Brulotti

Non ho nessuna classe!

 

Chiedetelo ai miei amici e ve lo diranno: non ho nessuna classe... Me ne sono andato dall'università dopo qualche semestre e quella è stata la fine delle classi per me.
Ho menzionato le classi delle università perché persino i marxisti e i sindacalisti non sono abbastanza stupidi da pensare che le classi universitarie siano cose in sé o comunque esseri collettivi che possano agire da sé. Gli ideologi più ottusi capiscono che  le classi universitarie sono attività, rapporti stabiliti fra individui che recitano i ruoli di professore e studente. Quando non c'è nessuno in classe a recitare questi ruoli, non c'è nessuna classe. E, dato che non sono andato in classe per anni, di certo non ho nessuna classe.
Ma ai miei amici marxisti (se ne avessi) questo non piacerebbe. Mi direbbero, ovviamente, che io appartengo a una classe – secondo loro, sono un lump (Lump è un termine dispregiativo tedesco che indica povero, rozzo, umile. Un lumpenproletario è quindi un sottoproletario). Ciò mi suona un po' come un insulto, il che spiega il motivo per cui non ho amici marxisti.
Loro e i loro amici sindacalisti mi informerebbero poi che la classe lavoratrice non è una classe dell'università. Chiaramente hanno ragione; nessuno pensa che una persona faccia parte di una classe scolastica finché non sta andando in classe. Ma di certo devo fare un mucchio di lavoro nelle mie classi universitarie, e non verrò nemmeno mai pagato per questo!
Eppure c'è una similitudine fra queste classi. La classe in qualsiasi caso non si riferisce a una cosa; di certo non si riferisce ad un essere collettivo in grado di agire per sé. Si riferisce a un rapporto sociale stabilito, ed un rapporto esige almeno due parti.
Quindi non sono mai un lavoratore in e per me stesso. Nemmeno quando faccio qualcosa. Nemmeno quando creo qualcosa. Sono un lavoratore solo in rapporto ad un capo, un padrone, un sistema economico. Così come sono un soggetto solo in rapporto ad un governante, un cittadino solo in rapporto ad uno Stato (che è in sé un rapporto), un proletario solo in rapporto ad un borghese, etc. E anche in questi esempi, io non sono queste cose, le sto semplicemente indossando come maschere per recitare un ruolo nell'ordine sociale.
Qui è dove i marxisti, i sindacalisti, gli operaisti di ogni risma si sbagliano. Essi suppongono che il proletariato, la classe lavoratrice, sia un essere collettivo che può diventare autocosciente ed agire per se stesso senza controparte. Quindi non vedono che la «dittatura del proletariato» non potrà mai essere altro che una nuova forma di dittatura borghese, una dittatura di governanti, di padroni. Non vedono che se i lavoratori rimangono lavoratori, allorché si impossesseranno dei mezzi di produzione sostituiranno semplicemente i padroni individuali con un padrone collettivo. Padrone e schiavo continuano ad esistere perchè gli individui non hanno distrutto il rapporto di classe.
Quindi la classe lavoratrice in quanto tale non può davvero andare oltre la "coscienza" sindacale (di fatto, essendo un rapporto istituzionalizzato, una attività, non può avere alcun genere di "coscienza"), oltre a battersi per un maggior potere in rapporto con la classe padronale. La ragione non si trova in nessun limite posseduto da individui che dicono di essere lavoratori. La ragione è che la classe lavoratrice non descrive un essere, ma un rapporto con la classe padronale. E non c'è alcun bisogno di continuare ad usare eufemismi – la controparte del padrone è lo schiavo. Gli schiavi si sbarazzano dei loro padroni solo quando cessano di essere schiavi – ovvero, quando si riappropriano delle loro vite. La distruzione della classe dei padroni è la distruzione della classe degli schiavi. Avviene quando gli individui si sollevano e rifiutano di essere schiavi.
Qui sta il problema per marxisti, sindacalisti, ed ogni genere di sinistri. I loro programmi richiedono partecipazione di massa, attività di massa, greggi di schiavi pronti a realizzare i compiti richiesti, quindi è nel loro interesse mantenere la società di classe.
Se la lotta di classe è la lotta per porre fine alla società di classe, allora non è la lotta di una classe contro un'altra, ma degli individui contro tutti i tentativi di costringerli all'interno di classi, contro tutti i tentativi di classi-ficarli. Quando mi sollevo fuori dal gregge, qualsiasi gregge, che sia chiamato classe, razza, genere, sottocultura, etc., sto combattendo questa lotta.
Io, in quanto vivo in ogni istante, sono oltre la classificazione, oltre il paragone con ogni altro essere, oltre ogni astrazione dentro cui vorrebbero rinchiudermi gli ideologi. Se posso trovare altri non come me tranne che nel loro rifiuto di essere classificati, massificati e aggregati, sarò felice di combattere con loro la società di classe. Altrimenti, mi solleverò ancora ridendo e urlando: «Non ho nessuna classe!».
 
[My Own, n. 7, gennaio 2013]