Carlo Frigerio
Né Dittatura né Democrazia
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La manifestazione di solidarietà internazionale, che doveva aver luogo il 21 luglio per opporsi alla continuazione dell’intervento degli alleati in Russia ed Ungheria, essendo stata sabotata per delle considerazioni opportunistiche dai rappresentanti ufficiali delle organizzazioni francesi ed inglesi, noi abbiamo assistito ad un primo e significativo risultato di questa capitolazione: la caduta del regime sovietista in Ungheria.
Questa prima vittoria ottenuta, i governi alleati, l’Inghilterra specialmente, non han cessato di dare il loro appoggio effettivo alla guerra contro i comunisti russi, e presto noi avremo lo spettacolo della caduta del governo di Lenin.
L’ottimismo sarebbe qui inutile. Ed è meglio abituarsi già fin d’ora all’idea di una eventualità che solo un miracolo potrebbe allontanare, e domandarci sin d’ora quali sono gli insegnamenti che l’esperimento della «dittatura del proletariato» ha potuto suggerirci.
È fuori di dubbio che il principio della dittatura — di qualsiasi dittatura — non corrisponde alle finalità nostre. Teoricamente noi abbiamo sempre affermato la libertà completa dell’individuo e condannato l’istituzione dello Stato e di qualsiasi autorità governativa, come un ostacolo allo sviluppo di quella libertà.
Ma ciò non basta. Di fronte ai fatti concreti che incalzano, alle necessità immediate della lotta contro le forze del passato, alla frequente mancanza d’iniziativa delle masse, la logica critica, i ragionamenti astratti rimangono inoperanti, e s’impone imperioso il bisogno di precisare in forma pratica il nostro criterio della rivoluzione, il nostro programma d’azione.
Dire che la società borghese è condannata a sparire e che ad essa bisogna sostituire un regime, comunista od altro, più atto a dare benessere alle masse e libertà agli individui, è diventato ormai un luogo comune, una verità evidente anche per quelli che si dicono avversari del socialismo e dell’anarchia, ma che le necessità nuove create dalla guerra ed il conseguente sconvolgimento di tutte le nozioni morali e sociali hanno staccato dalle consuetudini dell’ordine stabilito, per lanciarli nell’agone delle ricerche e della lotta sociale.
Più che mai si presenta a noi l’impellente necessità di prepararci moralmente e materialmente ad una propaganda precisa in seno alle masse, in vista di una prossima azione di ricostruzione sociale.
Già i vari partiti politici — il P.S.I. compreso — si apprestano a dare l’inevitabile assalto ai seggi parlamentari, ed il voto esteso anche alle donne, e già applicato in certi paesi, ha per iscopo di dare a questa competizione di aspiranti legislatori un carattere sempre più generale.
Dittatura pseudo-socialista e pseudo-democrazia borghese sono alle prese. In fondo esse si risolvono nella medesima cosa: la supremazia di una minoranza di privilegiati, appoggiati sulla forza brutale sanzionata dalla legge.
In seno a queste correnti che si combattono, ma che hanno in comune il concetto della necessità di uno Stato regolatore di ogni cosa, comunque lo si denomini, non v’è posto per noi. Il dimostrarlo è ovvio.
Il nostro programma non può evidentemente confondersi con nessuno di quelli che si contendono oggi il potere in nome della dittatura proletaria o della democrazia borghese, mediante il terrore o la scheda.
Ma per combattere efficacemente queste due tendenze e far prevalere nelle masse il nostro concetto di società libertaria ed indurle all’azione diretta e veramente rivoluzionaria contro la borghesia, occorre un lavoro formidabile di propaganda e di azione internazionale.
[Il Risveglio, anno XIX, n. 521, 13 settembre 1919]