Brulotti

Il passato non è presente

Per capire il presente bisogna conoscere il passato. La memoria di chi ha vissuto lontane esperienze va tramandata, perché costituisce al tempo stesso un monito ed un insegnamento pratico per le nuove generazioni. Conoscere la storia per trarne lezione, insomma. A questo fine, in ambito istituzionale, non è forse stato indetto il Giorno della Memoria, giorno in cui viene ricordato l'orrore dei campi di concentramento nazisti? Eppure, detto tra noi, non ci sembra che ministri e parlamentari abbiano imparato granché da quei tragici fatti. Altrimenti non avrebbero istituito, e riempito, da sinistra a destra, i campi per immigrati clandestini. Né si può dire abbiano imparato molto in proposito i loro cittadini-sudditi, che spesso e volentieri intonano cori razzisti.

Questa ostentazione dell'utilità pratica della memoria non ci convince molto. Più che una esigenza sincera, ponderata o viscerale che sia, ci sembra abbia tutti i tratti di una pia intenzione condita con tanta retorica.
Anche in ambito sovversivo ci sono i cultori della memoria: compagni che di tanto in tanto vengono fuori a sbandierare la necessità di ripercorrere il passato per poter meglio intervenire nel presente. Eppure a noi sembra che si faccia l'esatto contrario. Che le esperienze del passato – lontano, prossimo o vicinissimo – non siano mai servite a nulla. Per altro, nemmeno a chi le ha vissute sulla propria pelle. Altrimenti non si spiega come mai, dopo l'errore dei comunardi – che lasciarono la Banca di Francia continuare le proprie operazioni (pare che addirittura avessero scortato i carri pieni di soldi diretti al governo centrale rifugiatosi a Versailles. Proteggendo così i soldi con cui i loro nemici arruolarono truppe per massacrarli!) –, anche gli anarchici nel 1936 non abbiano osato allungare le mani sull'oro di Spagna. Né si spiega come mai gli anarchici italiani che hanno aspettato invano l'intervento rivoluzionario di partiti di sinistra e sindacati nel 1914 durante la Settimana Rossa, abbiano ripetuto la medesima inutile attesa pochi anni dopo in occasione dell'occupazione delle fabbriche. E che dire di Makhno e dei suoi compagni i quali, dopo aver stipulato due patti di alleanza con i bolscevichi ed essere stati traditi entrambe le volte, ripeterono l'errore per la terza e fatale volta? 
No, decisamente la memoria serve a ben poco. Non viene ritenuta una lanterna in grado di illuminare il cammino impervio e pieno di ostacoli, ma un peso che rallenta la marcia e di cui il più delle volte è meglio sbarazzarsi. Ma c'è forse qualcuno disposto a sostenerlo apertamente? Giammai. Anzi, anche “fra sovversivi” c'è chi proclama forte e chiaro che la conoscenza di quanto è accaduto vada coltivata.
Per non farci trovare impreparati quando i fuochi della rivolta scoppieranno, per avere memoria del passato come strumento per capire il presente, cosa c'è di meglio che parlare insieme a compagni che lo hanno vissuto in prima persona e che dovrebbero essere in grado di fornire una cronaca rivoluzionaria alle giovani generazioni?
È a partire da simili premesse che si sta tenendo al Telos di Saronno, dal 13 al 26 giugno, una serie di incontri intitolati per l'appunto Cronache rivoluzionarie. Una serata sulla lotta criminale contro Stato e Capitale rispolvererà l'epopea degli anni 60-70. Un'altra sarà dedicata al movimento delle occupazioni e alle lotte antinucleari e antimilitariste degli anni 80-90. E, per finire, la terza serata rievocherà gli anni 90: “Noi fuorilegge noi fuori dal gregge, nomadismo anarchico, Canenero, processo Marini”.
Quando ci è stata segnalata l'iniziativa, siamo rimasti perplessi. L'aspetto formale, “storicizzante” per così dire, è comprensibile e forse inevitabile per fatti lontanissimi nel tempo. Ma per un passato relativamente recente, che senso ha? Fa venire alla mente quei “reduci” che si raccontano e se la raccontano. A chi ha vissuto quegli anni verrebbe quasi da lasciarsi andare a poco eleganti gesti scaramantici nel sentirsi trattare da “trapassato”. Ma, soprattutto, siamo davvero sicuri che quelle esperienze siano utili per far comprendere il presente? La carica iconoclasta dei Comontisti, ad esempio, cosa ci fa capire di un presente in cui all'interno dello stesso movimento vige il politicamente corretto ed un certo integralismo? Dove opuscoli contro l'aborto vengono seguiti da opuscoli contro l'alcool? Dove si sconsiglia la bestemmia per non offendere il prossimo cristiano? Nulla, non fa capire nulla. Le lotte degli anni 80, lotte caratterizzate dal tentativo di sganciarsi dal carrozzone politicardo del movimento antagonista, di invertire la rotta andando dal centro alla periferia, come aiutano a capire l'odierna centralizzazione delle lotte, l'invito a salire su quel carrozzone e a competere per il posto di autista? Non aiutano. E che dire dell'esperienza riassunta in questi incontri come «Noi fuorilegge, noi fuori dal gregge», il periodo del settimanale anarchico Canenero? In cosa l'alterità assoluta che là si esprimeva ci fa comprendere l'attuale possibilismo? In niente, perché è evidente che il movimento che abbiamo sotto gli occhi oggi rappresenta l'esatto contrario di quanto si teorizzava e si praticava allora. 
