Brulotti

Fare due passi avanti per farne tre indietro?

 

Quante volte è successo? Non solo nel lontano passato, ma anche oggi, in questo stesso momento. In paesi lontani più o meno esotici, ma anche in altri più vicini, sotto ai nostri occhi. Popolazioni che si radunano e protestano spontaneamente, per disgusto dei loro governanti e delle politiche che attuano. Popolazioni che sfidano le forze dell'ordine e non cedono nemmeno quando vengono massacrate. Anzi, si rafforzano. Forze politiche «di opposizione» che cercano di salire sul treno in corsa. Il loro scopo è palese, quello di prendere il posto dei vecchi burocrati realizzando riforme le cui conseguenze si rivelano insignificanti, quando non peggiorative. Potere uscente e potere entrante, in mezzo a minacce e ad accuse reciproche, collaborano per mantenere il quadro politico generale – il loro elemento vitale comune. Ogni volta che vi è alternanza, pacifica o violenta che sia, vecchi e nuovi dirigenti devono comunque trovare un accordo.
Quante volte è successo? Quante volte il tiranno è scappato o è stato abbattuto, la maschera infame del potere è stata strappata, la folla ha occupato le strade e pure le sedi istituzionali, si è intravisto infine uno squarcio di luce, tutto è sembrato diventare possibile...
Eppure, quale che sia il paese, l'epoca o il lugubre conteggio delle vittime, sembra che una simile situazione preveda un'unica conclusione: la conservazione dello Stato e delle sue forme istituzionali. Sfinite da decenni, da secoli di vessazioni, le masse possono ben rischiare la loro vita, affermare e ribadire di agire in nome proprio, senza alcun rapporto coi partiti politici. Ma poi sono sempre questi ultimi, riveduti e corretti, ad affermarsi e a beneficiare di quanto accade. Con il sostegno di quelle stesse masse che d'un tratto cessano di guardarli con ostilità e li appoggiano nella loro corsa al potere.
Quante volte è successo? Talmente tante che vien da pensare ad un celebre antropologo libertario, il quale faceva notare a malincuore come il passaggio tra società primitiva e Stato, tra libertà e autorità, sia a senso unico. Nella storia dell'umanità è sempre stata la libertà ad avere incontrato sulla sua strada lo Stato, disgrazia che l'ha fatta smarrire nell'obbedienza. Non può avvenire il contrario, non è mai accaduto che uno Stato abbia avuto la fortuna di perdersi nella libertà. Ecco perché, nonostante l'apparente radicalità, nel suo pensiero era implicito l'invito a sondare la gerarchia del meno peggio. A suo dire il destino della rivolta sarà sempre quello di ispirare il riformismo più illuminato. Null'altro.
Vien da pensare anche ad un filosofo suo connazionale – la cui fede in Dio era di gran lunga superiore alla sua fiducia nella rivoluzione – che mezzo secolo fa denunciò quella che definiva illusione politica. Se gli esseri umani affidano allo Stato ed alla politica in generale il compito di organizzare la società, è perché hanno rinunciato alla propria libertà. Invece di affrontare singolarmente questioni come l'etica, il senso della vita o quello della responsabilità, gli esseri umani preferiscono delegare collettivamente alle istituzioni la ricerca del buon governo. Si tratta di una delega che, oltre a costituire la capitolazione della libertà individuale, è anche mal riposta. Con il trionfo della Tecnica, ad essere perseguito è solo ciò che viene reputato efficiente e funzionale, non certo ciò che è considerato bene e giusto. Ecco il motivo per cui oggi la politica è del tutto effimera, puro spettacolo. Perché in realtà non deve decidere più su nulla, limitandosi a ratificare, a formalizzare quanto già prestabilito. D'altronde, più i problemi aumentano, più diventano complicati, più diventano urgenti, e più si è costretti a ricorrere a soluzioni tecniche, non avendo il tempo e le competenze necessarie per risolverli in altro modo.
Ciò significa che la politica – anche quella rivoluzionaria, anche quella che talvolta si manifesta attraverso una agitazione violenta – potrà anche riuscire ad amministrare meglio la vita delle persone, ma non potrà mai offrir loro la libertà. Non ci riuscirà la fedeltà alla Costituzione, né il controllo dell'esecutivo da parte del Parlamento, né la salvaguardia dei vecchi diritti acquisiti, né rappresentanti eletti direttamente dal popolo e dal breve mandato, né la creazione di nuovi movimenti politici. Tutto ciò non è solo inutile, è nocivo. Perché, più il cittadino si rivolge allo Stato, che ormai pervade tutto il suo immaginario, più lo Stato esercita il proprio potere sul cittadino. 
E non sarà certo uno sfrenato attivismo sovversivo a spezzare questo circolo vizioso. Anche perché, con l'impegno, il militante mette la sua libertà in-pegno. Perde la sua disponibilità e la sua autenticità, oppure rinuncia alla possibilità di scoprirle. Da sempre l'azione senza riflessione, il fare coatto, è il modo più sicuro per soffocare la libertà interiore e quindi la propria originalità. Se «il lavoro è la migliore forma di polizia», se la maniera migliore per impedire ad un individuo di pensare è quella di fargli fare qualcosa, appare subito chiaro il motivo per cui al lavoratore viene chiesto quotidianamente di manovrare una leva o di premere un tasto. Ma allora, il militante che quotidianamente affigge manifesti o distribuisce volantini per strada? Nell'uno come nell'altro caso, non si ha più il tempo e l'occasione di riflettere, di mettere in discussione quanto è dato per scontato, di interrogarsi su cosa si voglia veramente. In favore di cosa, se non della reiterazione dell'esistente?
Girando in tondo non si esce da questo mondo, si rimane nella sua orbita. Se non ci si accontenta a fare da Musa volontaria a futuri rinnovatori delle istituzioni, bisogna decidersi a separarsi radicalmente dal mondo della politica. Se non cominciamo a farlo noi fin da ora, e a sostenere le ragioni di una simile impopolare scelta, non c'è davvero motivo per cui altri dovrebbero farlo domani. E qui vien da pensare soprattutto a quel vecchio rivoluzionario ucraino che, dopo aver combattuto contro guardie bianche e soldati rossi, ammoniva: «L'uomo geme sotto il peso delle catene del potere socialista in Russia. Egli geme anche in altri paesi sotto il giogo dei socialisti uniti alla borghesia, oppure sotto quello della sola borghesia. Ovunque, individualmente o collettivamente, l'uomo geme sotto l'oppressione del potere di Stato e delle sue follie politiche ed economiche. Poche persone si interessano alle sue sofferenze senza aver allo stesso tempo dei secondi fini... No, non dovrebbe essere così! Rivoltati, fratello oppresso! Insorgi contro ogni potere di Stato! Distruggi il potere della borghesia e non sostituirlo con quello dei socialisti e dei bolscevichi-comunisti. Sopprimi ogni potere di Stato e caccia i suoi partigiani, perché non troverai mai amici fra di loro».
Proprio così. Non troveremo mai amici fra i partigiani dello Stato, presente o futuro che sia.
 
[30/5/14]