We can, podemos...
È il più grande carcere di massima sicurezza dello Stato di New York: il Clinton Correctional Facility. La sua costruzione risale al 1844, quando la struttura si limitava ad ospitare prigionieri condannati ai lavori forzati nelle miniere locali. Nel 1877 venne trasformato in un vero e proprio carcere ed a quell’anno risale anche la costruzione di mura esterne invalicabili, alte 10 metri. Si trova nel comune di Dannemora ed è definito «la Siberia di New York», per via del suo clima gelido. Ed anche perché, da quell’area isolata, nessuno è mai riuscito a fuggire. Né mafiosi come Lucky Luciano, né rivoluzionari come Carl Paivio o David Gilbert, né poeti come Gregory Corso.
Ma lo scorso 5 giugno è successo qualcosa. «Yes, we can», si devono essere detti Richard Matt e David Sweat, due detenuti che occupavano celle attigue poste al sesto piano della prigione. Dopo aver imbottito i letti con alcuni indumenti per non destare i sospetti delle guardie — a cui hanno lasciato un biglietto giallo di auguri per una buona giornata — sono riusciti a perforare i muri d’acciaio delle loro celle sbucando sulla passerella situata all’esterno. Quindi sono scesi negli scantinati della prigione, dove hanno bucato dei grossi condotti aprendosi un varco attraverso un dedalo di tunnel, fino a sbucare, attraverso la fogna, in una stradina adiacente al carcere. Liberi.
La polizia ha posto una taglia di 50.000 su ciascun evaso e li sta cercando dappertutto. Entrambi erano stati condannati all’ergastolo, uno per aver fatto a pezzi il suo datore di lavoro dopo essere stato licenziato, l’altro per aver abbattuto uno sceriffo sulle sue tracce dopo che aveva svaligiato un’armeria. Gli inquirenti sospettano che siano fuggiti in Canada, o forse in Messico.
E proprio in Messico, in questi stessi giorni, altri individui si devono essere detti «Podemos». In prossimità delle elezioni del 7 giugno, quando 83 milioni di messicani erano chiamati ad eleggere 500 deputati federali, 9 governatori di 32 Stati e 900 consigli municipali, in diversi Stati del paese (Veracruz, Chiapas, Oaxaca, Guerrero, Michoacan...) le sedi dell’Istituto Nazionale Elettorale sono state attaccate da manifestanti i quali hanno rubato migliaia e migliaia di schede elettorali per poi darle alle fiamme. Le forze dell’ordine e dell’esercito, giunte a presidiare gli uffici elettorali, si sono trovate a fronteggiare in più occasioni una folla inferocita che le ha accolte con pietre, bastoni e molotov. Oppressi dai politici, sfruttati dai capitalisti, torturati e uccisi dai narcotrafficanti, i poveri messicani non sono più disposti a chinare la testa.
In questo clima torrido anche gli anarchici sono determinati a «provocare il giugno nero». Alcuni di loro il 1 giugno hanno rivendicato tre attacchi esplosivi avvenuti nella città di Puebla contro il Segretariato all’Economia, l’Istituto Nazionale Elettorale e l’autostazione presso l’Università Tecnologica. Pochi giorni dopo, il 6 giugno, alla vigilia delle consultazioni, nella capitale sono saltati in aria gli uffici del Segretariato dello Sviluppo Agricolo, Territoriale e Urbano. L’azione è stata rivendicata da anarchiche, le quali terminano il loro comunicato con un invito esplicito all’elettore sul minimo e il massimo che si possa fare:
«Non votare. Ammazzali tutti».
[9/6/15]