Fuoriporta

Mentre piove morte a Gaza...

 

Adam Keller - Uri Avnery
 
Gush Shalom è forse la più nota organizzazione pacifista israeliana che si batte per la fine del conflitto che da oltre un secolo insanguina quella regione. I suoi militanti, ufficialmente non legati ad alcun partito, sostengono apertamente la necessità di una soluzione istituzionale che sancisca la fine delle ostilità attraverso la creazione e il riconoscimento di uno Stato sovrano palestinese. Pur non condividendo affatto una simile ipotesi, riportiamo qui due recenti testi dei suoi principali animatori che danno perlomeno una impressione sia di come questa guerra viene percepita all'interno di Israele, sia delle conseguenze che essa avrà nel perpetuare una situazione che non potrà mai essere risolta da nessuno Stato, esistente o in via di formazione.
 
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Camminando in mezzo alle gocce mentre piove morte a Gaza

Adam Keller
 
Domenica scorsa il quotidiano Ma'ariv riportava: «Almeno 15 bambini uccisi nel bombardamento di una moschea e di un edificio residenziale nel quartiere di Gaza Tufah». Compariva persino in prima pagina, ma molto in basso – e in caratteri più minuscoli rispetto al titolo bellico in alto – rimandando ad una notizia, a pagina 6, che spiegava con maggior cautela: la strage di 15 bambini non veniva presentata come se fosse un fatto, ma come qualcosa «riferita dai Palestinesi». Il tutto dava l'impressione di un compromesso raggiunto dopo uno scontro di potere fra nuovi editori.
Tre giorni dopo, con l'assassinio dei quattro ragazzi che giocavano a calcio sulla spiaggia di Gaza, non c'era più spazio per l'ambiguo «i Palestinesi sostengono che...». Sono stati uccisi a circa duecentro metri dal punto in cui stazionavano i rappresentanti dei media internazionali, e le telecamere trasmisero attorno al globo in tempo reale le scie delle macchie di sangue.
E così i quattro ragazzi dalla spiaggia approdarono nei titoli di testa israeliani. Fonti diplomatiche anonime a Gerusalemme lamentarono che l'incidente dell'assassinio dei ragazzi sulla spiaggia avesse danneggiato il credito internazionale acquisito da Israele dopo il rifiuto di Hamas della proposta egiziana di un «cessate il fuoco». Probabilmente è per i ragazzi morti che Netanyahu si è sentito costretto ad accettare la proposta delle Nazioni Unite di una pausa umanitaria di quattro ore nel bombardamento di Gaza.
Abbiamo deciso di andare in centro a Tel Aviv durante quella pausa, pensando (a ragione, da come è risultato) che avrebbe ridotto al minimo il rischio di essere beccati dalle sirene che annunciano i raid aerei mentre si è stipati in un autobus. Sul bus abbiamo incontrato un passeggero irritato. Quarant'anni circa, nessun segno particolare, stava seduto in fondo al veicolo a leggere con calma il suo giornale. All'improviso si è alzato in piedi, ha sventolato violentemente il giornale in mezzo all'autobus e si è messo ad urlare senza rivolgersi a nessuno in particolare: «Che faccia tosta quei bastardi di Hamas! Fanno richieste in cambio di una tregua! Fanno richieste adesso! Il rilascio di prigionieri, l'apertura delle frontiere, i lavori! Siano tutti maledetti all'inferno! E Netanyahu sta inviando gente al Cairo per negoziare con loro? Che disgrazia! Nessuna concessione, io dico nessuna concessione ai dannati terroristi! Bisogna solo mandare carri armati e farli tutti a pezzi, schiacciarli, schiacciarli!».
Una visita di famiglia a Y., un vecchio più conformista di noi – sebbene piuttosto di sinistra se paragonato alla media generale israeliana – è degenerata in un dibattito politico. «Volete andare a questa lettura di testimonianze dei soldati da Gaza? A che diavolo serve? Pensate che cambierà le idee a qualcuno?». «No, probabilmente non toccherà nessuno che non sia già convinto. In questi giorni la gente non vuole sentire fatti che non si adattino all'opinione che già possiedono». «E allora perché lo fate? Solo per provocare la gente?». «Non siamo noi a farlo, lo sta organizzando “Rompere il silenzio”. Le testimonianze di soldati sono la loro attività». «Assurdo! Che senso ha? Nessuno!». «A volte ci sono cose che vanno dette, al di là del risultato». «Questa è una assurdità totale». Ce ne siamo andati su termini meno che cordiali.
Da un negozietto spiccava un cartello con una scritta «Operazione Ponte Protettivo - 50% di sconto», mentre la radio strombazzava sul marciapiede. Una piccola folla si era assiepata ad ascoltare il notiziario. Il radiocronista ci informava con voce piuttosto incerta che «A parte i quattro bambini uccisi ieri, ce ne sono altri quattro uccisi anche nei bombardamenti di oggi – tre sul tetto di un palazzo residenziale ed uno di tre anni sotto il bombardamento di un'altra casa». Successivamente si è scoperto che i tre ragazzi stavano giocando sul tetto perché i loro genitori non si erano accorti che la pausa umanitaria era già finita.
