Delittore Gavia
Nucleare mai più
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Il movimento antagonista è chiamato, sul fronte della lotta contro il nucleare, a fare delle scelte di primaria importanza.
I sostenitori di una opposizione morbida, legata alle proposte di referendum [1987], cercano di portare questa lotta nell’ambito istituzionale, adottando le forme del dissenso democratico-radicale. In senso contrario si pongono gli antagonisti, i quali, molto più coerentemente, indicano nella scelta dell’opposizione dura la strada da praticare e ciò perché ritengono indispensabile che la lotta si incentri sull’attacco diretto contro gli attuali rapporti di dominio, spingendo gli sfruttati alla conflittualità permanente. È proprio su questa conflittualità, sostengono gli antagonisti, che si può rivendicare non solo un’autonomia del movimento degli sfruttati, ma anche il suo libero sviluppo in senso antistituzionale e anticapitalista in tutte le situazioni di lotta nel territorio.
Limitare il problema antinucleare alla chiusura delle centrali elettronucleari in funzione o ad impedire quelle in costruzione, significa non scalfire lo sviluppo della tecnologia dell’atomo. Infatti, la critica antinucleare si è finora per lo più limitata al dettaglio, puntando su argomentazioni superficiali come quelle che riguardano i rischi dell’uso civile dell’atomo dal punto di vista biologico ed ecologico, oppure limitandosi a criticare una scelta del genere da un punto di vista economico perché non produttiva. L’analisi sociale del problema è rimasta in ombra o è stata trattata marginalmente. È su quest’ultima che secondo noi bisogna centrare l’attenzione.
Caduto il mito positivista della neutralità della scienza e della ricerca scientifica, sì è visto chiaro il rapporto con le strutture del dominio. La scelta di un indirizzo di sviluppo anziché di un altro è da collocarsi nell’ambito della dinamica politico-sociale del prodursi e riprodursi dei rapporti dominanti. È partendo da questa constatazione che bisogna analizzare il problema della tecnologia atomica, allo scopo di comprendere le ragioni di fondo di una scelta operata dallo Stato e dal capitale nell’ambito di un ventaglio di scelte diverse che la stessa scienza metteva a disposizione.
Il movimento antagonista, per svilupparsi in una opposizione autonoma e radicale al progetto nucleare, autonoma rispetto a quella dei partiti riformisti, è chiamato a fare i conti con queste ragioni.
Oggi non basta più denunciare il ruolo di fittizia opposizione svolto dalle forze politiche istituzionali (Pci, Psi, Dp), ma occorre estendere la denuncia anche all’opposizione morbida, non direttamente inquadrabile a livello istituzionale (Verdi, leghe ambiente, pacifisti, antimilitaristi religiosi, ecc.), i quali, nelle loro proposte pratiche di lotta non pongono in alcun modo in discussione i rapporti di dominio. Al contrario, l’azione di queste forze risulta funzionale ad una riforma proprio dei rapporti di dominio perché propone una migliore gestione amministrativa attraverso la costituzione di nuovi istituti a livello locale.
L’opposizione fittizia nucleare, proponendo la chiusura delle centrali elettronucleari, tende ad eliminare le contraddizioni più evidenti attraverso la costituzione di fonti alternative di energia. Questa critica del dettaglio copre il problema più reale che resta quello degli interessi di dominio che sono alla base dell’estendersi del progetto nucleare.
I referendum, sotto questo aspetto, appaiono la proposta più evidente di circoscrivere il problema, invece di allargarlo. Chiudere la lotta all’interno del solo obiettivo della chiusura delle centrali, è un modo preciso per salvaguardare lo sviluppo della tecnologia dell’atomo e non certo per porvi definitivamente un serio ostacolo. Una volta liberata dalla contraddizione troppo evidente delle centrali elettronucleari, la ricerca nucleare potrà continuare tranquillamente il suo ruolo e anche potrà assolverne di nuovi. Le industrie produttrici di questa tecnologia di morte potranno, nel silenzio più assoluto, continuare a produrre ed esportare nei paesi in via di sviluppo del terzo mondo. Questo progetto garantirà ai paesi esportatori di tecnologia nucleare un dominio totale sui paesi acquirenti. A loro volta, i regimi di questi paesi soggetti potranno dare corso ad una industrializzazione forzata, con installazione di sistemi di sviluppo centralizzato e autoritario che non potranno non basarsi su di una logica militarista, la quale utilizzerà la stessa disponibilità nucleare come minaccia di ricatto a livello interno sulla popolazione, in vista di scongiurare possibili rivolte sociali.
A loro volta, nei paesi produttori, l’esistenza stessa della tecnologia atomica, sotto il pretesto della sicurezza, comporterà la necessità di un esercito di sorveglianti. Questo esercito, una volta resosi conto della propria importanza e del proprio ruolo, potrebbe usare se stesso come minaccia in funzione di porre un ricatto sulla popolazione, la quale in queste circostanze si troverebbe a correre il rischio di vedersi porre regimi autoritari ben peggiori di quelli attuali.
La paventata distruzione biologica ed ecologica appare, a questo punto, più un effetto che non la causa reale. Questa si deve ricercare proprio nel progetto di controllo di consenso forzato che tale tecnologia rende possibile ai governanti. Infine, tale tecnologia potrà estendere il potere della casta sacerdotale degli scienziati che così non avranno come campo d’azione i laboratori, ma la società stessa, popolazione ignara compresa.
È su queste ragioni che oggi si gioca la partita della totale autoliberazione dell’uomo o del suo totale asservimento. Ogni appello all’umanitarismo e al pacifismo, copre questo punto di partenza.
La proposta della manifestazione nazionale del 24 gennaio [1987], per i contenuti che avanza, riassume le ragioni di sviluppo del movimento antagonista. Le altre ipotesi, come quelle del referendum, sono soltanto dirette a cercare di seppellirlo.
Provocazione n° 1, gennaio 1987