Intempestivi

Qualunquisti e consenso

Qualunquisti, ecco quel che siamo noi astensionisti. Qualsiasi politico, qualsiasi livrea indossi, ve lo potrà testimoniare. Il rifiuto della politica, il non-voto, è a suo dire sinonimo di indifferenza nei confronti delle questioni sociali. Che assurdità! Già il pulpito da cui parte una simile accusa non è dei migliori, appartenendo a chi ha dimostrato di avere a cuore solo la propria carriera politica. Non sono gli elettori a varare leggi ad personam, non sono loro ad aver lasciato accumulare tonnellate di spazzatura nelle strade di Napoli. Ma poi, a ben riflettere, è vero l’esatto contrario. Il qualunquismo è quello di chi affida le decisioni riguardanti la sua vita a qualcun altro, ad un estraneo, sapendo in anticipo che questi tradirà la sua fiducia. Il qualunquismo è la delega della propria volontà e della propria capacità decisionale. Il qualunquismo è questa stolta passività che porta ogni tot anni l’elettore a mettere una croce sopra le proprie aspirazioni, abdicando alla possibilità di metterle in atto in maniera autonoma. A cosa serve un delegato, un rappresentante, se non a permettere all’elettore di non occuparsi in prima persona delle questioni sociali? Elettore, sei tu il qualunquista.
L’indifferenza degli astensionisti, degli astensionisti consapevoli per lo meno, è indirizzata esclusivamente a quanto accade in alto, ai piccoli e grandi giochi di potere che travagliano la vita del Palazzo. L’astensionismo esprime una «indifferenza creatrice», un «nulla creatore» del tutto salutari: la tabula rasa di ciò che è che apre la porta a ciò che potrebbe essere.
 
Che si pensi possibile un cambiamento sociale da attuarsi con la non-violenza, mediante una Riforma, o con la violenza, mediante una Rivoluzione, resta il fatto che il primo passo da compiere per chi vuole farla finita con questo mondo è di corrodere il consenso su cui si fonda l’attuale ordine sociale. Un consenso costruito quotidianamente, nei mille luoghi della riproduzione sociale, senza che neanche ce ne accorgiamo, attraverso un comportamento abitudinario. Giorno dopo giorno veniamo allevati ad essere obbedienti, addestrati ad essere rispettosi, istruiti ad essere sottomessi. Questo consenso dev’essere alimentato di continuo perché è friabile e si sbriciola con facilità. Basta osservare cosa accade nelle mille lotte che nascono per contrastare i soprusi compiuti da chi detiene il potere, allorquando onesti cittadini si trasformano in arrabbiati ribelli nello spazio di un respiro. È però innegabile che esiste un momento particolare, in cui il consenso viene convocato a manifestarsi pubblicamente in pompa magna: le elezioni. Appuntamento simbolico, è vero, ma quanto significativo! Quale più dolce spettacolo per chi ci governa che vedere file ordinate di elettori giunti a deporre il loro obolo nelle apposite urne? E quanto desolante sarebbe per costoro assistere alla diserzione di massa dal ruolo che ci hanno assegnato, quello del cittadino sfinito ma rassegnato a compiere il proprio inesistente dovere. Un piccolo gesto di libertà che spalancherebbe la porta a molti altri.
 
«Siate dunque decisi a non servire mai più e sarete liberi… [il tiranno] basta che non lo sosteniate più e lo vedrete crollare a terra per il peso e andare in frantumi come un colosso a cui sia stato tolto il basamento»
Etienne De La Boétie
 
 
[chesenevadanotutti, febbraio 2008]