Brulotti

Quel che non fanno i compagni

Troppo bello per essere vero, non poteva durare a lungo. Ed infatti è durata solo un mesetto la tregua del signor Movimento No Tav con la propria smania dissociazionista.

Dopo le polemiche scoppiate sulla sua pronità nel diffondere dubbi sulla paternità del sabotaggio ai danni della Geomont avvenuto il 30 agosto, costui pareva finalmente persuaso a starsene zitto davanti agli attacchi contro le ditte coinvolte nella costruzione del Tav. Non che lo avessero colpito le critiche di parte anarchica che gli erano piovute addosso, per carità. L'ombrello della politica ripara da ben altro. Ma insomma, diciamolo, non poteva accettare di essere «scavalcato a sinistra» da un esegeta delle Sacre Scritture (ieri Il Capitale, oggi la Bibbia) come lo scrittore Erri De Luca. Se persino lui aveva capito ed era pronto a sostenere pubblicamente che contro un'opera mostruosa come il Tav era più che giustificato il ricorso al sabotaggio, se financo alcuni suoi colleghi radical-chic del bel mondo della cultura e dello spettacolo avevano espresso solidarietà all'ex militante di Lotta Continua affascinato dal cristianesimo (immediatamente linciato per le sue parole dalla canea reazionaria), poteva il signor Movimento No Tav fare la figura del pompiere più fesso? Ovviamente no. E si era adeguato alla situazione. In occasione delle successive azioni contro la Imprebeton (9 settembre) e ancora contro la Geomont (1 ottobre), il signor Movimento No Tav se n'era rimasto finalmente in silenzio. Grazie Erri De Luca per aver sdoganato il sabotaggio! Se non ci fossi tu...
Ma a tutto c'è un limite, santa pazienza! Passi la violenza contro le cose, ma la violenza contro le persone, questo giammai! Così, quando il 3 ottobre l'infame giornalista de La Stampa Massimo Numa ha ricevuto un pacchetto esplosivo, il signor Movimento No Tav è tornato alle sue vecchie abitudini. Lui che tanto si atteggia a nuovo partigiano, lui che — comandante Giap de noantri — giura di aver portato Saigon alla Maddalena (mentre i suoi compagni di merende anarchici, vittime di una medesima autosuggestione ideologica, preferiscono tuonare di aver portato Atene a Chiomonte) si è precipitato a strepitare contro questo mezzo impopolare: «Il movimento no tav ha chiarito in più occasioni che non ha assolutamente nè la volontà nè l'interesse di creare danni alle persone. Pallottole e bombe non ci appartengono». Come al solito, zum zum, un compagno non può averlo fatto... Finita qui, in una misera precisazione che simili atti fanno il gioco del nemico? 
Macché! Perché La Stampa del 5 ottobre ha pubblicato un intervento del Presidente della schiava Repubblica d'Italia in cui invita i bravi ed onesti oppositori No Tav a prendere pubblicamente le distanze dalla vile canaglia. E lui, il signor Movimento No Tav, già autoproclamatosi portavoce della libera Repubblica di Venaus, è scattato sull'attenti ed ha obbedito. La sera stessa ha diffuso un comunicato in cui riprende le sue solite amenità sui vigliacchi che accosterebbero violenza e dissenso (evidentemente la sua santità fulminerà tutti i porci capitalisti), arricchite però da uno sguardo retrospettivo. Non solo quest'ultimo pacco puzza, ma puzza come puzzavano le azioni di sabotaggio avvenute in valle a metà degli anni 90, quelle attribuite ai «Lupi Grigi», quelle per cui furono arrestati gli anarchici Edoardo Massari detto Baleno, Maria Soledad Rosas e Silvano Pelissero: «Noi abbiamo buona memoria, e senza andare a scomodare gli anni di piombo come fanno i vari Caselli, Fassino e fanfara varia, ci ricordiamo molto bene la stagione degli attentati attribuiti ai “lupi grigi”, che non è di cento trent’anni fa ma dell’altro ieri, e potrebbe (oggi come allora) non solo non essere attribuita ai No Tav o ai loro “simpatizzanti spontanei o indotti”, ma addirittura ricondotta direttamente a chi – quegli attentati – li avrebbe dovuti, li dovrebbe e li dovrà impedire».
Insomma prima della sollecitazione quirinalesca il pacco-bomba alla Stampa era solo un atto che favoriva la repressione. Dopo, è bene azzardare che sia opera diretta di servizi più o meno deviati che «dovrebbero» raddrizzarsi e fare il proprio lavoro. E per rafforzare tale ipotesi mettendo a tacere preventivamente voci anarchiche fuori dal coro, il signor Movimento No Tav suggerisce la lettura del libro Le scarpe dei suicidi, opera di un anarchico storico da orticello nonché bibliofilo virtuale, anch'egli assertore in un passato recente della stessa idiozia.
