Brulotti

Gli avventurischi

 

Il 30 maggio 1968 tutti i vecchi dai 70 ai 18 anni si sono dati la mano, e ciò non è stato soltanto ridicolo, come era prevedibile, ma anche terrificante come migliaia di conventi, di caserme, di prigioni in marcia, sfoggiando nella rispettabilità dei loro limiti la scandalosa violenza di un mondo della segregazione, del fuggi-fuggi dell'inganno e della viltà. Si è assistito alla risposta imbecille, paurosa e sedicente pacifica di una società che aveva appena ricevuto in piena faccia il più bel ceffone che si sia visto negli ultimi tempi: quello di un bambino al padre addormentato dopo un lauto pasto.
Prima che sia troppo tardi, migliaia di giovani hanno lasciato un mondo sbattendo la porta alle loro spalle, accendendo innumerevoli focolai per rispondere infine alle ingiurie senza pietà fatte alla spontaneità, all'unicità di ogni individuo, seguendo la ben nota formula: «Bisogna battere il ferro quando è caldo». Vi siete dimenticati, Signori, l'incandescenza del ferro rovente, troppo frettolosi di reimmergerlo nelle acque glaciali del tempo che scorre, del mondo così com'è. Allora non stupitevi più della violenza degli ultimi giorni, non stupitevi più dell'apparente sproporzione fra causa ed effetto. L'esplosione di certi sguardi, il colore di certe notti vi sono sfuggiti, vi sfuggiranno sempre. È in questo margine d'indeterminazione di ogni vita quotidiana che la violenza necessaria ha tratto la sua energia, è grazie a questa potenza del rifiuto che risponde a tutti i vostri divieti che è stata trovata la forza di scrivere realmente sulle pagine finalmente nuove delle strade, non fosse che per un istante: A maggio, fai ciò che ti piace. Una scia di polvere che nel vostro vocabolario avete definito indifferentemente follia, frenesia, delirio, ha infiammato l'anonimato del numero. E il numero ha iniziato a vivere, a distruggere, individuo per individuo, il mito della sua astratta inerzia. I vostri cani da guardia, sociologi, psichiatri, professori, politici (mentre voi sguinzagliavate le vostre mute specializzate per una sinistra caccia all'adolescente) si interrogheranno febbrilmente sulla disparità di età e di classe di coloro che presero la strada: i blouson noir, gli operai, gli studenti, le ragazze oltraggiosamente truccate discese dalle Porte con attorno alla vita catene che non avevano più niente a che fare con protezioni, risposero ad un incontrollabile (poiché la parola è attuale non senza ragione) vive chi vuole, con tutti i rischi che comporta, con l'estrema violenza dell'affermazione del desiderio imbavagliato dal gomito a gomito delle pance di cinquanta milioni di francesi proprio francesi, paralizzato da tutte le mani unite del mondo in preghiera, infine saggiamente represso dalle morali pseudosocialiste che appartengono alla medesima famiglia.
Il vento sfuggì alla speculazione meteorologica dei fine settimana, per servire un immenso respiro collettivo. Non parlo né di una fraternizzazione derisoria da boy-scout sempre pronto a fare come gli altri, né di una solidarietà della paura bassamente umana di genere umanista. Non si è trattato, ma proprio per nulla, di dare a vedere, ma d'invitare a vivere. Per la prima volta dopo molto tempo nelle strade le persone erano belle perché appassionate. Si è parlato di uno straripamento dalle organizzazioni politiche perché per la prima volta non si parlava più con la ragione ma con la passione. La miseria dei rapporti umani che assicura la vostra lamentosa sicurezza era all'improvviso stanata. Corse la voce che tutto era possibile, perché migliaia di uomini non erano più separati gli uni dagli altri, ma soprattutto perché ognuno non era più separato da se stesso. La spontaneità andava e veniva dal gioco appassionato all'estrema serietà, dall'humour più libero al rischio della morte, mentre le forze repressive uscivano fuori da ognuno. L'irrazionale fuggito dalle sue riserve di caccia, la poesia, la pittura, l'arte... spogliato della spontaneità collettiva del suo travestimento di rigore, riconosciuto da voi qui o là di tanto in tanto, e senza rischi, come geniale, ha ridotto a zero la distanza abitualmente vantaggiosa fra significante e significato, ha sabotato la rete di controspionaggio dell'individualismo borghese.
Ma nulla si è ancora giocato, Signori, niente si perde e tutto si crea.
Abbiamo scorte di sogni.
Abbiamo munizioni di idee.
I desideri sono le sole cose che non muoiono.
 
[L'Archibras, n. 4 del giugno 1968]