Brulotti

Dal simile allo stesso

Grandizo Munis
 
La saggezza popolare contenuta nella beffarda affermazione qui scelta come titolo dovrebbe bastare per definire la sanguinosa contesa israelo-palestinese. Tuttavia, coi tempi che corrono una simile saggezza parrebbe una scienza ermetica, non esattamente per persone di poca cultura, ma per lo spirito di sapienti e persone acculturate, per tutta la genìa di partiti, sindacati e intellettuali di sinistra. Il degrado delle idee politiche e sociali è arrivato al punto che i termini e i concetti significano quasi sempre il contrario del loro contenuto reale. Il caso della “rivoluzione” palestinese è solo il più recente di una lunga lista di esche destinate a reclutare carne da cannone quando si tratta di una lotta armata o piuttosto di una massa pecorile al suo servizio.
Anche in questo caso, la preparazione del grande sterminio umano, preparato senza equivoci possibili dalle grande potenze, è implicito.
Una breve annotazione: dalla fine dell’ultima guerra mondiale — senza andare oltre — abbiamo assistito a quanto è successo in Cina, nel Vietnam e nel resto della penisola indocinese, a Cuba, in Algeria, in Angola, in Bangladesh, nello Yemen, in Etiopia e in altri Nicaragua di minor importanza. Invariabilmente le grida di questi “sinistri” sono state: «indipendenza nazionale», «rivoluzione» e anche «liberazione»; il cibo abituale è stato «abbasso l’imperialismo!». Installatisi i nuovi regimi, la realtà è stata diametralmente opposta. Non c’è stata rivoluzione, né liberazione, e l’indipendenza nazionale non è stata che dipendenza nei confronti dell’altro impero e talvolta perfino un ritorno sfrontato o dissimulato al primo. All’interno di ciascuno di questi paesi lo sfruttamento e il dispotismo sono aumentati, costituendo lo strumento per rafforzare i poteri risultanti dalla riorganizzazione del capitalismo nella sua forma parziale o completa. Cosicché la folla di esaltati che diede una mano a issarli in cima allo Stato è colpevole di complicità. Folla complice dei loro incontestabili crimini sanguinosi, risultato del loro crimine principale, la loro natura reazionaria sia sul piano economico che su quello politico.
Questi stessi esaltati si pavoneggiano col loro sinistrismo e la loro generosità, ripetendo quegli slogan, vale a dire il loro inganno che è soltanto ideologia in favore di un futuro Stato palestinese. Come se l’inganno non fosse evidente, i suoi autori si mostrano in compagnia di tutta la vecchia canea reazionaria mondiale, israeliani a parte. Dai dirigenti russi fino agli schiavisti dell’Arabia Saudita, dai neonazisti fino ai leader statunitensi, l’azione mondiale è in favore della Palestina. Una simile situazione ha potuto prodursi grazie alla condizione di un mondo impantanato e ai giacimenti di petrolio del mondo arabo.
Da parecchi decenni, ogni progresso o sviluppo della società si rivela impossibile attraverso la via nazionale. Che i promotori dell’indipendenza invochino Allah accovacciati, Geova battendo la testa contro il muro del pianto, la versione cristiana oppure Marx e la rivoluzione atea, non cambia nulla. E i risultati, in caso di vittoria e indipendentemente dalla buona fede di chi fa da carne da cannone, sono contrari all’emancipazione della grande massa dei poveri. Anzi, l’esistenza di tali lotte presuppone l’inattività degli sfruttati, l’eliminazione della loro azione diretta a favore dei loro sfruttatori. Ed ecco perché «dal simile allo stesso», al singolare o al plurale, è diventato il primo motto dell’alfabeto rivoluzionario. Colui che non prova un profondo disprezzo — oggi fino alla nausea — per tutti questi protagonisti e difensori dello pseudo-indipendentismo, cade, intenzionalmente o meno, nel campo nemico.
Bisogna dirlo senza equivoci e a pieni polmoni: i palestinesi non hanno il diritto di costituirsi in nazione, di possedere un territorio e uno Stato. Il diritto capitalista finirà per concederglielo, perfino col consenso di Israele. Ma è proprio il diritto che bisogna abolire per poter parlare senza inganno di rivoluzione. La prova irrefutabile di quanto detto viene proprio da Israele, il popolo perseguitato per eccellenza, quello dell’olocausto nazista, il popolo «senza distinzioni di classe», immagine del povero ebreo errante colpito dal dominio religioso del cristianesimo. Appena costituito in entità nazionale, organizza uno stato semiteocratico, ultra attrezzato militarmente, dipendente da una grande potenza, e incapace (per esclusivismo nazionale e ristrettezza mentale) di offrire ai suoi coabitanti palestinesi una situazione migliore rispetto a quella che esisteva prima dell’istituzione dello Stato israeliano. 
Ciò sarebbe stato facile senza nemmeno rompere con la propria ristrettezza ebraico-capitalista. Allora sarebbe apparsa chiaramente la possibilità immediata — espressione di una necessità sociale — di una lotta a-nazionale comune fra israeliani e palestinesi contro i loro sfruttatori, rappresentati simbolicamente dal giudaismo e dall’islamismo. Evitare che la necessità sociale si trasformi in possibilità pratica, ecco di cosa si tratterà sempre e in ogni caso per tutti gli urlatori interessati: governi, partiti e sindacati, uniti o divisi.
Va da sé, dopo quanto detto, che nemmeno gli ebrei hanno il diritto di vivere dove vogliono e soprattutto là dove i loro antenati vivevano prima della diaspora; così come i palestinesi arrivati in seguito sullo stesso territorio. 
Creare una Nazione è innanzitutto organizzare lo sfruttamento entro frontiere stabilite e darsi la possibilità di sfruttare al di fuori delle stesse. Quale che sia la ragione che si adduce dal punto di vista nazionale, le conseguenze che ne derivano sono reazionarie. 
La sola soluzione immaginabile è quella che sopprime le patrie. In mancanza di rivoluzione, l’inganno sociale è permanente, gli eccidi non smetteranno, se non per capitolazione di una delle parti. Al di là del grado di repulsione, la banda delle vittime è altrettanto responsabile con la sua politica reazionaria della banda dei carnefici. Ciò prova fino a qual punto la logica del «dal simile allo stesso» influenzi l’andamento del mondo. 
Sostenere tale prospettiva, direttamente o indirettamente, praticamente o verbalmente, significa tradire qualsiasi sogno di libertà.
 
[Machete, n. 4, luglio 2009]