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È il 1919. È notte. Nell’arco di un paio d’ore, all’incirca fra le 23 e l’una, gli abitanti di sette città degli Stati Uniti – Boston, New York, Paterson, Philadelphia, Pittsburgh, Cleveland e Washington – vengono bruscamente svegliati da un boato. Da un’esplosione. Non si tratta di un incidente, evidentemente, ma di una bomba. Di più bombe, composte ciascuna da quasi dieci chili di dinamite caricata con pezzi di metallo. Non v’è dubbio che la mano dietro a tali attentati sia la stessa, inverosimile pensare ad una coincidenza. Inoltre gli autori hanno lasciato su tutti i luoghi delle esplosioni un certo numero di copie di un volantino, un medesimo volantino, stampato su carta rosa.

Ma chi è stato colpito? E, soprattutto, chi è stato a colpire? Chi ha osato realizzare un attacco su così vasta scala nel territorio degli Stati Uniti? E perché? Cosa c’era scritto in quel foglio?


A Boston ci furono due esplosioni. Poco prima della mezzanotte saltò in aria la casa del giudice Albert F. Hayden, al n.11 di Wayne Street, nel quartiere di Roxbury. La sua dura sentenza contro i manifestanti del primo maggio – sentenziò un ispettore di polizia – aveva «senza dubbio fornito il motivo della bomba». Lasciato sul loggiato, l’ordigno demolì tutto l’edificio, danneggiò cinque abitazioni adiacenti e mandò in frantumi tutte le finestre della strada. Nessun ferito. La famiglia Hayden si trovava nella casa di vacanza di Plymouth, ad eccezione del figlio Malcom, ventenne, che quella sera era uscito. Quando avvenne l’esplosione, era sulla via del ritorno a qualche centinaio di metri di distanza. Tutto ciò che vide era una macchina che si allontanava velocemente.

Due minuti dopo la mezzanotte, una bomba simile esplose contro la casa del deputato Leland W. Powers, a Newtonville, in periferia. Powers, con le sue due figlie e due domestiche, era presente in quel momento. Solo la figlia Polly, di quattro anni, rimase leggermente ferita dall’esplosione. Un frammento di vetro le graffiò la guancia. Leland Powers era figlio di Samuel L. Powers, ex-membro del Congresso ed avvocato di William M. Wood, dirigente della American Woolen Company, nei cui stabilimenti erano in corso degli scioperi. Lo stesso Leland Powers, deputato dello Stato del Massachusetts, aveva introdotto una legge contro la sedizione che prevedeva una condanna fino a tre anni di prigione di chiunque, attraverso la parola o lo scritto, avesse sostenuto o incitato alla violenza contro pubblici ufficiali, contro la proprietà e più in generale contro il governo. Quella legge era entrata in vigore cinque giorni prima l’esplosione, il 28 maggio.

Nemmeno un’ora dopo, alle 00.55, un bomba esplose al 151 East Sixty-First Street di New York, un elegante edificio con mattoni a vista di proprietà del giudice Charles C. Nott. La bomba, piazzata all’ingresso dell’edificio, fece a pezzi il primo e il secondo piano, mandando in frantumi i vetri di tutto l’edificio e quelli dei palazzi circostanti. Il giudice Nott e le sue tre figlie si trovavano nella loro casa estiva in Connecticut, ma sua moglie stava dormendo al secondo piano. Venne scaraventata giù dal letto e rimase a terra diversi minuti, cosa che successe anche all’intera famiglia di domestici. Andò peggio alla guardia di sicurezza William Boehner, settant’anni, che morì dilaniato dall’esplosione.

Immediatamente i funzionari della polizia di New York – messi al corrente degli avvenimenti che stavano scuotendo alcune città della nazione – inviarono i loro uomini a protezione delle abitazioni di altri personaggi noti per il pugno di ferro usato contro i sovversivi. Centinaia di poliziotti furono mobilitati in tutta fretta. Tuttavia la scelta del giudice Nott come bersaglio lasciò sul momento perplessi gli inquirenti, essendo quel magistrato noto per le sue sentenze abbastanza clementi. Solo in seguito venne ricordata una sua dura condanna, risalente a quattro anni prima, inflitta a due anarchici italiani accusati di aver progettato un attentato contro la cattedrale di San Patrick.

