Miraggi

Il deserto emozionale che stiamo attraversando gioca brutti scherzi. Provoca miraggi, allucinazioni in cui ciò che è pura immaginazione viene percepita come realtà. Ma questo stato morboso non è, al tempo stesso, una forma esasperata di lucidità? Non è proprio il miraggio a spingerci a resistere, ad andare avanti fino ad uscire dal deserto? La narrativa, la poesia, possono istigare ad avvistamenti di terre rigogliose, altrettanti inviti ad evadere dai campi della sopravvivenza.

Tragedie

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Tragedie che dovranno accadere

Ghérasim Luca
Sono libero

così da prestare attenzione alle cose attorno a me
con dita tremanti come pioppi, corte come pallottole

strette con forza sul bianco collo della donna

come gli antichi poeti stringevano nei loro consueti slanci d'amore per la natura

fiori — pecore — prati e stelle

i poeti d'oggi, poeti con dita tremanti come pioppi e corte come pallottole

hanno tutti a casa un collo bianco di donna da strangolare

la chiarezza con cui poi percepiremo le cose attorno a noi è così necessaria

e la loro lingua viola, che stupido spettacolo.

La Macchina si ferma

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La Macchina si ferma

Edward Morgan Forster
 
Pubblicato per la prima volta nel 1909, in largo anticipo sulle celebri opere di Huxley e Orwell, questo lungo racconto è — a detta del suo autore — «una reazione ad uno dei paradisi di H. G. Wells». Lo scrittore inglese Edward Morgan Forster (1879-1970) vi immagina un’umanità costretta a vivere in enormi città sotterranee dopo aver fallito il suo tentativo di soggiogare la natura. Adesso è la Macchina a provvedere a tutti i bisogni degli esseri umani, i quali vivono chiusi all'interno di piccole celle esagonali e trascorrono il loro tempo parlandosi tramite tubi e guardandosi attraverso piastre colorate. Tutto avviene sotto lo stretto controllo della Macchina che, da strumento al servizio dell’essere umano, ne è diventata la dea-padrona a cui rivolgere le proprie preghiere: «La Macchina ci nutre e ci veste e ci dà una casa; grazie a lei possiamo parlarci, grazie a lei possiamo vederci, in lei è custodita la nostra essenza... la Macchina è onnipotente, eterna, benedetta sia la Macchina».

Per ogni crimine che non ho commesso

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Per ogni crimine che non ho commesso

Senna Hoy
 
È stato già detto: i poeti pronti a salire sulle barricate, così come gli insorti dediti alla fantasticheria, si contano sulla punta delle dita. Ma cosa rimane del loro tentativo di unire il sogno all'azione? Un Benjamin Péret viene ricordato più per i suoi versi che per le sue fucilate (troppo effimere?), un Renzo Novatore viene ricordato più per la sua pistola che per la sua penna (troppo sgraziata?). Nonostante il senso della loro vita urli tutt'altro, vengono considerati soltanto un poeta e un bandito. Chissà se proprio per questo motivo quasi nessuno ricorda più Senna Hoy, il «romantico teppista» che fu al tempo stesso precursore dell'espressionismo tedesco e protagonista degli ultimi sussulti della rivoluzione anarchica russa del 1905 — è forse impossibile archiviarlo sotto una singola voce?

Il bacillo pernicioso

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Il bacillo pernicioso

Carlo Michelstaedter
 
Rico. Ora dimmi: sai tu indicarmi la malattia cosa sia? Poiché se son mali bisogna bene che siano qualche cosa.
Nino. Certamente: quali la tisi o la polmonite o il tifo...
Rico. Bene — ma ognuna di queste che cos'è?
Nino. Dicono che siano bacilli...
Rico. Ma questi bacilli come sono essi dei mali, che cos'è il loro esser mali?
Nino. Perché sono perniciosi all'uomo.
Rico. Allora sono mali quando l'uomo li ha addosso?
Nino. Certo.
Rico. Ma quando non sono addosso all'uomo non sono né mali né beni.
Nino. Di necessità.
Rico. Allora nuovamente abbiamo bensì uomini ammalati, ma non abbiamo il Male.

Non è mica la fine del mondo, no?

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Non è mica la fine del mondo, no?

