Titolo: Lo “sport” della carità
Argomento: Brulotti
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L’high people della repubblica yankee, la haute société della vecchia Europa che voglion vivere la vita, che in ogni istante di questa vogliono assaporare l’ebbrezza d’un piacere, sanno bene spendere il loro tempo. Come il lavoro è un bisogno fisiologico, così essi applicano le loro fiacche energie allo “sport”. E amano la verità. D’estate nelle spiagge pittoresche, il canottaggio; nelle montagne aspre e selvagge, l’alpinismo. D’inverno nelle convalli erte, il pattinaggio; negli aristocratici cottage apartment il ricevimento di società; nei salotti caldi e profumati, le sciape conversazioni d’attualità; il flirt, il ballo, e come utile diversivo lo “sport della carità” .

È il Natale, il santo Natale, che porta con sé tante belle e altrettanto dolci cose, il bambino Gesù anzitutto, e con lui nuovi piaceri, nuove gioie alle sontuose magioni dei ricchi, nuovi strazi e nuovi dolori ai nudi tuguri dei senza pane e dei senza tetto, offre alle isteriche madame imbellettate, ai vecchi cresi depravati nell’orgia del piacere, in cerca di emozioni eccitanti, l’occasione propizia per soddisfare la loro libidine morbosa di sportmen fin de siècle, di sportmen della carità.

Il Natale è la festa al redentore dell’umanità dolorante, al biondo Gesù della leggenda, che pel bene di tutti gli uomini, dei poveri anzitutto per cui aveva una speciale predilezione, ascese impavido il calvario. E le cocotte d’alto bordo, i lord della vecchia nobiltà dell’imbastardito sangue bleu, i debosciati rampolli della borghesia agonizzante, buoni cristiani, che rivolgono tutti i loro sforzi a raggiungere la perfezione in Cristo, e rifarsi la verginità perduta nella penombra molle dell’alcova, per coprire con velato pudore le loro infamie senza fine, per assolvere la loro coscienza lurida di colpe senza nome, vogliono che la notte in cui il bambino nel presepio vagisce irrequieto sulla paglia fredda, fra il bue e l’asinello, rechi pace nella stamberga gelida del povero, così come nelle sale dorate dei ricchi.

Consolatevi, vecchi macilenti e paralitici, fanciulli gracili e sparuti tremanti dal freddo e dalla fame: pel Natale, pel santo Natale avrete un tozzo di pan di grano, un bicchiere di vino generoso, e se l’offerta è stata larga, anche un dolce e un balocco. Accettate e ringraziate, o vecchi macilenti e paralitici, o fanciulli gracili e sparuti.

Coloro che tutto l’anno, tutti i giorni dell’anno, tutte le ore del giorno, a voi, ai vostri giovani figli, ai vostri padri vecchi, han rubato il pane e la salute, il giorno del Natale, del santo Natale, si ricordano dei senza fuoco, dei senza rifugio. I prediletti del buon Dio, giusto e misericordioso, hanno pietà di voi, poveri diseredati della grazia divina. E in nome del figliolo del buon Dio fattosi uomo invano per redimerci, commossi e compunti, piegata in segno di devozione la cervice adiposa, mettono una mano al cuore, l’altra alla saccoccia, acciuffano una manata d’oro e la pongono nella borsa dorata pel Natale dei poveri.

Non piangere, orfano infelice, che gironzoli scalzo e scamiciato lungo le vie affollate della metropoli rumorosa, ammaliato dai dolci canditi, dai balocchi costosi scintillanti nelle vetrine dei grandi negozi. Non piangere, non stendere la mano al passante frettoloso! C’è chi, per oggi, stende la mano per te!


La miseria e la carità durante le feste natalizie, sono gli argomenti del giorno. I club di beneficenza, le diverse “croci” di pronto soccorso, d’ogni forma e d’ogni colore, le associazioni filantropiche che infestano ed appestano questa repubblica sgualdrina, sono in piena attività. Balli, recite, discorsi, trattenimenti, per la beneficenza ai poveri si seguono e susseguono. Gioisci o plebe: per te si fa la festa!

Nei magazine, nelle riviste di tutte le risme, è un florilegio d’articoli sulla miseria e sulla carità.

Partono tutti dalla stessa premessa: la necessità perenne della carità. La discussione si aggira poi sul come e sul quando la carità pubblica e privata debbano esplicarsi.

Non ci proponiamo di confutare la premessa assurda. Basterebbe sfatare la vecchia storiella, dei poveri e ricchi esistenti da che mondo è mondo che esisteranno finché il mondo sarà mondo, già tante volte demolita con sode argomentazioni.

