unico criterio, che determina l’entrata nella detta classe o l’esclusione da essa. Gli esempi di queste aristocrazie ereditarie sono comunissimi e non vi è quasi paese di antica civiltà, che, in una data epoca della sua storia, non ne abbia avuto. Una nobiltà ereditaria troviamo infatti in certi periodi nella China e nell’Egitto antico, nell’India, nella Grecia anteriore alle guerre mediche, in Roma antica, tra gli Slavi, tra i Latini e Germani del Medio Evo, nel Messico all’epoca della scoverta dell’America e nel Giappone fino a pochi anni fa.

Su questo proposito dobbiamo premettere due osservazioni: la prima è che tutte le classi politiche hanno la tendenza a diventare di fatto, se non di diritto, ereditarie. Infatti tutte le forze politiche hanno quella qualità, che in fisica si chiama forza di inerzia, cioè la tendenza a restare nel punto e nello stato in cui si trovano. Il valor militare e la ricchezza facilmente per tradizione morale e per effetto dell’eredità si mantengono in certe famiglie; e la pratica delle grandi cariche, l’abitudine e quasi l’attitudine a trattare gli affari di importanza si acquistano molto più facilmente quando da piccoli si è avuta con essi una certa famigliarità. Anche quando i gradi accademici, la coltura scientifica, le attitudini speciali provate per mezzo di esami e di concorsi aprono l’adito alle cariche pubbliche, non si distrugge quel vantaggio speciale a favore di taluni, che i Francesi definiscono il vantaggio delle posizioni già prese. Ed in realtà, per quanto esami e concorsi siano teoricamente aperti a tutti, alla maggioranza manca sempre l’agiatezza necessaria per sopperire alle spese di una lunga preparazione, ed a molti altri fanno difetto le relazioni e le parentele, per le quali un individuo è messo subito sulla via buona e si evitano i tentennamenti e gli sbagli inevitabili quando si entra in un ambiente sconosciuto, nel quale non si hanno guide ed appoggi (3).

La seconda osservazione consiste in ciò: che, quando vediamo in un paese stabilita una casta ereditaria che monopolizza il potere politico, si può esser sicuri che un simile stato di diritto fu preceduto dallo stato di fatto. Prima di affermare il loro diritto esclusivo ed ereditario al potere, le famiglie o le caste potenti dovettero tenere ben saldo nelle loro mani il bastone del comando, dovettero monopolizzare assolutamente tutte le forze politiche di quell’epoca e di quel popolo in cui si affermarono; altrimenti una pretesa di questo genere avrebbe suscitato proteste e lotte acerbissime.

Dopo ciò diremo come le aristocrazie ereditarie spesso hanno vantato una origine soprannaturale o almeno diversa e superiore a quella delle classi governate; tale pretesa si spiega con un fatto sociale importantissimo, del quale dovremo lungamente parlare nel seguente capitolo, e che fa sì che ogni classe governante tende a giustificare il suo potere di fatto appoggiandolo ad un principio morale d’ordine generale. Recentemente però la stessa pretesa si è presentata con l’appoggio di un corredo scientifico. Qualche scrittore, sviluppando ed ampliando le teorie del Darwin, crede che le classi superiori rappresentino un grado più elevato dell’evoluzione sociale e che esse quindi siano per costituzione organica migliori di quelle inferiori; il Grumplowicz, già citato, va più avanti e sostiene nettamente il concetto che la divisione dei popoli in classi professionali è fondata, nei paesi di moderna civiltà, sopra una eterogeneità etnica.

Or sono notissime nella storia le qualità come anche i difetti speciali, le une e gli altri molto accentuati, che hanno mostrato quelle aristocrazie, che sono rimaste perfettamente chiuse, oppure che hanno reso molto difficile l’accesso nella loro classe. L’antico patriziato romano e la moderna nobiltà inglese e tedesca danno subito l’idea del tipo che accenniamo. Senonché, di fronte a questo fatto ed alle teorie che tendono ad esagerarne la portata, si può fare sempre la stessa obiezione: che gl’individui appartenenti a queste aristocrazie debbono le loro qualità speciali non tanto al sangue, che loro scorre nelle vene, quanto alla particolarissima educazione che hanno ricevuto, e che ha sviluppato in loro certe tendenze intellettuali e morali a preferenza di altre (4).

