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Alexandre O’Neill (1924-1986) appartiene a quella generazione di portoghesi che in tutta la loro vita hanno conosciuto solo le dubbie gioie del regime fascista salazarista. Non sopporta di vivere in questo «regno», in questo «tempo sporco» dove la paura è «ordinaria», e dove gli uomini vengono trasformati in «ratti». Avendo rinunciato ai suoi studi alla Scuola Navale per dedicarsi alla letteratura, decide di esprimere la sua rivolta non attraverso l’estetica neo-realista, ma lanciandosi nelle braccia della più sfrenata immaginazione. È uno dei fondatori in Portogallo del movimento surrealista, di cui introduce i valori più sovversivi all’interno di quella asfissiante società. Autore di una poesia al tempo stesso lucida e allucinata, il linguaggio di O’Neill si contraddistingue per il suo sarcasmo, l’irriverenza e l’humour nero.


***


Nei tuoi occhi altamente pericolosi

vigoreggia ancora il più rigoroso amore

la luce di spalle pure e l’ombra

di un’angoscia ormai purificata


No tu non potevi restare attaccata con me

alla ruota su cui imputridisco

imputridiamo

a questa zampa insanguinata che vacilla

quasi medita

e avanza muggendo nel tunnel

di un vecchio dolore


Non potevi restare su questa sedia

dove passo il giorno burocratico

il giorno-dopo-giorno della miseria

che sale agli occhi arriva alle mani

ai sorrisi

all’amore mal sillabato

alla stupidità alla disperazione senza bocca

alla paura sull’attenti

all’allegria sonnambula alla virgola maniaca

del modo funzionario di vivere


Non potevi restare in questo letto con me

in transito mortale fino al giorno sordido

canino

poliziesco

fino al giorno che non nasce dalla promessa

purissima dell’alba

ma dalla miseria di una notte

generata da un giorno uguale


Non potevi restare attaccata con me

al piccolo dolore che ciascuno di noi

si porta dolcemente per mano

questo piccolo dolore alla portoghese

così mansueto quasi vegetale


No

tu non meriti questa città non meriti

questa ruota di nausea in cui giriamo

fino all’idiozia

questa piccola morte

e il suo minuzioso e sporco rituale

questa nostra ragione assurda di essere


No

tu sei della città avventuriera

della città dove l’amore trova le sue strade

e il cimitero ardente

della sua morte

tu sei della città dove vivi per un filo

di puro caso

dove muori o vivi non di asfissia

ma per le mani di un’avventura di un commercio puro

senza la moneta falsa del bene e del male


In questa curva così tenera e lancinante

che sarà che già è la tua scomparsa

ti dico addio

e come un adolescente

inciampo di tenerezza

per te.


[Nel Regno di Danimarca, 1958]