Miraggi

Protesta contro le machine che corrono e che volano

Gian Pietro Lucini
 
 
Non amo correre;
chi corre non sente, né pensa:
chi corre si dispensa,
nucleo vertiginoso, dentro un alone di polvere;
vi soffoca e si accieca.
 
Amo il passo sonoro dell'uomo
che scande sul cammino
la propria coscienza sicura:
ed amo il progredire giusto, senza paura,
senza jattanza, senza precipitazione.
 
Fornir la sua giornata
quando precipita il sole
nel rogo aerato delle nuvole ardenti,
terminare la vita coll'ultima parola
sopra il pensiero estremo,
che manca, si adagia, riposa
nell'ombre del silenzio,
determinato e sereno.
 
Amo sapere dove pongo il piede:
amo far mio, dalli occhi, nella mente
il paesaggio che mi comprende:
scoprir i nuovi colori e novissime note:
chinarmi sulle siepi per odorarne i fiori:
pungermi al biancospino,
oh, lentamente, ho, lietamente,
odorar similmente la gioja e il dolore.
 
Odio le Machine di frenesia:
le uso, le comando, le opprimo
di me con disprezzo, cavalle d'acciajo,
strumenti imperfetti, perché corre il Mondo
ed io lo voglio sopravanzare.
Ma ruggenti, stridenti, rombando.
Automobile, Aeroplano,
il mio Pensiero è più rapido
v'irrita, vi sfida, vi ha vinto
rosso e d'oro, condore sovrano.
Su, in gara, avvicinatelo!
Vertigine! vi divorate col divorare la via.
Su, per le Stelle a conquista,
su per il mare di luce,
che vi abbaglia e discioglie
eterno e sempre uguale!
Su Machine, a travolger l'Infinito,
che si allarga da voi in ampii elissi:
su, per gli Astri alli eclissi del Sole!
Il mio Pensiero v'impone
fossato e bastione:
là, dove giunse attento e solitario pedone,
là, non irrompono Machine.
 
Quale superbia, quale delirio,
rivolgersi nel vento del vento più veloci:
scansare l'ostacolo, abbatterlo,
infrangerlo ed oltre fuggire
sui frantumi ed il sangue,
vittime palpitanti in olocausto,
rotaie rosse di vita segnare nella polvere!
Quali illusioni sfolgorar di tra i tuoni
officinali ed addomesticati
bestie colli occhi di vetro e di fiamma,
l'anima imprigionata in una ruota
di bronzo e d'ottone al timone.
Ma l'uomo che tu porti non rimuta:
né peggior, né migliore,
carreggia nelle lande, convola sulle nubi
la sua povera gioja, l'infimo suo dolore.
 
E che? Rinnovi tu il Mondo?
Migliorate costume e ragione
cotidiane ecatombi
di giovani Eroi sitibondi
d'alto, di spazio, di luce
e d'orgogliosa profondità?
Fresca parola sommessa
su tumulo di popolo incorona
una nuova e redente Umanità:
incruenta proclama la guerra,
laureata protende la pace,
musicale dichiara vittoria
col peana la gloria
affranca la promessa colla rivoluzione,
dischiude l'alba candida della fraternità,
amministra col sogno il bisogno della felicità.
 
Amo saper l'istoria del Mondo
e conversar con le Cose,
accompagnarmi, con loro, in viaggio:
la pianta, la rama, la frasca, la foglia,
il ciottolo, il greppo selvaggio che impende,
il fumo del comignolo a mezzo la costa,
il campàno nel prato,
la sonagliera ch'ansima per l'erta,
l'eco di una campana in agonia,
il ciuffo d'erba magra e polverosa,
la sassifraga gialla e solatia,
il licheno e la muffa sui muri sgretolati,
l'orma di chi passò innanzi a me
per sua varia ventura di passione:
il mondo, tutto il mondo,
senza distinzione, va sussurrandomi i suoi perché.
 
Un anello prezioso perduto,
una lagrima invano versata,
un saluto scordato che attende risposta,
un bacio lasciato cader nella polvere
smarrito dalle labbra e dal cuore,
il vagir di chi nasce, il grido di chi muore:
tutto il mondo confida sé stesso
al ritmo del mio passo:
risuscitan fantasimi rimorsi,
piaceri, maledizioni,
ironie e canzoni.
Velocità che abolisce li istanti,
volante demenza che oppone al respiro!
 
Tele sbiadite, imbrumate, e fuggenti, città, campagna, ville
planimetria schizzata a volo d'aquila
la faccia della Patria si esprime:
il battito è frequente, brividi dell'altezza,
ghiaccio a serper le vene,
l'aquila squilla alle orecchie
i trilli nevrastenici della rarefazione;
ombra, la Vita, ombra diserta e sola!
e l'omiciattolo grave, col suo povero giubilo,
col suo triste patema, allo sbaraglio vola!
 
Machina, su,
Machina, urrah!
va, col cuore di fiamma,
va, col metallo delle vene fumighe,
gonfie di sibili e di vapori!
Va, colle leve ed i volanti,
le calamite turgide ed amanti!
Va, coll'elica in refolo al vortice,
trifida e vorticata mannaja d'acciajo,
a fender l'aria, a inebriarsi di raggi!
Rulla ed abacina il mozzo alle ruote,
all'asse fervido, rese invisibili:
corre, precipita, soffia, già non è più!
Tendi alla brezza ed alla procella
vele di gabbia, ali d'aironi:
le scotte fischiano, vibra la carne dell'uomo e l'ordigno;
fili di ferro, vimini, stocchi,
verghe, code retrattili, guide;
zirla, dimenati, romba, vagella,
allargati in cielo smentisci ed annulla
il Paraclito argenteo e fattucchiero;
trapassa montagne,
schermisci i confini,
semina dinamite dalla navicella,
anarchico, anomalo Aeroplano;
sparviero Aerostato artiglia
sulla cima del mondo la tua volontà.
 
Anabasi grigia il ritorno stanco e sconsolato;
tristezza calar dalle nuvole
per ritornar colli Uomini!
 
Calmo vi beffa, sedentario, il Pensiero;
ha già saputo quanto voi scopriste;
lasciò estuare l'Imaginazione
dalla prolifica matrice aperta;
vi partorì abnorme creazione.
Ha pur sorpassate le angoscie,
tutte le prove e tutti i dubii.
Che vuoi tu in faccia a lui
piccolo Mostro metallico?
Egli ti ha fatto imperfetto dal nulla!
Ma il Pensiero che ti ebbe nascente
oh, perfettissimo e geniale,
imperatore non mai soggiogato!
 
- Machina, soffri? - No!
Inettissimo vivere, chi non soffre non vive.
- Comunicando del Mondo li Uomini,
torna ad intinger la bocca siziente,
avida e fortunata, alla secreta
polla dell'acqua frigida e rupestre.
Nomade eterno e pedestre
- e se ne india - il Poeta,
Egli è foriero e non si oblia;
la sua santa menzogna riveste
dell'eterna armonia,
rivendicato dall'Immortalità.
 
 
[La Ragione, 27 agosto 1910]