Si dice che ciò può esser sufficiente a spiegare le superiorità nelle attitudini puramente intellettuali, ma non le differenze di carattere morale, come sarebbero la forza di volontà, il coraggio, l’orgoglio, l’energia. Ma la verità è che la posizione sociale, le tradizioni di famiglia, le abitudini della classe in cui viviamo, contribuiscono al maggiore o minore sviluppo delle qualità accennate più di quanto comunemente si crede. Se infatti osserviamo attentamente gl’individui che cambiano di posizione sociale, o in meglio o in peggio, e che entrano in conseguenza in un ambiente diverso da quello al quale erano abituati, possiamo facilmente accertarci che le loro attitudini intellettuali si modificano molto meno sensibilmente di quelle morali. Astrazion facendo della maggiore larghezza di vedute, che lo studio e le cognizioni danno a chiunque non sia assolutamente uno stupido, ogni individuo, resti semplice segretario o diventi ministro, arrivi al grado di sergente od a quello di generale, sia milionario o pezzente, si mantiene immancabilmente a quel livello intellettuale, che la natura gli ha dato. Mentre, col cambiare del grado sociale e della ricchezza, possiamo benissimo vedere l’orgoglioso diventare umile e la servilità cambiarsi in tracotanza; un carattere franco e fiero, costretto da necessità, imparare a mentire o quanto meno a dissimulare; e chi si è piegato lungamente a simulare e mentire rifarsene poi adottando una sedicente franchezza ed inflessibilità di carattere. È pure vero che chi dall’alto viene abbassato spesso acquista forza di rassegnazione, di sacrificio e d’iniziativa, come pure che chi dal basso viene innalzato qualche volta guadagna riguardo al sentimento della giustizia e dell’equità. Insomma, si muti in bene o in male, deve essere eccezionalmente temprato quell’individuo, che, cambiando notevolmente di posizione sociale, conserva inalterato il proprio carattere.

Il coraggio guerresco, l’energia nell’attacco, la longanimità nella resistenza sono qualità, che spesso e lungamente sono state credute monopolio delle classi superiori. Certo grande può essere la differenza naturale e, diremo così, innata che su queste qualità può correre fra un individuo ed un altro; a mantenerle però alte o basse, in media, in una categoria d’uomini numerosa, concorrono sopratutto le tradizioni e le abitudini dell’ambiente. Generalmente ci familiarizziamo col pericolo, o meglio ancora con un dato pericolo, quando le persone con cui siamo usi a vivere ne parlano con indifferenza e rimangono calme ed imperturbabili davanti ad esso. Infatti, sebbene molti ce ne siano naturalmente timidi, i montanari affrontano impavidi i pericoli degli abissi ed i marinari quelli del mare, ed allo stesso modo le popolazioni e le classi abituate alla guerra mantengono in sommo grado le virtù militari.

E ciò è tanto vero che, anche popolazioni e classi sociali ordinariamente disusate dalle armi, acquistano rapidamente le dette virtù, purché gl’individui da esse provenienti vengano incorporati in certi nuclei, dove il coraggio e l’ardire siano tradizionali; purché siano, ci si passi la metafora, gettati in crogiuoli umani fortemente imbevuti di quei sentimenti, che ad essi si vogliono trasmettere. Con fanciulli principalmente rubati fra gl’infiacchiti Greci di Bisanzio Maometto II reclutava i suoi terribili giannizzeri; il tanto disprezzato fellah egiziano, da lunghi secoli disabituato dalle armi ed avvezzo a ricevere umile ed imbelle le bastonate di tutti gli oppressori, mescolato ai Turchi ed Albanesi di Mehemet-Alì diventava un buon soldato. La nobiltà francese ha goduto sempre gran fama per il suo brillante valore, ma, fino alla fine del secolo decimottavo, questa qualità non era ugualmente attribuita alla borghesia dello stesso paese; le guerre della repubblica e dell’impero dimostrarono ampiamente che la natura era stata ugualmente prodiga di coraggio per tutti gli abitanti della Francia, e che plebe e borghesia potevano fornire non solo buoni soldati, ma anche, che ciò si credeva privilegio esclusivo dei nobili, eccellenti ufficiali.


