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I comunisti non hanno mai cessato di coprire Savinkov e i suoi amici di ingiurie e sarcasmi. La prefazione dell’edizione russa delle sue memorie è stata scritta da un certo Felix Kon. Caratterizzava i cospiratori del 1905 con questi epiteti: «isterici, schiuma alla bocca, calunniatori, piccoli borghesi senza scrupoli, sognatori decadenti».

È il vocabolario tradizionale delle polemiche comuniste che da sempre hanno avuto un tono singolare, pieno di urla e di astio. Le obiezioni politiche contro le concezioni dei terroristi hanno un peso maggiore. È in effetti sorprendente constatare che i grandi avvenimenti del 1905 in Russia non erano per Savinkov che dei fatti accessori: i disordini di Pietroburgo, la domenica di sangue, le dimostrazioni, l’enorme ondata di scioperi dell’autunno di quell’anno, tutta questa prima rivoluzione russa che è fallita, ma che ha strappato al governo zarista delle concessioni decisive, tutto questo avveniva fuori dal campo visivo del «terrorista individuale». Con una grande perspicacia e con eccellenti argomenti Lenin ha fin dall’inizio attaccato i rivoluzionari sociali, ha criticato le loro tendenze anarchiche e ha messo a nudo le loro ipotesi sociali. Essi non hanno mai compreso il ruolo storico del proletariato. L’analisi di Lenin prova la mancanza di senso politico dei cospiratori, ma non rifiuta la loro azione; come ogni argomentazione meramente politica, essa sfiora la sostanza reale di questi fatti.

I comunisti non hanno mai compreso cosa animava questa indimenticabile falange di giustizieri assassini. Per Vera Sassulitch e Igor Seasonov non si trattava di una linea, di una ricetta politica, di una dottrina sociale. Si trattava della loro salvezza e di quella degli altri; una salvezza che era di questo mondo e che essi potevano raggiungere solo a prezzo della propria vita. Durante il secondo di verità in cui lanciavano la bomba, essi realizzavano la propria salvezza e anticipavano quella degli altri.

A questa salvezza corrisponde la dannazione. Kaliaïev da una parte, Asev dall’altra: essi incarnano le due possibilità ultime, gli estremi disegni esistenziali dei loro momenti storici. Si capisce come il loro esempio sia insopportabile per i comunisti: esso evoca una grandezza ignota, che si sottrae ad ogni calcolo. Nelle maledizioni che Lenin ed i suoi discepoli gettano a profusione sugli assassini degli zar ci sono anche, mescolati agli argomenti razionali, un confuso sentimento dei limiti del loro potere, un moto di paura, la traccia di una segreta inquietudine. L’esempio di Kaliaïev minaccerà sempre un potere basato sulla miseria degli oppressi. Cinquant’anni prima che Kaliaïev salisse sul patibolo, Marx, che vedeva più lontano dei suoi successori, aveva coniato una definizione che rende giustizia a Kaliaïev e a tutti quelli che gli somigliano: chiamò tutti i cospiratori di questo stampo «i sognatori dell’assoluto». Un sognatore di tal fatta, uno sconosciuto in mezzo alla folla, basta a precipitare nel terrore i potenti di questo mondo.



[Die Traumer des Absoluten, 1962-1963]