Brulotti

Discorso al popolo sulla morte della principessa Carlotta

 

Percy Bysshe Shelley
 
Figlia unica del principe regnante (futuro Giorgio IV) ed erede della corona inglese, la principessa Carlotta morì il 6 novembre 1817, a soli 21 anni, il giorno dopo aver partorito un bambino nato morto. Il caso vuole che l'indomani venissero giustiziati i tre «martiri di Pentridge», arrestati nel giugno dello stesso anno mentre assieme a duecento operai si dirigevano verso Londra allo scopo di rovesciare il governo ultrareazionario del conte di Liverpool, Robert Banks Jenkinson. Alla testa degli insorti c'era il giovane luddista Jeremiah Brandreth, ma il loro generoso tentativo si rivelò però del tutto manipolato da un infiltrato – William J. Oliver – al diretto servizio del ministro dell'Interno Henry Addington. Infatti a pochi chilometri di strada, a Giltbrook, nei pressi di Nottingham, una compagnia di dragoni che aspettava gli insorti li attaccò e li sbaragliò. Brandreth venne condannato a morte insieme ad Isaac Ludlam e a William Turner, mentre quattordici insorti furono deportati in Tasmania ed altri sei imprigionati.
Fu dalla concomitanza di questi fatti che trasse ispirazione il poeta romantico Percy Bysshe Shelley per questo testo (scritto pochi giorni dopo in forma anonima e subito inviato alla stampa britannica) che all'epoca venne giudicato decisamente scandaloso per il cordoglio espresso più per la morte di rivoltosi intenzionati a sovvertire le istituzioni che per la scomparsa prematura della predestinata regina.
 
 
«Noi piangiamo il piumaggio dell'uccello agonizzante ma dimentichiamo la sua sofferenza»
 
I
La principessa Carlotta è morta.
Non ha più la capacità di muoversi, di pensare o di sentire.
È inerte quanto l'argilla con cui non tarderà a mescolarsi.
È una cosa terribile sapere che è un cadavere in decomposizione, lei che, pochi giorni prima, era piena di vita e di speranza; una giovane donna innocente e bella, strappata alla pace domestica e che lascia vuoto quel posto individuale che la morte costringe ciascuno a cedere.
 
II
In tal senso la morte della principessa Carlotta assomiglia alla morte di migliaia di altre donne.
Quante sventurate muoiono durante il parto lasciando dietro di sé i loro bambini orfani ed il loro mariti affranti dalla dolorosa perdita? Quante donne dalle virtù attive ed energiche, donne dolci, affettuose e sagge – la cui esistenza è come una catena di felicità e di unione che, una volta spezzata, lascia deperire coloro che univa – sono morte e sono state piante con un'amarezza troppo grande da poter essere espressa a parole?
Ce n'erano che morivano nella povertà e nella vergogna, il loro piccolo orfanello sopravviveva solo per fare da bersaglio al disprezzo e alla trascuratezza di adulti che non erano niente per lui. Uomini hanno vegliato accanto al letto delle loro spose morenti e sono diventati pazzi per il dispiacere quando la morte ha fatto udire i suoi orrendi rantoli di agonia senza curarsi del roseo bambino, assopito sulle ginocchia di una indifferente infermiera – mentre la disperazione che un marito terrorizzato leggeva nell'occhio del medico affogava il proprio cuore nel dispiacere.
Tutto ciò è accaduto e accade ancora.
Percorrete le strade di questa grande città, a cuor leggero, senza pensare che simili scene avvengano attorno a voi. Non immaginate il numero di madri che muoiono di doglie. È il disastro più terribile di tutti.
Nella malattia, nella vecchiaia, nella battaglia, la morte arriva come a casa propria; ma in piena stagione di gioia e di speranza – allorquando la vita dovrebbe succedere alla vita, e la famiglia riunita aspetta un nuovo membro, il più giovane ed amato –, che muoia la sposa, la madre! quella per cui per ogni membro della famiglia era caro quanto l'altro!
Tuttavia migliaia fra i più poveri dei poveri, la cui miseria è aggravata da ciò che per il momento non si può nominare, devono patirne. Non hanno affetti? Non hanno un cuore che batte nel petto e lacrime che sgorgano dagli occhi? Non sono fatti di carne e sangue umano?
Eppure nessuno li piange, nessuno ne porta il lutto, e quando le loro bare sono portate alla fossa – quando la parrocchia fornisce loro una bara – nessuno si sofferma a fare riflessioni morali sulla tristezza che lasciano dietro di sé.
 