Nel frattempo un’altra esplosione si verificava a Paterson, nel New Jersey, oltre il fiume Hudson. L’obiettivo questa volta era Harry Klotz, presidente della Suanhna Silk Company, il quale si era opposto alla settimana lavorativa di quarantaquattro ore per i lavoratori delle manifatture. La bomba scoppiò alle 00.20, danneggiando seriamente l’appartamento sito al piano terreno di una casa dell’Eastside, nella zona più alla moda della città. Anche la famiglia Klotz si trovava in quel momento altrove. I proprietari della casa, che occupavano il piano superiore e che avevano affittato l’appartamento a Klotz, rimasero illesi.

A Philadelphia l’obiettivo fu la Chiesa di Nostra Signora della Vittoria, che saltò in cielo alle 23.15, mentre a Pittsburgh vennero colpite le abitazioni del giudice W.H.S. Thompson e dell’ispettore W.W. Sibray dell’Uffico dell’Immigrazione. Entrambi si erano distinti nella dura repressione dei sovversivi stranieri. Nessuno rimase ferito, ma i danni materiali furono ingenti.

A Cleveland l’ordigno fece saltare il retro della casa del sindaco Harry L. Davis, il quale non solo aveva vietato l’ultima manifestazione per il primo maggio ma l’anno precedente aveva collaborato attivamente all’incriminazione di altri due anarchici italiani. Davis, con la moglie e numerosi amici, si trovava di fronte alla casa al momento dell’esplosione, all’incirca le 23.30. Il figlio di tre anni e una domestica erano invece all’interno dell’edificio, ma nessuno rimase ferito. L’accaduto fece imbufalire il sindaco, che l’indomani diede ordine alla polizia di procedere ad una repressione sfrenata e indiscriminata di tutte le teste calde presenti in città.

Ma l’attentato più sensazionale compiuto quel 2 giugno fu quello che avvenne a Washington contro il Procuratore Generale Alexander Mitchell Palmer. Palmer occupava un edificio di tre piani al 2132 R Street, a Northwest. Il quartiere – abitato da rappresentanti del Congresso, diplomatici e funzionari governativi – era uno dei più esclusivi della capitale. Due porte accanto abitava il senatore Claude A. Swanson, e dalla parte opposta viveva l’ammiraglio Theodore F. Jewell, accanto al ministro norvegese H.H. Bryn ed a Franklin Delano Roosevelt, non ancora presidente degli Stati Uniti ma già vicesegretario della Marina. Palmer e sua moglie sarebbero andati a letto di lì a poco, quando alle 23.15 ci fu un tremendo boato. L’intero edificio tremò, la sua parte anteriore venne distrutta e tutte le finestre andarono in frantumi. L’onda d’urto danneggiò le abitazioni dell’intero isolato. Un deputato del Texas, che stava svoltando in R Street proprio in quel momento, venne investito da una pioggia di detriti. Numerosi abitanti del quartiere, fra cui il figlio del ministro norvegese, furono buttati giù dal letto. Lo stesso Palmer, intento a leggere accanto ad una finestra, venne sommerso dai cocci di vetro. Incredibilmente tutti rimasero illesi. Subito dopo molti vicini, alcuni ancora in pigiama, si precipitarono sul luogo dell’esplosione. Anche Roosevelt, dopo aver telefonato alla polizia, andò in soccorso di Palmer, trovandolo profondamente scosso.

Ma la polizia giunta sul posto fece subito una macabra scoperta. Brani di carne umana erano sparpagliati per tutto il quartiere, scaraventati lontano dalla forza dell’esplosione. E, dato che nessun residente mancava all’appello, non c’erano dubbi: era l’attentatore ad essere saltato in aria mentre stava collocando l’ordigno, letteralmente disintegrato (un pezzo della sua spina dorsale fu rinvenuto all’interno della camera da letto del figlio del ministro norvegese). Identificarne il cadavere era impossibile, impossibile quanto ritrovarne le dita da cui prelevare le impronte. Con l’aiuto dei vigili del fuoco, la polizia setacciò palmo a palmo tutto il quartiere alla ricerca di nuovi elementi: furono rinvenute due pistole, un dizionario italiano-inglese, due cappelli, brandelli di vestiti, una borsa. Oltre, naturalmente, ad una cinquantina di copie del solito volantino color rosa. Fu rinvenuto anche un grosso pezzo dello scalpo del morto, strappato dal cranio ma sufficiente per una analisi attendibile. «Mostratemi i capelli di un uomo ed io vi svelerò la sua nazionalità», promise l’esperto consultato. Il suo parere fu perentorio: l’attentatore doveva essere un italiano di un’età compresa fra i ventisei e i ventotto anni. Un testimone rammentò di aver visto aggirarsi un giovane alto, dalla folta chioma nera come i suoi vestiti.