Mancano due ore alla lettura delle testimonianze. Incontriamo R., una vecchia amica e compagna attivista, al nostro solito posto, il Caffé Garcia nell'alberata piazza Massarik. Si chiacchiera nel tentativo di cancellare dalla mente la guerra. 
Camminando lungo King George Street superiamo due religiose con dei cartelli scritti a mano. Uno sollecita: «Urliamo tutti il più forte possibile: Durerà ancora a lungo?». L'altro implora: «Signore Dio nostro, per favore, inviaci subito il Messia!». Poi svoltiamo in piazza Habimah, dove diverse centinaia di persone si sono già radunate per la lettura delle testimonianze.
Appena arrivati, c'è la lettura della testimonianza di un soldato che ha preso parte all'invasione di Gaza nel 2009. «Eravamo sul tetto di una casa. Abbiamo visto qualcuno che camminava verso di noi nell'oscurità, con una luce intermittente sulla testa. Volevamo sparare un colpo di avvertimento per farlo fermare, ma questo avrebbe rivelato la nostra posizione. Alla fine arrivò molto vicino, abbastanza vicino da farci saltare in aria se fosse stato un attentatore suicida. Gli ordini erano di non correre rischi, quindi abbiamo aperto il fuoco uccidendolo. Esaminando il suo corpo abbiamo scoperto che era un vecchio disarmato, che non minacciava nessuno».
«Quante testimonianze come questa potrebbero saltare fuori dai fatti odierni?» si chiedeva R. Poco lontano i contromanifestanti di estrema destra stavano urlando «Morte agli arabi! L'ebreo ha un'anima, l'arabo è un bastardo!». “Rompiamo il silenzio” ha avuto cura di piazzare altoparlanti molto potenti e la lettura delle testimonianze può andare avanti. La polizia ha fatto il suo lavoro (più o meno) e c'è stato solo qualche battibecco.
La sirena suona mentre stiamo aspettando l'autobus sulla via del ritorno, ancora in King George Street. Un lungo, un lungo suono lamentoso, più lungo del solito. Ci precipitiamo nel negozio più vicino. È abbastanza grande, possiamo rintanarci in fondo, lontano dalle vetrine davanti illuminate. Molti minuti e possiamo sentire l'esplosione sorda che significa intercettazione aerea, diversa dal suono pesante dell'impatto a terra. (Come si impara in fretta questa perizia!). Dato che siamo comunque nel negozio, compriamo un barattolino di salsa piccante yemenita.
«Avete visto quanto erano isteriche alcune persone, come si sono messe ad urlare nel panico quando è iniziata la sirena? Non sanno che in questo momento la probabilità che qualsiasi cosa passi attraverso la Cupola di Ferro e gli cada esattamente in testa è astronomicamente bassa? È la gente di Gaza che si deve preoccupare sul serio, non noi». «Non disprezzate questi abitanti di Tel Aviv. Ora il pericolo può essere basso, ma avvertono la sensazione di un futuro sempre meno sicuro. Oggi Israele è meno sicuro di quanto lo fosse venti anni fa. Quanto sarà sicuro fra venti anni? Soprattutto se l'impero americano farà come l'ultimo impero britannico». «Allora, il popolo di Israele che conclusioni politiche trarrà da tutto ciò?». «Ognuno a seconda delle proprie idee. Noi diciamo che Israele deve fare la pace e venire integrato nella regione prima che sia troppo tardi. Se non è già troppo tardi. Ma altri diranno di andare avanti ed aumentare la forza militare israeliana e non concedere nulla». «Quindi, cosa bisogna fare?». «Per quel che mi riguarda, io andrò al corteo di sabato sera e innalzerò il cartello “Ebrei ed arabi rifiutano di essere nemici”. Almeno gli ebrei e gli arabi presenti nel corteo intendono questo, completamente».
Ed ora – l'invasione della striscia di Gaza. La scorsa notte R. è stata svegliata da quello che pensava fosse un missile, e invece era il rumore di un elicottero – e lei sapeva bene che si trattava dei feriti israeliani trasportati al vicino ospedale. Un morto e tre feriti, al momento. Il soldato morto verrà identificato nel sergente Etahn Barak, di 20 anni, ucciso a nord della striscia di Gaza quando la sua jeep viene colpita da un missile anti-carro di Hamas (oppure dal «fuoco amico»). Il suo ex preside scolastico parla alla radio spiegando che bravo ragazzo era Etahn Barak, e com'era amato dai suoi compagni di classe, e quanto era motivato nell'arruolarsi in una unità combattiva dell'esercito, un sogno che ha soddisfatto adeguatamente. «So che tutto questo suona come un cliché», si è scusato il preside. Infatti è così che suona.
Anche ventiquattro palestinesi sono stati uccisi nel periodo iniziale dell'invasione della striscia. Fra di loro, è stato fatto notare per caso un neonato di cinque mesi. Ucciso quando la casa della sua famiglia viene colpita dal fuoco di un carro armato. Un neonato che resterà senza nome.
 