III
Gli ateniesi avevano ragione a celebrare con un lutto pubblico la morte di coloro che avevano diretto la repubblica con ed intelligenza, o l'avevano resa illustre con il loro genio. Gli uomini hanno ragione di portare il lutto dei morti: ciò dimostra che noi amiamo altri che sono come noi, e deve avere il cuore davvero duro colui che può vedere il suo amico partire verso la putrefazione e la polvere e che, senza emozione, gli augura buon viaggio «là da dove non torna nessuno».
Piangere coloro che hanno reso servigi allo Stato è una sana abitudine favorevole alla pratica dei nostri affetti più cari.
Alla morte di Milton, sarebbe stato bene se la nazione inglese intera si fosse solennemente vestita di nero e se campane assordanti avessero suonato a morto di città in città.
La nazione francese avrebbe dovuto ordinare un pubblico lutto per piangere la scomparsa di Rousseau e di Verlaine.
Non possiamo provare un vero dispiacere per tutti coloro che muoiono al di fuori della cerchia di esseri che ci sono particolarmente cari; tuttavia, quando si spengono gli oggetti dell'amore del pubblico, della sua ammirazione e della sua riconoscenza, gli spiriti generosi trovano che qualcosa sia venuta a mancare in questa stessa cerchia.
Sarebbe bene che gli uomini portassero il lutto ad ogni calamità che colpisce il loro paese o il mondo, anche qualora questa non comportasse la morte. Ciò concorre a mantenere, fra ciascuno degli uomini e tra gli uomini considerati nel loro insieme, i rapporti che costituiscono il legame della vita sociale.
Bisognerebbe che ci fosse un lutto pubblico quando sopraggiungono avvenimenti che addolorano i cuori delle persone perbene: il regno dei tiranni stranieri o nazionali, l'abuso della buona fede pubblica, l'abuso nell'applicazione di vecchie e venerabili leggi al fine di assassinare degli innocenti; le misure che minacciano la sicurezza degli uomini che sono il fiore della nazione e bruciano di un entusiasmo invincibile per il bene pubblico.
Così, se Horne Tooke e Hardy (1) fossero stati condannati per tradimento, sarebbe stato bene vedere non solo tutti i cuori debordare di tristezza ma ancora e dappertutto tutte le manifestazioni esteriori del dispiacere.
Quando la Repubblica francese fu annientata, il mondo intero avrebbe dovuto vestirsi in gramaglie.
 
IV
Ma questo appello ai sentimenti degli uomini non dovrebbe essere lanciato alla leggera o volto a sciupare i fecondi sfoghi che un lutto pubblico dovrebbe suscitare.
Non bisognerebbe ricorrere a tale solennità che in caso di ampia e intelligibile calamità, provata come tale da coloro che amano il loro paese e l'umanità – e con un carattere universale e non particolare.
 