Pare sia trascorso un millennio da quegli anni. Chi aprisse adesso le pagine di Canenero vi troverebbe il rifiuto di partire, per non correre nemmeno il rischio di arrivare; oggi invece si esorta ad esserci. Vi troverebbe la critica al dialogo democratico con esperti ed accademici, che oggi invece vengono invitati alle proprie iniziative. Vi troverebbe sostenuta una lotta senza aggettivi; oggi invece si incita senza vergogna alla lotta popolare. Vi troverebbe la poesia dell'individuo; oggi invece risuona cupamente la propaganda della massa. Vi troverebbe l'orgogliosa affermazione delle proprie idee; oggi invece si spacciano idee altrui pur di contare. Vi troverebbe il sarcasmo verso l'apologia di organizzazioni autoritarie lontane un oceano; oggi invece si saluta il programma «dirompente e rivoluzionario» di esotici partiti comunisti. Vi troverebbe la ricerca dell'affinità; oggi invece si elemosina amicizia politica per rinsaldare i rapporti. Allora si sosteneva che le persone dabbene avrebbero dovuto parlare degli anarchici a voce bassa, con timore; oggi invece si fa di tutto pur di farsele amiche. Allora si irridevano le identità collettive e la liturgia assembleare; oggi invece non se ne può fare a meno. Allora, quando la repressione si faceva più pressante, gli anarchici occupavano Il Manifesto; oggi invece è Il Manifesto che si pre-occupa per l'arresto di qualche anarchico dalla buona reputazione. Allora il pugnale era il ferro corto con cui affrontare l'esistente; oggi invece è l'uncinetto a tutto punto. No, la lettura di Canenero non fa comprendere affatto il presente, semmai lo mette in discussione, lo sfida.  
È bastato un giro di telefonate per capire che nessuno dei redattori, dei collaboratori e dei distributori di quel giornale fra coloro che non hanno rinnegato il proprio passato è stato invitato dagli organizzatori dell'incontro. Non avrebbero accettato, probabilmente, essendo i loro desideri ancora vivi e vegeti. Ma allora, chi sarà mai che ne parlerà dopo averne vissuto «in prima persona» l'esperienza? Fra tutti, forse chi ha organizzato incontri cittadinisti contro l'alta velocità assieme agli ambientalisti di Stato? Forse chi si è attivato per far consegnare una petizione antimilitarista al signor sindaco? Forse chi si è concesso ai microfoni della radio di Stato? Forse chi saluta la virtù sovversiva della preghiera musulmana? Forse chi inizia a teorizzare l'inutilità pratica dell'orizzontalità decisionale? Mah, chissà chi sarà a millantare un passato ormai lontano anni luce dal suo presente. 
Del resto, è anche giusto così. Solo chi si è sbarazzato di quell'esperienza può parlarne con distacco. Probabilmente è questo il senso di quel «nomadismo anarchico» che viene qui presentato per la prima volta. Sapete come sono i nomadi, no? Oggi qui, domani là, loro vivono così... Non sono stanziali, girano sempre. Non trascorrono una vita intera all'ombra della stessa idea, dello stesso sogno. Troppo noioso, si corre il rischio di fare la fine di un Malatesta o di un Galleani. Meglio cambiare, mutare pelle, fare dello zapping ideologico. Pensate al punk. Chi è che lo storicizza, facendone materiale d'archivio, oggetto di conferenze? Chi è passato dal Virus all'Einaudi, dall'Helter Skelter alla Feltrinelli. Nomadismo punk?
Quindi, giovani compagni, se volete comprendere l'anemia del presente fate a meno di conoscere il vigore del passato (per quanto le capriole e le argomentazioni di un Victor Serge o di un Carlo Molaschi potrebbero essere assai istruttive). Vi basterà leggere il capitolo finale di un'opera letteraria, il delizioso Piccolo galateo erotico per fanciulle di Pierre Louÿs, intitolato «Non dite... ma dite»: «Non dite: “Ho voglia di scopare”. Dite: “Sono nervosa”... Non dite: “Preferisco la lingua all'uccello”. Dite: “Mi piacciono i piaceri delicati”... Non dite: “L'ho vista fottere da entrambi i buchi”. Dite: “È un'estrosa”», e così via. Ecco, se terrete bene a mente le possibilità insite nel funambulismo del linguaggio capirete senz'altro meglio le parole di chi è pronto a salire in cattedra per fare la cronaca rivoluzionaria su Canenero e gli anni 90. Non dirà: Do il culo a destra e a sinistra. Dirà: Amo la differenza. Non dirà: Cambio parere a seconda di come tira il vento. Dirà: Non ho pregiudizi ideologici. Non dirà: Faccio comunella con chiunque, dai compagni anarchici ai compagni autoritari passando per gli amici del Wwf. Dirà: Pratico il nomadismo.
 
Riposa in pace, Canenero, riposa in pace. Hai corso ed hai morso finché hai potuto, finché il fango della calunnia assai più dell'intervento della magistratura ha messo fine ai tuoi giorni. Chi ti ha dato vita, chi ti ha conosciuto ed amato, non ti dimenticherà. Né dimenticherà chi ha decretato la tua morte. Eri un giornale senza prezzo e che non temeva imitazioni, come recitava il sottotitolo. Oggi ancor meno di ieri. Perché oggi, ancor più di ieri, non si può essere al tempo stesso poeti e ambasciatori. Non si può sovvertire e servire. L'alterità è e resta incompatibile con qualsiasi possibilismo. Quanto alle ipocrite e stucchevoli riesumazioni, non temere. Nessuno sciacallo, per quanto a fondo scavi, riuscirà mai a fare scempio delle tue spoglie.
 
[giugno 2013]