Intempestivi

Reddito di sudditanza

«Bisogna che in uno Stato che non vuole convivere con quel gravissimo male che sarebbe più giusto chiamare "divisione" piuttosto che "sedizione", non vi sia né una molesta condizione di povertà presso alcuni suoi cittadini e neppure la ricchezza, perché l'una e l'altra condizione determinano rispettivamente questi due mali: ora dunque il legislatore deve definire il limite di questi due mali».
Platone
 
Si vocifera che una delle ragioni che hanno spinto milioni di italiani a votare per la creatura politica di un ricco uomo di spettacolo dalla battuta facile (no, non quello di Arcore, quello di Genova) sia stata la sua proposta di garantire un reddito minimo anche per chi non ha lavoro. In un'epoca di licenziamenti di massa, di fallimenti e bancarotte, di disperazione umana disposta a gesti estremi, una simile proposta non poteva che fare breccia nel cuore di tanti elettori. Lo Stato deve prendersi cura dei suoi cittadini, assicurando loro il minimo indispensabile per non farli crepare di fame. Nelle parole del programma a cinque stelle ciò si traduce con la promessa di un «sussidio di disoccupazione garantito».
Reddito minimo per tutti, quindi. Ma... non era uno dei cavalli di battaglia dell'estrema sinistra italiana, soprattutto nella sua versione scroto-negriana? Sì, lo è. E infatti il trionfo elettorale di Grillo non è stato molto gradito da coloro che si battono da decenni per convincere lo Stato a pagare i propri sudditi. Non si capacitano di come la «moltitudine» possa prestare orecchio ad un istrione che manda affanculo ed insulta a destra e manca, invece di e-leggere degli intellettuali che disquisiscono sulla «biopolitica» o sul «general intellect». Ci sono rimasti male nel vedersi scavalcati ("Ma come, noi lo teorizziamo peritamente da lustri e nessuno ci fila, lui lo urla sbracatamente e vince al primo colpo le elezioni? E senza nemmeno citarci, accreditarci, ringraziarci per l'imbeccata!") ed ora invitano a «stanarlo» sul reddito di cittadinanza. Fra questi c'è addirittura chi ha accusato Grillo di usare idee sovversive al fine di preservare l'esistente. Ma non è vero, non è un recuperatore; semmai, un restauratore.
Pare sia stato l'inglese Thomas Paine il primo a formulare una proposta esplicita e dettagliata di un reddito senza contropartita di attività. In un testo apparso nel 1797 – La giustizia agraria. Contro la legge agraria e il monopolio agrario – Paine proponeva «un fondo nazionale con cui pagare ad ogni persona, al compimento dei ventun anni, la somma di quindici sterline, come parziale compenso per la perdita della sua eredità naturale a causa dell’introduzione del sistema della proprietà fondiaria; inoltre, pagare vita natural durante ad ogni persona dell’età di cinquanta anni la somma di dieci sterline l’anno, ed altrettanto a tutti gli altri al compimento della stessa età». L'idea trainante del testo è anche quella della Rivoluzione francese – l'esistenza di un «diritto naturale». Si basa su un ragionamento dall'effetto dirompente: è inammissibile che un individuo nato in una società che si pretende civile viva meno bene di un semplice selvaggio, giacché «la miseria, quindi, è un prodotto di ciò che si chiama vita civile. Essa non esiste nello stato di natura». Non manca in Paine una analisi di classe: «La proprietà personale è effetto della società; e per un individuo è altrettanto impossibile acquisire delle proprietà personali senza l’aiuto della società, quanto gli è impossibile creare della terra... se esaminiamo minuziosamente il problema, scopriamo che, in molti casi, l'accumulazione della proprietà personale consegue dall’aver pagato troppo poco il lavoro che l'ha prodotta. A causa di ciò la manodopera, giunta ad età avanzata, si trova in miseria, mentre il datore di lavoro vive nell’opulenza».
Ma, per quanto Paine affermi che «Lo stato attuale della civiltà è odioso quanto ingiusto. Esso è tutto l’opposto di quel che dovrebbe essere, ed è necessario che vi si effettui una rivoluzione», egli non si presenta affatto come un nemico dell'ordine, della proprietà e del lavoro. Al contrario, è quel genere di filantropo che suggerisce ai padroni del momento di correggere con le leggi il vizio esistente nella Costituzione, al fine di assicurare la felicità comune. Parlando della necessaria riforma costituzionale come di una «rivoluzione», Paine intende dire che uno sconvolgimento salutare sia il solo mezzo per evitare un'altra rivoluzione, non più realizzata dall'alto, ma ordita nell'ombra da cospiratori, lealisti o babuvisti: «Dal tempo in cui fu stabilita la Costituzione abbiamo assistito al fallimento di due congiure: quella di Babeuf, e quella di alcuni oscuri personaggi che si fregiano dello spregevole titolo di «realisti». Il difetto di principio della Costituzione è stato l’origine della congiura di Babeuf. Costui approfittò del risentimento causato da quell’imperfezione, e anziché cercare di porvi rimedio per vie legittime e costituzionali, o di proporre qualche misura utile alla società, i cospiratori si adoperarono per rinnovare i disordini e la confusione, e si costituirono in un direttorio, atto questo che distrugge formalmente l’elezione e la rappresentanza... Quanto al difetto presente nella Costituzione, sono pienamente persuaso che esso sarà corretto per via costituzionale; e che questo passo è indispensabile, perché più a lungo quel difetto permane, più incoraggia le speranze dei cospiratori e fornisce loro i mezzi per l’azione».
Insomma, il primo sistema di reddito garantito venne proposto come preservativo contro l'insurrezione comunista. Secondo i suoi più scaltri difensori, lo Stato farebbe bene ad investire una somma dei propri introiti per soddisfare i bisogni minimi dei suoi cittadini affinché accettino la loro triste condizione e rimangano sudditi fedeli. È quindi con una certa ragione che il «capo politico» del M5S ha rivendicato il proprio successo vantandosi di essere il solo argine alla «violenza nelle strade».
Dalla fine del 1700 ai primi anni del 2000, il reddito garantito è una proposta perfettamente conservatrice. Non si sputa nel piatto in cui si mangia. Solo dei poveri fessi possono pensare che elemosinare la propria sopravvivenza allo Stato sia un'idea sovversiva.
 
[13/3/13]