V
La notizia della morte della principessa Carlotta è arrivata suppergiù contemporaneamente a quella dell'esecuzione di Brandreth, Ludlam e Turner. Se la bellezza, la giovinezza e l'innocenza, le maniere amabili e l'esercizio delle virtù domestiche bastassero a giustificare il pubblico cordoglio per via della loro eterna estinzione, quell'interessante signora avrebbe ben meritato questo dispiegamento di dolore. Lei era l'ultima e la migliore della sua razza.
Ma migliaia di altre persone, distinte quanto lei per le loro qualità private, vengono falciate nella loro giovinezza e nelle loro speranze.
Il caso della sua nascita non ha nulla aggiunto alla virtù della sua vita, né fatto della sua morte un soggetto più degno di cordoglio.
Lei non ha compiuto nulla di bene né di male per il pubblico; la sua educazione l'aveva resa ugualmente incapace di fare il bene come il male nel senso più ampio e completo di questi termini. Era nata principessa, e coloro che sono destinati dalla nascita a governare gli uomini sono dispensati dall'acquisire quella saggezza e quella esperienza minime che sono necessarie per governarsi da sé.
Lei non era, come lady Jane Gray o la regina Elisabetta, una donna dall'erudizione profonda e varia. Non aveva fatto nulla, non aveva aspirato a niente e non poteva capire nulla delle grandi questioni politiche che riguardano la felicità di chi era destinata a governare. Non dico questo per biasimarla, ma per compassione: non parliamo male dei morti.
Tale è la miseria, tale è l'impotenza della monarchia.
Fin dalla culla i principi sono inibiti dal meritare la più alta ricompensa che esista, dopo una coscienza netta: l'ammirazione e il rimpianto del pubblico.
 
VI
L'esecuzione di Brandreth, di Ludlam e di Turner è un avvenimento di tutt'altro carattere rispetto alla morte della principessa Carlotta.
Questi uomini furono per lunghi mesi rinchiusi in una spaventosa prigione, forzati a scorgere la prospettiva di una morte orrenda e dell'inferno eterno, prima di venire infine condotti sul patibolo per essere impiccati.
Anche loro avevano degli affetti domestici; anche loro si distinguevano nell'esercizio di virtù private. Forse proprio la bassezza della loro condizione ha consentito a questi affetti di svilupparsi a un livello che non può raggiungere un rango più elevato. Essi avevano figli, fratelli, sorelle, padri che li amavano di più, a quanto pare, di come la principessa Carlotta potesse essere amata da persone che l'etichetta e il cui rango tenevano permanentemente lontane da lei. Suo marito le faceva da padre, da madre e da fratello.
Ludlam e Turner erano uomini di età adulta, ed i loro affetti avevano acquisito forza e maturità. Nessuno potrebbe dire ciò che questi sventurati hanno provato. Ma è possibile giudicare le lunghe e molteplici sofferenze della loro parentela osservando la reazione di Edward Turner che, vedendo suo fratello trascinato sulla pedana, lanciò un grido di orrore, fu preso dalle convulsioni e dovette essere portato via, simile ad un cadavere, da due uomini.
Come doveva essere terribile il loro dolore quel giorno, quando, chiusi in solitudine, udirono come una tempesta il clamore della folla inorridita annunciare che la testa che era loro così cara era appena stata separata dal suo corpo! Sì, udirono le urla terrorizzate che salivano dalla moltitudine, il calpestio di diecimila persone in preda allo spavento, i grugniti e i fischi che comunicavano loro in quale momento veniva brandita e issata la testa mutilata e turbinosa.
I condannati erano morti.
E cos'è la morte? Chi oserebbe dire cosa accade dopo la sepoltura? (2)
Brandreth era calmo, visibilmente convinto che le conseguenze dei nostri errori si arrestino su quella temibile linea di confine. Ma Ludlam e Turner erano terrorizzati, nella paura che Dio li avrebbe immersi nel fuoco eterno. M. Pickering, il pastore che li assistette, era ovviamente preoccupato che un'empia certezza facesse perdere a Brandreth la sua ultima possibilità di riconciliarsi con il Padrone dell'aldilà.
Nessuno di loro sapeva cos'è la morte, né poteva saperlo. Tuttavia quegli uomini furono gettati senza esitazione in quell'abisso insondabile da altri uomini che non ne sapevano di più e che non si curavano delle sofferenze presenti o future delle loro vittime.
Nulla è più orribile di questo: che un uomo versi, quale ne sia la causa, il sangue di un altro uomo. Per ogni altra calamità esiste un rimedio o una consolazione. Ma quando l'Energia, grazie alla quale viviamo, cessa di prolungare la vita che ha donato, allora arrivano il dispiacere e il dolore.  È un peso che bisogna sopportare; un simile dispiacere rende il cuore migliore. Ma quando l'uomo versa il sangue dell'uomo, nascono la vendetta e l'odio, e una lunga serie di esecuzioni, di assassini e di proscrizioni si perpetua fino a un tempo assai lontano.
 