Non si era mai visto nulla di simile. Bombe che esplodono quasi simultaneamente in diversi Stati della costa nord-orientale contro magistrati, politici, industriali... Per sapere cosa ci fosse dietro quegli avvenimenti, quali ragioni scatenanti, agli inquirenti non rimase che leggere quello strano foglio rosa. Il volantino, delle dimensioni di circa 18x28 centimetri, aveva infatti un titolo ed una firma. Il titolo era Plain Words (Parole Chiare), la firma The Anarchist Fighters (Anarchici Combattenti). Quanto al suo contenuto, eccolo:


I poteri in carica non nascondono la loro volontà di fermare, qui in America, la diffusione mondiale della rivoluzione.

I poteri in carica devono considerare che dovranno subire la lotta che hanno provocato.

Ormai la soluzione della questione sociale non può più essere rimandata; la guerra di classe è in atto e non può cessare se non con la completa vittoria del proletariato internazionale.

La sfida è antica, oh signori “democratici” della repubblica autocratica. Abbiamo sognato la libertà, abbiamo parlato di libertà, abbiamo aspirato ad un mondo migliore, e voi ci avete imprigionati, bastonati, deportati, assassinati ogni volta che avete potuto.

Ora che è terminata la grande guerra, condotta per riempirvi le borse e costruire un piedistallo ai vostri santi, per proteggere i milioni rubati e la fama usurpata non vi resta che indirizzare tutto il potere delle istituzioni assassine, che avete creato a vostra esclusiva difesa, contro le moltitudini lavoratrici insorte per una più umana concezione di vita.

Le prigioni, le segrete che avete edificato per seppellire tutte le voci di protesta, sono ora piene di lavoratori coscienti che languono, e mai soddisfatti ne accrescete ogni giorno il numero.

È storia di ieri che i vostri sicari sparavano assassinando le masse disarmate all’ingrosso; è storia di ogni giorno nel vostro regime; e oggi le prospettive sono anche peggiori.

Non aspettatevi che ci sediamo a pregare e a piangere. Accettiamo la vostra sfida e intendiamo adempiere ai nostri compiti di guerra. Sappiamo che tutto ciò che fate è mirato a difendervi in quanto classe; sappiamo anche che i proletari hanno il medesimo diritto di proteggersi, essendo stata soffocata la loro stampa e messa la museruola sulla loro bocca; è nostra intenzione parlare per loro tramite la voce della dinamite, attraverso la bocca delle pistole.

Non dite che agiamo da codardi perché restiamo nascosti, non dite che è un abominio; è guerra, guerra di classe, e voi per primi l’avete scatenata con la copertura delle potenti istituzioni di ciò che chiamate ordine, nel buio delle vostre leggi, dietro le armi dei vostri schiavi imbecilli.

Non concepite nessuna libertà tranne la vostra; anche il popolo lavoratore ha diritto alla libertà, e i loro diritti, i nostri diritti, ci siamo messi in testa di proteggerli ad ogni costo.

Non siamo molti, forse più di quanto pensate, ma siamo tutti decisi a combattere fino all’ultimo, fin quando un uomo sia sepolto nelle vostre Bastiglie, fin quando un ostaggio della classe lavoratrice resti alla mercé delle torture del vostro sistema poliziesco, e non ci riposeremo mai finché il vostro crollo non sarà completo, e le masse lavoratrici non avranno preso possesso di tutto ciò che giustamente appartiene loro.

Ci sarà spargimento di sangue, non ci tireremo indietro. Ci sarà da uccidere, e uccideremo, perché è necessario. Ci sarà da distruggere, e distruggeremo per liberare il mondo dalle vostre istituzioni tiranniche.

Siamo pronti a fare di tutto, qualsiasi cosa per sopprimere la classe capitalista; proprio come voi state facendo di tutto, qualsiasi cosa per sopprimere la rivoluzione proletaria.

La nostra posizione reciproca è quindi chiara. Ciò che abbiamo realizzato è solo un monito che ci sono amici delle libertà popolari ancora in vita. Ora che siamo entrati nella lotta, avrete l’opportunità di vedere cosa sono capaci di fare gli amanti della libertà.

Non tentate di spacciarci per Tedeschi o agenti pagati dal demonio; sapete bene che siamo uomini con una coscienza di classe fortemente determinati, e non volgari criminali. E non vi illudete che i vostri sbirri e i vostri mastini riusciranno mai a liberare il paese dal virus anarchico che pulsa nelle nostre vene.

Sappiamo come agire nei vostri confronti e sappiamo quel che facciamo. Inoltre, non ci prenderete mai tutti e oggigiorno ci stiamo moltiplicando.