Infine, stando all’idea di coloro che sostengono la forza esclusiva del principio ereditario nella classe politica, si verrebbe ad una conseguenza consimile a quella che abbiamo accennato nella prima parte del nostro lavoro: la storia politica della umanità dovrebbe essere molto più semplice di quella che è. Se veramente la classe politica appartenesse ad una razza differente o se le sue qualità dominatrici si trasmettessero principalmente per mezzo della eredità organica, non si capirebbe il perché, formata una volta questa classe, essa debba decadere e perdere il potere. È ammesso comunemente che le qualità proprie di una razza sono molto tenaci e, stando alla teoria dell’evoluzione, le attitudini acquisite nei padri sono innate nei figli e col succedersi delle generazioni si vanno sempre più affinando. Sicché i discendenti dei dominatori dovrebbero diventare sempre più atti a dominare, e le altre classi dovrebbero mano mano vedere allontanata la possibilità di misurarsi con loro e di sostituirli. Or la più volgare esperienza basta a farci sicuri che le cose non vanno precisamente così.

Noi vediamo che, appena si spostano le forze politiche, se si fa sentire il bisogno che attitudini diverse di quelle antiche si affermino nella direzione dello Stato e se le antiche quindi non conservano la loro importanza, o se avvengono dei cambiamenti nella loro distribuzione, muta anche la maniera come la classe politica è formata. Se in una società si forma un nuovo cespite di ricchezza, se cresce l’importanza pratica del sapere, se l’antica religione decade od una nuova ne nasce, se una nuova corrente di idee si diffonde, contemporaneamente avvengono forti spostamenti nella classe dirigente. Si può dire anzi che tutta la storia dell’umanità civile si riassume nella lotta fra la tendenza, che hanno gli elementi dominatori a monopolizzare le forze politiche ed a trasmetterne ereditariamente il possesso ai loro figli, e la tendenza, che pure esiste, verso lo spostamento di queste forze e l’affermazione di forze nuove, la quale produce un continuo lavorio di endosmosi ed esosmosi fra la classe alta e alcune frazioni di quelle basse. Decadono poi immancabilmente le classi politiche ogni qualvolta non possono più esercitare le qualità per le quali arrivarono al potere, o quando non possono rendere più il servizio sociale che rendevano o le loro qualità ed i servizi che rendono perdono ogni importanza nell’ambiente sociale in cui vivono: così decadde l’aristocrazia romana quando non fornì più esclusivamente gli alti ufficiali dell’esercito, gli amministratori della repubblica, i governatori delle Provincie; così decadde la veneta quando i suoi patrizi non comandarono più le galere e non passarono più gran parte della loro vita navigando, commerciando e combattendo.

Nella natura inorganica troviamo l’esempio dell’aria, nella quale la tendenza all’immobilità, prodotta dalla forza d’inerzia, è continuamente combattuta dalla tendenza allo spostamento, conseguenza delle ineguaglianze nella distribuzione del calorico. Le due tendenze, prevalendo a vicenda nelle diverse parti del nostro pianeta, vi producono or la calma, or il vento e la tempesta. Senza voler trovare alcuna analogia sostanziale fra questo esempio ed i fenomeni sociali, e solo citandolo perché ci fa comodo come paragone formale, osserviamo che, nelle società umane, prevale ora la tendenza che produce la chiusura, l’immobilità, la cristallizzazione, per dir così, della classe politica, ora quella che ha per conseguenza il suo più o meno rapido rinnovamento.