VII
Tali sono le riflessioni particolari, unite ad alcune considerazioni generali, suggerite dalla morte di questi uomini. Ma, per quanto deplorevole essa sia, se si trattasse soltanto di un dispiacere privato o abituale, il pubblico, in quanto tale, non dovrebbe piangerla.
Ora, in tutto ciò c'è qualcosa di più. Gli avvenimenti che hanno portato alla morte di questi sfortunati sono una calamità pubblica.
Non intendo biasimare la giuria che li ha dichiarati colpevoli di alto tradimento; forse la legge esige che si definisca tale la loro colpa. Bisogna senza dubbio imporre qualche ritegno alle persone avventate che credono di poter trovare nella violenza un rimedio contro la violenza, anche se sono i loro oppressori ad aver suscitato le tentazioni che li hanno portati a rovinarsi con le proprie mani. Essi sono gli strumenti del male, meno colpevoli delle mani che li hanno guidati, ma certo adatti ad incitare alla cautela.  Eppure la loro morte, per impiccagione o decapitazione, e le circostanze che riflettono come le conseguenze che essa avrà, costituiscono una di quelle calamità che la nazione inglese dovrebbe piangere con dolore inconsolabile.
 
VIII
In ogni epoca, re e ministri si sono distinti dagli altri uomini per la loro sete di sperperi e di sangue versato.
Fino alla guerra d'America esisteva in questo paese un ostacolo, invero debole e gracile, contro questa desolante disposizione. Fino all'epoca in cui l'America si proclamò repubblica, l'Inghilterra è forse stata la nazione più libera e più gloriosa sulla faccia della terra. Essa non era certo come sarebbe stato auspicabile fosse una nazione, ma era comunque tutto ciò che può essere una nazione quando non si governa da sé.
Nondimeno le conseguenze di questa fatale lacuna non tardarono a manifestarsi.
Il governo, che l'imperfetta costituzione della nostra assemblea rappresentativa aveva dato in pasto ad un pugno di aristocratici, perfezionò il metodo che consisteva nell'anticipare le imposte attraverso dei prestiti, inventato dai ministri di Guglielmo III, al punto che alla fine il debito pubblico così creato era diventato enorme.
Durante la guerra contro la Repubblica francese si fece più che mai ricorso a quel sistema, cosicché attualmente i soli interessi del debito pubblico ammontano a più del doppio delle considerevoli spese che gravano sul Tesoro pubblico al fine di mantenere l'esercito e la famiglia reale, di pagare le pensioni della corona e le prebende dei complici dei ministri.
Questo debito ha come risultato una ripartizione disuguale dei mezzi di sussistenza, al punto di minare le fondamenta dell'unità sociale e della vita civilizzata. Esso crea una doppia aristocrazia, al posto di una sola – il cui peso era già ben pesante: dà al doppio dei privilegiati la libertà di vivere nel lusso e nell'ozio grazie a quanto prodotto dai lavoratori e dai poveri.
E non la dà loro in quanto sono più saggi e più meritevoli degli altri di riceverla, né perché dedicano il loro tempo libero a fare progetti per il bene pubblico o lo impiegano in quegli esercizi di intelligenza o di immaginazione i cui frutti sono la gloria e l'ornamento di un paese.
Essi non sono affatto, come l'antica aristocrazia, uomini pieni di orgoglio e di onore, sans peur et sans tache. No, sono schiavi miserabili, tutti presi nei loro intrighi, che hanno guadagnato il diritto di pretendersi creditori dello Stato giocando in modo azzardato coi fondi, o adulando servilmente il governo, o attraverso qualche altro commercio infame.
Non sono «il capitello corinzio della società civilizzata» (3) ma le cattive erbe rampicanti che degradano il ricco disegno della sua scultura. L'effetto di questo sistema è che il lavoratore giornaliero lavorando sedici ore al giorno non guadagna più di quanto guadagnasse prima lavorando otto ore. Presento il fatto nella sua forma più semplice e più intelligibile. Il lavoratore, colui che spinge la carriola o tesse la stoffa, è costretto a prelevare da quanto porta a casa di che mantenere il lusso e la comodità di coloro le cui pretese si traducono con una spesa annuale di quarantaquattro milioni, sottratta alla nazione inglese. Prima mantenevano solo l'esercito e i pensionati, la famiglia reale e i proprietari terrieri; ed era già quella una necessità ben dura, ma alla quale conveniva rassegnarsi.
Numerosi e vari sono i mali causati dall'oppressione, ma nessuno li riassume meglio di questo: il fatto che un uomo sia costretto a lavorare per un altro, non solo abbastanza da rafforzare le distinzioni sociali che esistono fra gli uomini, fino al punto che questo eccesso di ingiustizia arriva a minacciare le fondamenta stesse di tutto ciò che conferisce un qualche valore all'ordine sociale – e che ne derivi quell'anarchia che è avversaria della libertà e, al tempo stesso, creatura e castigo della cattiva amministrazione.
La nazione, barcollando sul bordo dei due abissi, cominciava a stancarsi della persistenza di tanti pericoli e tanti avvilimenti, e delle miserie che ne sono la conseguenza; il pubblico reclamava a gran voce una libera rappresentanza del popolo.
Si cominciava a udire che nessun altro corpo costituito da uomini sarebbe riuscito a far fronte alle pressanti difficoltà. Poiché solo la nazione avrebbe potuto risolvere la questione: esiste un rimedio alla necessità di pagare quarantaquattro milioni all'anno in più di quanto esigono le spese dello Stato? Al tempo stesso si manifestò uno slancio nobile, l'amore della libertà e il patriottismo – come il rispetto di se stessi che è dissociabile da questi gloriosi sentimenti –  ripresero vita nel cuore degli uomini.
Il governo avrebbe dovuto giocare una partita disperata.
 