Chi aspetta e si rassegna al proprio destino, è perché il privilegio e i ricchi gli hanno fatto girare la testa.

Viva la rivoluzione sociale!

Abbasso la tirannia!


Il testo presentava diversi errori grammaticali ed una sintassi invero bizzarra per un americano. Le autorità lo fecero esaminare da un’esperta del Dipartimento della Guerra, Isabel Tuska, la quale dalla costruzione delle frasi e dalle assonanze di alcuni errori concluse: il testo «sembra essere stato tradotto dall’italiano o essere stato scritto da qualcuno la cui lingua d’origine è l’italiano». Anarchici italiani, quindi? Come i due condannati dal giudice Nott? Come i due incriminati grazie anche all’aiuto del sindaco Davis? Come l’attentatore dilaniato sui gradini di casa Palmer, il quale aveva in tasca un dizionario italiano-inglese? Anarchici italiani, come quelli sospettati di aver spedito poche settimane prima, in occasione del primo maggio, oltre 30 pacchi esplosivi (di cui solo un paio però giunsero a destinazione) ad altrettanti uomini politici, industriali, banchieri, poliziotti (fra le vittime purtroppo mancate lo stesso Palmer, oltre a squali dell’alta finanza come John Rockfeller e J.P. Morgan jr.)?

Sì, anarchici italiani. Se l’IWW era l’Organizzazione rivoluzionaria più temuta dalle autorità statunitensi, gli anarchici italiani erano considerati i sovversivi più pericolosi. Da anni, non solo portavano avanti una intensa propaganda fra i loro molti connazionali presenti negli Stati Uniti, ma spesso realizzavano attentati contro le istituzioni. Azioni talvolta clamorose, come il tentato avvelenamento di centinaia di ospiti illustri al banchetto in onore del nuovo Arcivescovo di Chicago, avvenuto nel 1916. Da anni le autorità avevano inasprito le leggi sull’immigrazione nell’intento di buttare fuori dal paese in blocco quegli stranieri che soffiavano sulle braci della guerra sociale, senza attardarsi ad accertare prima le loro singole responsabilità specifiche.

Ormai era solo questione di tempo, la macchina della burocrazia si era messa in moto e diversi anarchici italiani non avrebbero avuto scampo: sarebbero stati rimpatriati. Ma, anziché darsi per vinti, reagirono passando al contrattacco. Non solo colpendo chi li braccava e perseguitava, come magistrati e poliziotti, ma rilanciando la lotta contro il capitalismo attaccando banchieri e industriali. E, per la prima volta nella loro storia, essi rivendicarono apertamente la loro azione con Parole Chiare, testo che venne pubblicato il giorno dopo dai giornali statunitensi.

Le autorità non avevano dubbi su chi fossero i responsabili. Erano gli anarchici che gravitavano attorno a Luigi Galleani ed al giornale Cronaca Sovversiva, chiuso per la sua intensa campagna contro la guerra nel luglio del 1918 ed il cui ultimo gerente era stato un certo Carlo Valdinoci. Ricercato dalla polizia perché considerato uno dei più temibili attentatori anarchici presenti negli Stati Uniti, Valdinoci non fu mai trovato. Nel 1919 aveva 24 anni, era alto e dalla folta chioma nera come i suoi vestiti. Scomparve nel nulla, come se fosse stato letteralmente disintegrato (sorte che appena tre mesi dopo toccò ad un altro giovane anarchico italiano, nella galleria Vittorio Emanuele a Milano). Passarono poche settimane ed il 24 giugno 1919 Luigi Galleani e altri anarchici italiani vennero imbarcati sulla nave Duca degli Abruzzi e rimpatriati in Italia.

Il Procuratore Generale Palmer, in preda alla collera, assegnò al giovane John Edgard Hoover il compito di scatenare una vera e propria caccia al sovversivo che nel novembre del 1919 e nel gennaio del 1920 condusse in galera e alla deportazione centinaia e centinaia di teste calde. Ossessionato dagli anarchici italiani, Hoover dedicò loro un trattamento particolare, concentrandosi su alcuni nomi considerati vicini a Cronaca Sovversiva: da Andrea Salsedo, ritenuto lo stampatore di Parole Chiare e che fu scaraventato giù dal quattordicesimo piano degli uffici della polizia di New York il 3 maggio 1920, a Sacco e Vanzetti, i quali vennero arrestati solo due giorni dopo, il 5 maggio 1920.

Atti di guerra di classe che non passarono inosservati e che provocarono la furia che si abbattè su Wall Street il 16 settembre 1920.


[2/6/14]