Le società dell’Oriente, che noi giudichiamo immobili, in realtà non lo sono sempre state, perché altrimenti, come abbiamo già accennato, non avrebbero potuto fare quei progressi di cui ci lasciarono le irrecusabili testimonianze. È molto più esatto il dire che noi le abbiamo conosciute quando erano in un periodo di cristallizzazione delle loro forze e classi politiche. Lo stesso avviene in quelle società, che comunemente si chiamano invecchiate, nelle quali le credenze religiose, la cultura scientifica, i modi di produrre e distribuire la ricchezza non hanno subito da lunghi secoli alcun radicale cambiamento, e che non sono state turbate nel loro ordinario andamento da infiltrazioni materiali od intellettuali di elementi stranieri. In queste società, le forze politiche essendo sempre le stesse, la classe che le possiede mantiene indisputato il potere, che si perpetua per ciò in certe famiglie e l’inclinazione verso la immobilità si generalizza anche in tutti gli strati sociali.

È così che nell’India vediamo il regime delle caste stabilirsi rigorosamente dopo che vi fu soffocato il Buddismo. Così vediamo pure che nell’antico Egitto i Greci trovarono le caste ereditarie, mentre sappiamo che nei periodi di splendore e rinnovamento della civiltà egiziana la ereditarietà degli uffici e delle condizioni sociali non esisteva. Ma l’esempio più noto e forse più importante di una società che tende a cristallizzarsi l’abbiamo in quel periodo della storia romana che dicesi il basso impero, nel quale, dopo alcuni secoli di un’immobilità sociale quasi completa, vediamo farsi sempre più netta la separazione fra due classi: l’una di grandi proprietari e funzionari importanti, l’altra di servi, di coloni, di plebe; e cosa anche più notevole, stabilita pria dal costume che dalla legge, l’eredità degli uffici e delle condizioni sociali si andò in quell’epoca rapidamente generalizzando.

Ma può avvenire al contrario, e avviene qualche volta nella storia delle nazioni, che il commercio con genti estranee, la necessità di emigrare, le scoperte, le guerre, creino nuova povertà e ricchezza nuova, diffondano cognizioni fin allora sconosciute, producano l’infiltrazione di nuove correnti morali, intellettuali e religiose. Può accadere che, per lenta elaborazione interna o per effetto di queste infiltrazioni, o per ambo le cause, sorga una scienza nuova, o tornino in onore i risultati di quella antica, che era stata obliata, e che le nuove idee e le nuove credenze scuotano le abitudini intellettuali sulle quali si fondava l’obbedienza delle masse. La classe politica può anche essere vinta e distrutta in tutto od in parte da invasioni straniere e, quando si producono le circostanze dianzi rammentate, può anche essere sbalzata di seggio da nuovi strati sociali forti di nuove forze politiche. È naturale che ci sia allora un periodo di rinnovamento, o, se si vuole definirlo così, di rivoluzione, durante il quale le energie individuali hanno buon giuoco ed alcuni fra gl’individui più passionati, più attivi, più scaltri ed arditi possono dal basso della scala sociale aprirsi la via fino ai gradi più elevati.

Questo movimento, una volta iniziato, non si può tutto ad un tratto fermare; l’esempio di contemporanei, che, partiti dal nulla sono arrivati a posizioni cospicue, stimola nuove ambizioni, nuove cupidigie, nuove energie, ed il rinnovamento molecolare della classe politica si mantiene attivo finché un lungo periodo di stabilità sociale non lo va di nuovo rallentando (5). Allora, mano mano che dallo stato febbrile una società va passando a quello di calma, siccome le tendenze psicologiche dell’uomo sono sempre le stesse, coloro che fanno parte della classe politica vanno acquistando lo spirito di corpo e di esclusivismo ed imparano l’arte di monopolizzare a loro vantaggio le qualità e le attitudini necessarie per arrivare al potere e per mantenerlo: infine, col tempo, si forma la forza conservatrice per eccellenza, quella dell’abitudine, per la quale molti si rassegnano a stare in basso, ed i membri di certe famiglie o classi privilegiate acquistano la convinzione che per loro è quasi un diritto assoluto lo stare in alto ed il comandare.