IX
Nelle regioni manifatturiere dell'Inghilterra da molti anni regnavano il malcontento e la collera; ciò era la conseguenza di quel sistema della doppia aristocrazia prodotto dalle cause già menzionate. Gli operai delle industrie manifatturiere, questi iloti del lusso, sono ridotti alla fame da questo sistema, privi di affetti e di salute, di ogni tempo libero e di mezzi per acquisire l'istruzione che servirebbe a combattere le abitudini di turbolenza e indisciplina che nascono dalla precarietà e dalle incertezze della povertà.
Era un terreno propizio per ogni avventuriero desideroso, pur di servire torbidi disegni, di eccitare un pugno di ignoranti a commettere violenze illegali.
Appena è stato chiaro che bisognava accordare al popolo la libera rappresentanza che domandava, a meno di impiegare nei suoi confronti l'intimidazione ed il pregiudizio, è stata messa in atto una cospirazione della più fosca atrocità.
È impossibile sapere fino a che punto i più alti membri del governo siano coinvolti nella colpevolezza dei loro infernali agenti. È impossibile sapere quale sia il loro numero e quale sia stata la loro attività, o attraverso quali false speranze abbiano potuto infiammare la moltitudine priva di istruzione, al punto da farle porgere il collo alla mannaia e alla corda dei boia.
Ma quello che si sa è che, non appena la nazione intera ha alzato la voce a favore della riforma parlamentare, sono state mandate delle spie dappertutto.
Sono state reclutate nell'umanità più infame e meno virtuosa, e sparse in mezzo alla moltitudine dei lavoratori affamati e analfabeti. Era loro compito, se non avessero trovato alcun malcontento, di crearlo. Era loro compito trovare delle vittime, colpevoli o innocenti che fossero. Era loro compito produrre presso il pubblico l'impressione che, se fosse riuscito un qualche tentativo di giungere alla libertà nazionale, o di diminuire i fardelli del debito e della tassazione sotto cui gemiamo, la moltitudine affamata si sarebbe scatenata e avrebbe confuso ogni ordine e distinzione, ogni legge e istituzione, in una comune rovina.
La conclusione con cui si chiedeva loro di armare i ministri era che il potere dispotico doveva essere eterno.
Per ottenere questa provvidenziale suggestione incitarono perfidamente qualche contadino ingenuo e senza diffidenza a commettere un crimine la cui punizione era una morte terribile.
Gli operai delle fabbriche, affamati e ignoranti, sedotti dalle belle promesse di questi cospiratori sanguinari e senza rimorsi, si unirono in quella che si definisce ribellione contro lo Stato. Tutto era predisposto, e i diciotto dragoni riuniti forse in anticipo condussero le loro vittime stupefatte in quella prigione da cui sarebbero uscite solo per essere mutilate per mano del boia.