Autore britannico noto per mescolare fantascienza e questioni sociali, John Brunner (1934-1995) pubblicò nel 1972 quello che è forse il suo romanzo migliore: Il gregge alza la testa. Lo sfruttamento delle risorse naturali del pianeta ha spinto l'umanità sull'orlo del baratro dell'autodistruzione, tra epidemie diffuse dai prodotti di un'industria che si vanta di far avanzare il progresso, misteriose diffusioni di parassiti nocivi, ed un'atmosfera con livelli di inquinamento così elevati da sviluppare allergie e malattie praticamente in tutti gli abitanti (il Mediterraneo è diventato una fogna, il sud-est asiatico un deserto chimico, l'Africa un'enorme discarica...). Se in basso molti fanno disperati tentativi per evitare o impedire il disastro (attraverso la creazione di comunità o l'attuazione di sabotaggi), se in alto pochi continuano la loro corsa sfrenata verso il profitto ed il potere, la maggior parte della popolazione cerca semplicemente di sopravvivere in situazioni sempre più intollerabili. Condividendo tutti lo stesso pianeta, sfruttati e sfruttatori condivideranno anche lo stesso destino — è inutile che il gregge alzi la testa, quando si trova invischiato in una spirale senza ritorno. A meno di non mettere in atto ciò che, con notevole provocazione, Brunner propone al termine del romanzo: eliminare i 200 milioni di esseri umani più nocivi del pianeta.
 

Scaldate i motori!

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Scaldate i motori!

Aimé Césaire  
 
IL GRAN PROMOTORE 
 
Orsù!  basta frottole. È arrivato il momento di convocare quei signori. 
Orsù! Ammiraglio… Comandante di Truppe… Alto Commissario… Perito… Geometra… Giudice… Gran Cappellano… Super Carceriere… dimenticavo… Banchiere.
(Si odono, risuonando alla rinfusa, risposte diverse: «presente», «eccoci»… «d’accordo»…)
 
Alla buonora! ci sono tutti.
Ora potremo lavorare.
(Sposta in avanti la lancetta di un quadrante)
Scaldate i motori!

Chi sono io?

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Chi sono io?

Julio Camba
 
«Sa chi sono io?» mi dice un signore ponendosi in piena luce dinanzi a me.
Davvero io non so chi sia questo signore, ma mi guardo bene dal dirglielo, perché temo di rattristarlo.
«Ne ho un'idea — gli rispondo — la sua faccia non mi è sconosciuta»
«Mi osservi bene…»
Lo guardo bene.
«Non ha mai visto una faccia simile alla mia?»

Il programma in qualche secolo

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Il programma in qualche secolo

Armand Robin
 
Si sopprimerà la Fede
In nome della Luce,
Poi si sopprimerà la luce.
 
Si sopprimerà l'Anima
In nome della Ragione,
Poi si sopprimerà la ragione.
 
Si sopprimerà la Carità
In nome della Giustizia,
Poi si sopprimerà la giustizia.
 

La gabbia

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La gabbia

Lucien Descaves
 
Quando nella città dove nacque e visse tutta la vita, Parigi, deflagrò la Comune, Lucien Descaves (1861-1949) aveva solo dieci anni. Quelle settimane in cui con occhi di bambino vide scomparire il vecchio mondo lo segnarono per sempre. Non solo ne divenne un esperto riconosciuto, oltre che esecutore testamentario di Gustave Lafrançais, ma in tutta la sua opera letteraria si respira quel medesimo vento di rivolta. 
Il suo romanzo più celebre è Les Sous-offs, il cui contenuto ferocemente antimilitarista gli valse un processo in corte d'Assise.
Di Lucien Descaves – amico di Zo d'Axa, di Séverin, di Jean Grave, nonché collaboratore di Georges Darien – presentiamo un estratto di un suo atto teatrale (nella traduzione di Giuseppe Ciancabilla).

Col coltello fra i denti

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Col coltello fra i denti

António José Forte
 
Lo spettacolo d’orrore più bello siamo noi. Questa faccia con cui amiamo, con cui moriamo, non è la nostra; né queste cicatrici sempre fresche al mattino; e nemmeno queste parole che invecchiano nel breve volgere di un giorno. La notte accoglie le nostre mani come fossero delle intruse, come se il suo regno non fosse il loro, non fosse una loro invenzione. Solo a fatica, pericolosamente, i nostri sogni abbandonano la propria pelle per mostrarsi alla luce diurna e implacabile. La nostra miseria vive fra le quattro mura sempre più anguste della nostra disperazione. E questa miseria, realmente nostra, non riesce in alcun modo ad abbattere quelle mura. Così viviamo murati, senza possibilità di comunicare, limitati nell’odio e nell’amore. E cerchiamo l’uscita — la vera, la sola — e sbattiamo la testa contro il muro. A questo gioco, c’è chi vince la rabbia e chi perde l’amore.

Appunti a matita

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Appunti a matita

Isabelle Eberhardt
 
È stata definita «la buona nomade», la «Louise Michel del Sahara», l’«amazzone delle sabbie», la «Rivelazione del Sahara», c’è chi è arrivato a suggerire che fosse la figlia segreta di Arthur Rimbaud. Inclassificabile ed irregolare Isabelle Eberhardt (1877-1904), scandalosa per gli uni, affascinante per altri, la sua vita è avvolta in un mistero propizio al sogno. Figlia illegittima di una nobile russa e di un anarchico armeno, nata e cresciuta a Ginevra ma ben presto appassionata abitante del deserto nord-africano, donna europea travestita da uomo algerino, convertita all’Islam ma dedita al vizio, sospettata al tempo stesso di essere una traditrice della razza bianca ed una provocatrice al servizio dei colonialisti, nel 1901 sopravvisse ad un attentato ma morì tre anni dopo, a soli 27 anni, nel modo più incredibile e paradossale: annegata nel deserto! I testi che ha lasciato, soprattutto racconti, sono stati quasi tutti pubblicati postumi (non senza passare prima attraverso il setaccio di una morale poco tollerante nei confronti dei refrattari di ogni regola e ideologia).