[18 luglio 2014]
 
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Una volta per tutte!

Uri Avnery
 
In questa guerra le due parti hanno lo stesso obiettivo: mettere fine alla situazione che esisteva prima che iniziasse. Una volta per tutte!
Mettere fine al lancio di razzi su Israele dalla striscia di Gaza, una volta per tutte!
Mettere fine ai blocchi della striscia di Gaza da parte di Israele ed Egitto, una volta per tutte!
Allora, perché le due parti non s'incontrano senza ingerenze straniere per mettersi d'accordo su questo e su quello?
Non possono perché non si parlano. Possono uccidersi, ma non possono parlarsi. Dio lo proibisce.
Questa non è una guerra al terrore. È la guerra in sé ad essere un atto di terrore.
Nessuna delle due parti ha una strategia diversa dal terrorizzare la popolazione civile dell'altra parte.
Le organizzazioni combattenti palestinesi di Gaza tentano di imporre la propria volontà lanciando razzi sulle città e i villaggi d'Israele, sperando in tal modo di spezzare il morale della popolazione e di costringerla a mettere fine ai blocchi che fanno della striscia di Gaza una «prigione a cielo aperto».
L'esercito israeliano sta bombardando la popolazione della striscia di Gaza e distruggendo interi quartieri, nella speranza che gli abitanti (quelli sopravvissuti) rovesceranno il potere di Hamas.
Entrambe le speranze sono, ovviamente, assurde. La Storia ha mostrato molte volte che terrorizzando una popolazione la si spinge a compattarsi dietro ai propri dirigenti ed a odiare il nemico ancor di più. È ciò che sta accadendo adesso da entrambe le parti.
Parlando delle due parti in guerra, è difficile evitare di dare l'impressione di una simmetria. Ma questa guerra è lungi dall'essere simmetrica.
Israele possiede una delle più grandi ed efficienti macchine da guerra del mondo. Hamas ed i suoi alleati locali contano al massimo su qualche migliaio di combattenti.
L'analogia più vicina che si possa evocare è la storia mitica di Davide e Golia. Ma questa volta noi siamo Golia e loro Davide.
Di solito questa storia viene male interpretata. Certo, Golia era un gigante e Davide un pastorello, ma Golia era equipaggiato con armi datate – una armatura, una spada e uno scudo pesanti – e riusciva a muoversi con difficoltà, mentre Davide disponeva di un'arma a sorpresa di nuovo genere, la fionda, con cui poteva uccidere a distanza.
Hamas spera di realizzare la stessa cosa con i suoi razzi, il cui raggio è stata una sorpresa. Conta anche sul numero e l'efficacia dei suoi tunnel che sbucano in Israele. Tuttavia questa volta anche Golia ha inventiva, e le batterie di missili della Cupola di Ferro hanno intercettato praticamente tutti i razzi che avrebbero potuto causare danni in zone abitate, compreso il mio quartiere di Tel Aviv.
Adesso sappiamo bene che nessuna delle parti è in grado di costringere l'altra ad arrendersi. È uno scontro nullo. Allora a che serve continuare ad ammazzare e distruggere?
Ah, c'è un colmo. Non possiamo parlarci. Abbiamo bisogno di intermediari.
Una vignetta su Haaretz questa settimana mostra Israele ed Hamas mentre si combattono, e una banda di mediatori che danza in cerchio attorno a loro.
Tutti vogliono mediare. Si combattono perché ognuno vuole essere il mediatore, il solo, se è possibile. L'Egitto, il Qatar, gli Stati Uniti, le Nazioni Unite, la Turchia, Mahmoud Abbas, Tony Blair e molti altri. C'è una pletora di mediatori. Ognuno vuole ricavare qualcosa dalla miseria della guerra.
È un triste insieme di inetti. La maggior parte patetici, alcuni decisamente disgustosi.
Prendete l'Egitto, governato da un dittatore militare sporco di sangue. È un collaboratore a tempo pieno di Israele, come lo era Hosny Mubarak prima di lui, solo più efficiente. Siccome Israele controlla tutte le altre frontiere terrestri e marittime della striscia di Gaza, la frontiera egiziana è la sola apertura di Gaza sul mondo.
