Brulotti

La Giustizia e la morale

 

Felix
 
Malgrado una infinità di esempi di fatto, che si susseguono continuamente come per spazzare tante utopie e tanti pregiudizi, pare vi siano ancora nove decimi, fra i popoli cosiddetti civili, che conservano sempre le più assurde utopie, i più cretini preconcetti, le più false fedi. Ma vi è di più: fra coloro che una certa istruzione dovrebbe rendere capaci di vedere chiaramente le cose sotto il loro aspetto reale, è raro trovare l'uno per mille che non faccia tutti gli sforzi possibili per guardare attraverso le lenti delle vecchie credenze.
Così, ogni volta che un fatto viene ad urtare contro le utopie inveterate e difese, coloro che degli altri dovrebbero essere preparati a vederlo compiersi, rimangono meravigliati e si mettono le mani nei capelli, desolati e disorientati.

Ci vuole veramente una dose di ingenuità non indifferente per credere ancora che la giustizia e la moralità possano uscire da un tribunale qualsiasi, limpide e serene.

Un povero ignorante che non ha mai spinto lo sguardo al di là dei suoi monti e non ha mai sentito altro che il belato delle sue pecore e la voce del suo parroco, è scusabile se ci crede; ma della gente che ha fatto tante scuole, legge tanti giornali, vede tanti fatti, deve essere incretinita o gesuitica per crederci ancora; di qui non si esce.

Volete che degli individui che sono pagati dal governo, il quale spilla i quattrini ai lavoratori colla violenza, possano avere il senso della giustizia e della moralità e possano condannare chi esercita la violenza per conto del governo che li paga, e assolvere chi smaschera l'immoralità di qualcuno dei tanti che vivono della corruzione, dalla quale il governo trae la forza per sorreggersi e per dominare?

Il giudice giusto, il giudice morale! È lo stesso di dire il ladro galantuomo, il ruffiano onorato.
I giudici emanano la giustizia secondo come è scritta nei codici e i codici lasciano tutto il campo per condannare gli innocenti e assolvere i delinquenti. Anzi sono fatti apposta per violare la giustizia, la moralità, il senso comune.
Se poi i codici facessero difetto, c'è la volontà di chi comanda e paga i giudici, c'è l'elasticità della loro coscienza, pronta a fare il resto.

Perché se un uomo ha un po' di senso di giustizia e di morale, non accetterà mai di giudicare i suoi simili, di condannarli, di essere il loro boia, il loro aguzzino per un tanto al mese. Egli sa che i quattrini con cui lo si paga, sono il frutto di lavoratori onesti, buoni e troppo pazienti. Sa che a questi lavoratori non è lasciato quasi nulla di quanto producono colle loro fatiche, per cui soffrono la miseria e la fame; sa che sono gli oziosi che godono il frutto di tanti stenti, che sono dei furbi e dei malvagi coloro che spogliano i lavoratori col pretesto di governarli e di difenderli, e lui, il giudice, si mette dalla parte di coloro che non fanno nulla e pretendono tutto, si mette al servizio di coloro che spogliano i lavoratori, per aiutarli nella spoliazione e per ricevere la sua parte di bottino.

Possono essere della gente giusta e della gente morale codesti giudici?

No! Il giudice pagato col denaro estorto è un complice, un sicario del potere che opprime il popolo e non potrà che sentenziare da sicario. Se osasse fare diversamente, ci andrebbe di mezzo la sua carriera, e la carriera di un giudice vale – secondo la sua moralità – la vita di migliaia di gente onesta.

Ma non vedete con quale serenità, o per meglio dire, con quale cinismo un giudice torna a casa dopo aver esercitato il suo mestiere in tribunale?

Egli sa che, condannando un disgraziato, magari colpevole secondo la morale dei codici, non è il colpevole che sopporterà la peggiore condanna, ma i suoi figli, la sua sposa, e magari i suoi genitori innocenti.
Perché il condannato, sebbene chiuso in carcere, avrà un cattivo cibo sì, ma si ciberà, mentre la famiglia sua resterà fuori, colla libertà di morir di fame. E nessuno si commuoverà della loro sventura, perché il pregiudizio, seminato dai dirigenti, colpisce e disonora anche i congiunti del disgraziato che il giudice condanna.

Ma questo signor giudice non ci pensa, egli abbraccia egualmente i figli suoi, va a tavola col miglior appetito, tranquillamente si riempie il pancione e dopo va al caffè o al club a giocare o a fare della maldicenza, se non ha da visitare qualche sgualdrina. 
I tribunali sono composti da questi soggetti, da questa gente senza scrupoli, che ha il triste coraggio di farsi pagare per emanare delle sentenze, che anche quando hanno l'apparenza di essere giuste, sono delle iniquità.

E da questi antri di corruzione, da questi ricettacoli di abietti e di vili, da queste officine di torture a cui si dà il nome di tribunali, tanta gente si aspetta che possano sortire la giustizia e la moralità.
Oh gente cieca!

Se per un miracolo, che nessun taumaturgo opererà mai, qualche tribunale fosse purificato dall'atmosfera guasta che vi domina, e le coscienze dei suoi giudici lavate dalla putredine che le circonda, questi dovrebbero aprire subito un processo contro chi ha fatto e fa le leggi, contro chi le firma, e chi le divulga, le impone e le applica; contro chi, in base a tali leggi, dissangua ed opprime la classe lavoratrice, contro i detentori della ricchezza e lo Stato che li difende.

Allora sarebbero i governanti, i capitalisti e tutti i loro manutengoli che comparirebbero davanti la giustizia, e allora, i giudici, dovrebbero condannare, coi delinquenti processati, anche essi stessi complici necessari. Fin che non succede questo miracolo, dai tribunali non uscirà che l'ingiustizia, l'immoralità, l'iniquità, la violenza.
Ma il miracolo che non si opererà mai in nessuna aula di tribunale, si opererà fuori, nelle piazze e nei campi, fuori, sotto il sole fecondo e all'aria pura, e saranno i lavoratori che faranno giustizia.
Essi, i violentati, i derubati, gli assassinati dalla classe privilegiata, sorgeranno un giorno, forti del loro diritto, e faranno giustizia vera e reale, spazzando tutti i privilegi e tutte le corruzioni.

Solo essi, i lavoratori, possono emanare la sentenza giusta e morale e dopo quella, non vi sarà più bisogno di sentenziare, perché i fattori dell'ingiustizia e dell'immoralità – il capitalismo e lo Stato – saranno eliminati dalla società basata sulla solidarietà e sul diritto di tutti.

Ma fino ad allora, ogni sentenza che uscirà dai tribunali, sarà sempre una condanna inflitta alla giustizia e alla moralità.

Aspettiamo dunque l'ora della giustizia sociale!

 
[Cronaca Sovversiva, anno III, n. 25, 24 giugno 1905]