Che dire? Con rispetto parlando, e usando un linguaggio il più forbito possibile, questo signor Movimento No Tav stavolta ha davvero rotto i cosiddetti.
Tranne per gli imbecilli che credono nei placidi tramonti, il dissenso ha sempre avuto bisogno anche della violenza. Non della sua mitologia, non del suo uso fanatico e indiscriminato. Ma è inevitabile che lo Stato si difenda con violenza dai suoi oppositori, ed è inevitabile che chi vuole opporsi allo Stato debba prima o poi fare ricorso anche alla violenza. «Predicare il rispetto per ogni forma di vita», negare la possibile appartenenza di «pallottole e bombe» è una pura ipocrisia (ma allora, i partigiani? Che Guevara?). Chi pensa di salvaguardare le lotte sbandierando la propria innocenza non fa altro che affossarle, preparando al tempo stesso il futuro linciaggio di eventuali "colpevoli". In realtà, la violenza è giustificata non solo quando viene approvata da un rinomato scrittore e/o solo quando proviene dalle fila di un movimento di massa, ma anche quando è esplicitamente opera di singoli individui. A renderla "legittima" è il suo significato, non la quantità numerica dei suoi esecutori o la fama dei suoi fan. Che gli atti di sabotaggio avvenuti in Val Susa negli anni 90 siano riconducibili ai servizi o a chi per loro è una ipotesi cara solo ai politicanti che infestano il movimento — siano essi autonomi, anarchici o quant'altro — preoccupati che la rabbia dilaghi fuori dal loro controllo e faccia a meno della loro rappresentanza e mediazione.
Un compagno non può averlo fatto? Cosa, incendiare i cantieri del Tav? Ma certo che sì! Spedire un pacco esplosivo ad un miserabile fascista come Massimo Numa? Ma certo che sì! Un compagno non metterebbe mai bombe sui treni, o nelle stazioni ferroviarie, o nelle piazze; non avvelenerebbe mai l'acqua, non stuprerebbe e torturerebbe prigionieri; non bombarderebbe mai città o massacrerebbe intere popolazioni... cioè non farebbe mai quello che lo Stato, ogni Stato, è uso a fare da sempre. Ma laddove l'uso della violenza è indirizzato contro funzionari e servi di questo mondo infame, sì, un compagno può averlo fatto! Se così fosse, ha commesso un errore? Ognuno è libero di pensarla come crede in proposito — sugli obiettivi, sui metodi, sui tempi — ed il dibattito critico è sempre aperto. Ma le calunnie, quelle, lasciamole stare. C'è una intera Storia di Stato che accusa Marinus Van der Lubbe di essere stato al soldo dei nazisti per avere incendiato il Reichstag (“ma come? un compagno non può averlo fatto!”), quando in realtà egli non era che un rivoluzionario, per altro comunista, determinato a combattere l'ascesa di Hitler.
Ora, nessuno sa chi abbia spedito il pacco regalo alla Stampa. Forse un compagno. Forse lo stesso Massimo Numa. Perché no, sono tutte ipotesi. Ma non è questo il punto. Il punto è che la sollecitudine nel proclamarsi innocenti, vittime di macchinazioni, del tutto estranei ai fatti, l'abitudine alla dietrologia e al complottismo, è di una meschinità e una viltà senza pari. Anche qualora, col senno del poi, il timore si rivelasse per una volta azzeccato. E lo è maggiormente se si affretta ad assecondare il buonismo stimolato dal Signor Presidente, a cui altri militanti No Tav domandano «come si può dire che è il movimento No Tav responsabile di incendi vari con 500 uomini delle forze dell'ordine sparsi fra il cantiere e la Valle?».
Il fatto è che per il signor movimento No Tav chiunque esca dalla dimensione pubblica e collettiva della lotta (ovvero quella che egli gestisce e amministra, ricavandone i profitti politici) è per forza di cose un losco provocatore. Ecco perché questa dimensione ha necessità di liberarsi del suo ceto politico (liberarsene del tutto, non sostituirlo) e fondersi con l'altra, quella privata e individuale. Perché la lotta contro il Tav, così come qualsiasi altra lotta contro la Società, ha bisogno di tutto: di parole come di fatti, di discussioni come di incontri, di manifestazioni come di feste, della forza d'urto dei molti come della determinazione dei pochi, degli assalti collettivi come degli attacchi individuali. E soprattutto ha bisogno di consapevolezza, della consapevolezza di tutti, non di direttive stabilite da pochi che vanno seguite. Quello di cui non ha bisogno insomma è la politica; né di Parlamento né di piazza, né pentastellata né rifondata, né autonoma né anarchica. Punto.
 
[7/10/13]