Ad un filantropo verrebbe certo la voglia di indagare se l’umanità sia più felice o meno tribolata quando si trova in un periodo di calma e cristallizzazione sociale, in cui ognuno deve quasi fatalmente restare in quel gradino della gerarchia sociale nel quale è nato, ovvero quando traversa il periodo perfettamente opposto di rinnovamento e rivoluzione, che permette a tutti di aspirare ai gradi più eccelsi ed a qualcheduno di arrivarvi. Una simile indagine sarebbe difficile, e si dovrebbe tener conto nella risposta di molte condizioni ed eccezioni e forse essa sarebbe sempre influenzata dal gusto individuale dell’osservatore. Perciò noi ci guarderemo bene dal darla; molto più che, se anche potessimo ottenere un risultato indiscutibile e sicuro, esso sarebbe sempre di una scarsissima utilità pratica: atteso che ciò che filosofi e teologi chiamano il libero arbitrio, cioè la scelta spontanea degli individui, ha avuto finora, e forse avrà sempre, pochissima o quasi nessuna influenza nell’affrettare la fine od il principio di uno dei periodi storici accennati.



(1) Si sa che quella che Aristotele chiamò democrazia non era che un’ aristocrazia più larga, e lo stesso Aristotele avrebbe potuto osservare che, in ogni Stato greco, aristocratico o democratico che fosse, vi erano sempre una o pochissime persone che aveano un’influenza preponderante.

(2) Col crescere della popolazione suole crescere, almeno in certe epoche, la rendita ricardiana, segnatamente perché si creano quei grandi centri di consumo, che sono o furono costituiti da tutte le metropoli e dalle altre grandi città antiche e moderne. Or una popolazione discretamente fitta e la creazione di grandi città sono condizioni quasi necessarie di una civiltà avanzata.

(3) Il principio democratico della elezione a suffragio molto largo parrebbe a prima vista in contraddizione con questa tendenza alla stabilità della classe politica, che abbiamo accennato. Ma bisogna osservare che riescono quasi sempre eletti coloro che posseggono le forze politiche, che abbiamo già enumerato e che spessissimo sono ereditarie. Difatti nel Parlamento inglese ed anche in quelli francese ed italiano vediamo frequentemente sedere i figli, i fratelli, i nipoti e i generi di deputati ed ex-deputati.

(4) Sembra anzi accertato che, fra tutti i coefficienti di superiorità sociale, quello nel quale l’eredità si afferma con minore efficacia sia la superiorità intellettuale, poiché i figli degli uomini di mente più elevata spesso hanno intelletto mediocre; ed è perciò che le aristocrazie ereditarie non si sono mai fondate sulla sola superiorità intellettuale, ma piuttosto su quella del carattere e della ricchezza.

(5) Non citeremo esempi di popoli, che si trovano in periodi di rinnovamento perché nel nostro secolo sarebbero superflui. Rammentiamo soltanto che, nei paesi di recente colonizzazione, il fenomeno del rapido rinnovarsi della classe politica si presenta più di frequente e più spiccato. Dappoiché, quando comincia la vita sociale nei detti paesi, non esiste una classe dirigente bella e formata e, durante il periodo in cui si costituisce, è naturale che il suo ingresso resti più accessibile. Inoltre il monopolio della terra e di altri mezzi di produzione vi è, se non del tutto impossibile, certo più difficile che altrove. È perciò che le colonie greche offrirono, almeno fino ad una certa epoca, un largo sbocco a tutti i caratteri energici ed intraprendenti dell’Ellade, e che negli Stati-Uniti d’America, dove la colonizzazione di nuove terre ha durato per tutto il secolo decimonono e nuove industrie sono continuamente sorte, gli uomini che dal nulla arrivano alla notorietà ed alla ricchezza sono ancora frequenti, ciò che contribuisce a mantenervi l’illusione che la democrazia sia una realtà.



[Elementi di Scienza politica, 1895]