Il Desiderio Libertario

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Il Desiderio Libertario

Il surrealismo arabo a Parigi, 1973-1975

 

Il 25 dicembre 1973 vede la luce il primo numero di Le Désir Libertaire, «rivista del surrealismo proibita nei paesi arabi». Ad animarla sono Abdul Kader El Janabi e un pugno di altri profughi arabi i quali, ritrovatisi a Parigi all'inizio degli anni 70, decidono di «mettere senza riserve i piedi del surrealismo nel piatto di tutti gli integralismi religiosi, sociali ed estetici». Davanti alla prime traduzioni nella lingua di Maometto dei testi di Breton, Artaud e Péret, quasi tutti i media arabi li accuseranno di essere sionisti o agenti della CIA.
Nella primavera del 1975, il surrealista statunitense Franklin Rosemont chiede ai surrealisti arabi un testo di presentazione della loro rivista (di cui escono cinque numeri e vari supplementi e volantini fra il 1973 e il 1975, a cui seguirà una seconda serie dal 1980 in poi). Il testo, conosciuto come Manifesto del movimento surrealista arabo, è composto a partire da un editoriale apparso su tale rivista, il cui ambizioso programma è — mescolando poesia surrealista, teorie situazioniste e la critica della Scuola di Francoforte — la distruzione della patria araba e la fine dell'era islamica.

Gli incendiari

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Gli incendiari

Eugène Vermersch
 
Arrivato a Parigi verso il 1863 per studiare medicina, Eugène Vermersch (1845-1878) preferisce dedicarsi ad una vita bohémienne. Diventa giornalista e poeta, legandosi d'amicizia prima con Verlaine e successivamente con Rimbaud. Collabora a vari giornali, fra cui Le Cri du Peuple di Jules Vallès. Nel marzo 1871, assieme a Veuillaume ed Humbert, fonda Le Père Duchesne (dopo Le Cri du Peuple, il giornale più letto durante la Comune di Parigi). Nel corso del suo esilio a Londra pubblica nel novembre 1871 il poema Les Incendiaires – «un capolavoro, grande poema di un comunardo», secondo Bernard Noël; «il più bel poema mai scritto sulla Comune», secondo Tristan Rémy. Poi, la miseria materiale e le feroci polemiche che caratterizzano gli ambienti dell'esilio lo conducono alla disperazione, alla malattia, alla morte.
Blanquista assai poco rispettoso dei capi del blanquismo, Vermersch al suo arrivo a Londra aderisce alla sezione federalista francese dell'Internazionale (quella libertaria). Dopo la fine della Comune, da Les Incendiaires fino alla morte, Vermersch si scaglierà ripetutamente contro il peggior errore dei rivoluzionari: la voglia di conciliazione, di ottenere una «fraternità impossibile» con i propri nemici attraverso una «misericordia stupida».

Quando brucerà l'ultimo pezzo di carta

Miraggi

Quando brucerà l'ultimo pezzo di carta

Apio Ludd
 
Cosa farò
quando non ci sarà più carta?
Scriverò con il dito
sull’aria?
Lo lascerò volar via
nel vento?
Come il sortilegio di qualche stregone
inviato
ad incamminarsi
attraverso i mondi
nella sua
strana e dissoluta danza?

Bernard Vital

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Bernard Vital

Georges Eekhoud
 
Come Jean Genet, nato orfano e cresciuto in una famiglia benestante, nutrì per tutta la vita un odio viscerale verso la società borghese che, fra le altre sue nefandezze, reprimeva anche la libertà in amore. Ma lo scrittore fiammingo Georges Eekhoud (1854-1927) non fu solo l’autore di uno dei primi romanzi esplicitamente omosessuali della storia della letteratura (quell’Escal-Vigor che lo fece finire alla sbarra del tribunale nel 1900, pochi anni dopo la condanna di Oscar Wilde), era anche antipatriottico, antimilitarista, anticapitalista e legato al movimento anarchico. L’intera sua opera è un canto al mondo dei marginali e dei paria, dei banditi e degli eretici, dei perversi e degli empi — a chi è condannato al patibolo dalla legge del Partito dell’Ordine. Il racconto che segue è tratto dalla seconda parte del suo Cycle Patibulaire, pubblicata nel 1895, nel fosco fin del secolo morente…

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