Poiché la carità rimarrà sempre necessaria, come bisognerà farla?; si domandano perturbati gli avvelenatori, gli untori dell’umanità lavoratrice, che di tanto in tanto, per passatempo, assumono, buffoni, la posa tragica comica di chirurghi del male sociale.

Siamo in pieno secolo delle riforme, delle modernizzazioni, delle organizzazioni. Anche la carità si modernizza, organizzandosi metodicamente.

La carità al presente che nei canti delle vie nausea ed annoia i passanti con i suoi cenci luridi, col suo piagnisteo lugubre, è fuori moda.

Incomoda chi dà, perché costretto a fermarsi per aprire il suo borsellino, avvilisce talvolta chi riceve, e talvolta fiorisce i “professionisti della mendicità” che sono legione.

Ai balli di beneficenza dove, negli intervalli fra i molli adagi di un valzer voluttuoso e i giri vorticosi di un galoppo, con un bacio fortuito scoccato nell’ombra discreta delle cortine, si trova il tempo di emettere un sospiro di pietà e di soddisfazione all’un tempo, di pietà per chi soffre e geme, di soddisfazione per la santa opera di carità compiuta, ci si tiene poco.

Borbotta il puritano intransigente scandalizzato e, sul giornale locale, protesta energicamente il cittadino cosciente. La massima dei pratici: accoppiare l’utile al divertimento ha fatto il suo tempo.

E giacché la carità bisogna farla, giacché bisogna soddisfare ad ogni costo questo bisogno fortissimamente sentito: ebbene la si fa in altro modo. Chi più ne sa, più ne mette.

Un bel giorno un tale trova che chi vuole assolvere in modo degno ed efficace il suo compito di elemosiniere dell’umanità sofferente, non ha che da comprare i francobolli commemorativi per la beneficenza ai poveri.

E ogni club, ogni “croce”, ogni associazione si affretta a stampare i suoi speciali francobolli e a gettarli nel mercato della... carità. Il Coroner di Pittsburg, Pa. C. Jannissou, che non ha potuto fare a meno di rivelare che nella sola contea di Allegheney, durante gli ultimi tre mesi, erano morti per esaurimento ben 125 bambini, non ha saputo trovar altro rimedio che raccomandare al pubblico, calorosamente s’intende, l’acquisto dei francobolli commemorativi del Natale per la Croce Rossa.

Ma neanche questo è un intervento efficace. E non siamo noi a dirlo.

Anche la carità si modernizza, ripetiamo, anche la carità, come tante altre belle cose di questo mondo, trova i suoi riformatori della carità pubblica e privata che ci farebbero ridere se non ci indignassero, sono per la carità intensiva, la sola efficace e sagace sono le aristocratiche donne isteriche affette da filantropia acuta, che assistono impassibili allo sfruttamento esoso di mille operai negli ergastoli moderni, proprietà dei loro mariti, dei loro padri, per poi sdilinquirsi fino al pianto dinanzi ad uno degli innumerevoli, dolorosi episodi della vita proletaria, le riformatrici dello “sport della carità”.

Non bisogna mostrare alterigia e disprezzo verso il misero, suggeriscono le vecchie megere alle ricche signorine timorate. Bisogna trattare il povero come fratello.

Scrive Odlen nel suo libro La religion basée sur la morale: «Ho conosciuto molti sistemi di riforma, dice un uomo che si sforza più degli altri di togliere dal suo stato la popolazione del quartiere East di Londra – ma dopo undici anni di esperienza, dirò che nessuno attacca il male alle radici, se non mette in relazioni di amicizia colui che riceve. Il commercio personale dei grandi con i piccoli: ecco l’unica soluzione del problema sociale».

Ci farebbero ridere, se non ci indignassero.

Vecchi lupi rapaci ed insaziabili in veste d’agnelli, umili e mansueti, con la loro pietà ostentata, con la lor fingarda filantropia, non hanno altra mira che di soffocare l’odio ruggente dalle stamberghe oscure della plebe immonda, contro i tiranni dell’ozio, i pirati dell’oro. E i lupicini che non hanno ancora indurito il cuore allo sfruttamento odioso, prendono sul serio la loro missione e si travestono da infermieri, così come si mascherano per una partita di base-ball. Per l’élite del gentil sesso, per gli imbecilli e falsi damerini della nuova aristocrazia industriale americana, la carità, così come il law-tennis, ed il foot-ball, non è che uno “sport”.

Quousque tandem?

Dall’immane pelago dove affoga, asfissiato l’immenso uman carcame, noi nuotatori indomiti a chi dalla verde riva del benessere e della felicità, alla miseria insulta, commiserandola, gridiamo forte forte il nostro urlo di disprezzo, d’odio e di vendetta.


[Cronaca Sovversiva, anno XI, n. 3, 18 gennaio 1913]