I crudeli istigatori della loro rovina si ritirarono per godersi le grosse rendite che avevano guadagnato grazie ad una vita d'infamia. La voce pubblica fu soffocata da quella dei timidi e degli egoisti, che gettarono il peso della paura sulla bilancia dell'opinione pubblica, ed il Parlamento affidò nuovamente al potere esecutivo quei diritti straordinari che forse non avrebbe mai deposto, a meno che l'assemblea regolarmente costituita della nazione non glieli avesse strappati dalle mani.
Per noi, l'alternativa è quella fra un dispotismo, una rivoluzione o una riforma.
 
X
Il 7 novembre, Brandreth, Turner e Ludlam salirono sul patibolo. La sorte di Brandreth ci tocca di meno perché a quanto pare aveva ucciso un uomo. Ma che ci si ricordi chi era l'istigatore degli atti che lo hanno portato a questo omicidio. Con la sincerità di un uomo che sta per morire, Brandreth ci fa sapere che «Oliver lo spinse a ciò» e che «senza Oliver, non si sarebbe trovato là».
Guardate anche Ludlam e Turner – con i loro figli, i loro fratelli e le loro sorelle – inginocchiarsi insieme per l'atroce preghiera! L'inferno è davanti ai loro occhi. Tremano e vengono meno per la paura, temendo che un peccato di cui non si erano pentiti o che non avevano commesso volontariamente avrebbe suggellato la loro condanna al fuoco eterno. Con quel terribile castigo sotto gli occhi, con quella tremenda conseguenza della verità delle sue parole, Turner ha esclamato distintamente mentre il boia gli passava la corda al collo: «Tutto è stato ordito da Oliver e dal governo!». Non sappiamo cosa avrebbe potuto aggiungere, perché il cappellano gli ha impedito di fare altre rivelazioni. Truppe di cavalleria, sciabole alla mano, tenevano alla larga la folla ammassata per assistere a questo abominevole spettacolo.
«Quando si udì vibrare il colpo d'ascia, ci fu un clamore d'orrore nella folla. Nel momento in cui la testa venne esibita ci fu un urlo formidabile, e la moltitudine si mise a correre in tutte le direzioni, come in preda ad una improvvisa frenesia. Quelli che rimasero sul posto gemevano o fischiavano» (4).
È in sé una calamità nazionale il fatto che ci lasciamo governare da uomini che incoraggiano, quale che sia il fine, una cospirazione che possa raggiungere tale scopo solo attraverso un così spaventoso spargimento di sangue e di sofferenze.
Ma quando lo scopo è di calpestare coi nostri piedi per sempre i nostri diritti e le nostre libertà; di darci la scelta fra l'anarchia e l'oppressione; di trionfare quando la nazione esterrefatta accetta di venire oppressa; di mantenere in permanenza un esercito numeroso; di accrescere di anno in anno un debito pubblico che è risaputo che sarà impossibile pagare e che, col crollo dell'illusione che lo sostiene, produrrà in tutte le classi della società altrettanta miseria e disordine delle privazioni e degradazioni che infligge senza sosta ai poveri indifesi; di imprigionare e calunniare a volontà quelli che possono disturbarli...
Quando tutto ciò è, se non il fine, almeno il risultato di questa cospirazione, non dovremmo portare il lutto?
 
XI
Quindi indossa il lutto, popolo d'Inghilterra. Rivestiti d'un nero solenne. E suonino le campane a morto! Pensa alle cose mortali e mutevoli. Avvolgiti nella solitudine e nella tristezza di un dolore sacro. Non scordare nessun simbolo di cordoglio universale. Piangi, mettiti in gramaglie, lamentati. Riempi la grande città, riempi l'immensità delle campagne coi tuoi lamenti e con l'eco dei tuoi pianti.
Una bella principessa è morta; avrebbe potuto essere la regina del suo amato popolo, e i suoi posteri avrebbero regnato su di esso fino alla fine dei tempi. Lei si dedicava agli affetti domestici, apprezzava le arti che abbelliscono e il coraggio che difende. Era amabile e sarebbe diventata saggia; ma era giovane ed è stata falciata nel fiore della sua giovinezza.
Anche la Libertà è morta.
Schiavo! ti scongiuro, non turbare la profondità e la solennità del nostro cordoglio con un cordoglio più basso. Colei che è morta e avrebbe dovuto regnare sul paese – e che era, come la Libertà, giovane, innocente e amabile –, sappi che la sua morte, semplice fonte di cordoglio privato, è stata opera di Dio. Ma è l'uomo ad aver assassinato la libertà; e mentre la vita di questa sfuggiva attraverso la sua ferita, la simpatia che causa un flagello o una catastrofe universale è scesa sulla testa e nel cuore di tutti gli uomini.
Catene più pesanti del ferro gravano su di noi, perché serrano le nostre anime. Noi andiamo e veniamo in una prigione più ignobile di una cella umida e stretta, perché ha come suolo la terra e per tetto il cielo.
Seguiamo con lentezza e rispetto fino alla tomba il cadavere della libertà inglese, e se apparirà qualche glorioso fantasma che si faccia un trono di spade spezzate, di scettri e corone reali trascinati nella polvere, diremo che l'anima della Libertà s'è levata dalla tomba, lasciandovi tutto ciò che era mortale e volgare.
Inchiniamoci davanti ad essa e adoriamola come nostra regina.
 
 
(1) Durante l'ondata di reazione anti-giacobina del 1794, nel corso della quale il primo ministro William Pitt arrivò perfino alla sospensione dell'habeas corpus, numerosi agitatori radicali furono arrestati. Fra questi, John Horne Tooke e Thomas Hardy, giudicati per alto tradimento e poi rilasciati.
(2) «Vuol dire allora che la vostra morte/ha tanto d'occhi infissi nella testa:/ma io la morte così figurata/ non l'ho mai vista...», William Shakespeare, Cimbelino, atto V, scena IV. [Nota di Shelley]
(3) Così Edmund Burke definiva la Camera dei Lord.
(4) Queste parole sono tratte da L'Examiner di domenica 9 novembre 1817. [Nota di Shelley]
 
[1817]