Ma l'Egitto, il vecchio leader del mondo arabo, è ora un sottoposto di Israele, determinato ancor più di Israele ad affamare la striscia di Gaza e a far fuori Hamas. La televisione egiziana è piena di "giornalisti" che maledicono i palestinesi nei termini più volgari e strisciano davanti al loro nuovo faraone. Ma ora l'Egitto insiste per essere il solo negoziatore del cessate il fuoco.
Il Segretario Generale delle Nazioni Unite si agita. Non essendo straordinariamente dotato, è stato scelto per quel posto dagli Stati Uniti. Adesso si mostra penoso.
Ma non più di John Kerry, personaggio patetico che vola di qua e di là per tentare di convincere tutti che gli Stati Uniti sono ancora una potenza mondiale. Sono finiti i tempi in cui Henry Kissinger ordinava ai dirigenti di Israele e dei paesi arabi cosa dovevano e non dovevano fare (sollecitandoli soprattutto a non parlarsi, ma a rivolgersi unicamente a lui).
Qual è esattamente il ruolo di Mahmoud Abbas? Teoricamente, è pure il presidente della striscia di Gaza. Ma dà l'impressione di cercare una mediazione fra il governo di fatto di Gaza ed il mondo. È molto più vicino a Tel Aviv che a Gaza.
E la lista potrebbe continuare. Il personaggio ridicolo di Tony Blair. I ministri degli Affari esteri europei che cercano di farsi fotografare con il loro collega neofascista israeliano. Nell'insieme, uno spettacolo nauseante. [...]
Il potenziale combattivo dei palestinesi è una sorpresa per tutti, in particolare per l'esercito israeliano. Invece di elemosinare una tregua immediata, Hamas la rifiuta finché le sue richieste non verranno accolte, mentre Benjamin Netanyahu sembra impaziente di farla finita prima di sprofondare ancor più nella palude di Gaza – un incubo per l'esercito.
L'ultima guerra è iniziata con l'assassinio del comandante militare di Hamas, Ahmad al-Jabaari. Il suo successore è una vecchia conoscenza, Mohammed Deif, che Israele ha cercato di assassinare diverse volte, ferendolo gravemente. Egli appare oggi molto più capace del suo predecessore – con la rete di tunnel, la produzione di razzi molto più efficaci, i combattenti meglio addestrati – tutto ciò denota un dirigente più competente.
(Questo era già successo prima. Abbiamo assassinato un dirigente di Hezbollah, Abbas al-Mussawi, e ottenuto l'assai più talentuoso Hassan Nasrallah).
Alla fine, finirà per esserci una sorta di tregua. Non sarà la fine una volta per tutte. Non lo è mai.
Cosa rimarrà?
L'odio tra le parti è aumentato. Resterà.
L'odio di molti israeliani per i cittadini arabi di Israele è cresciuto considerevolmente, e per molto tempo non sarà possibile porvi rimedio. La democrazia israeliana è stata duramente colpita. Gruppi neofascisti, prima marginali, ora sono ben accetti dalla corrente dominante. Alcuni ministri del governo e alcuni membri della Knesset sono spudoratamente fascisti.
Oggi sono acclamati da quasi tutti i dirigenti del mondo e ripetono come pappagalli gli slogan di propaganda più ottusi di Netanyahu. Ma milioni di persone ovunque nel mondo stanno vedendo giorno dopo giorno le terribili immagini di distruzione e di morte nella striscia di Gaza. Non saranno cancellate dalle loro menti da un cessate il fuoco. Il già precario appoggio a Israele nel mondo scenderà ancor più.
All'interno della stessa Israele, le persone più degne si sentono sempre più a disagio. Ho sentito molte dichiarazioni di persone semplici che d'un tratto si mettono a parlare di emigrazione. La soffocante atmosfera nel paese, lo spaventoso conformismo di tutti i nostri media (con la brillante eccezione di Haaretz), la certezza che alla guerra seguirà la guerra in eterno – tutto ciò porta i giovani a sognare una vita tranquilla con le loro famiglie a Los Angeles o a Berlino.
Nel mondo arabo, le conseguenze saranno persino peggiori.
Per la prima volta quasi tutti i governi arabi hanno fatto comunella con Israele nella lotta contro Hamas. Per i giovani arabi di ogni luogo, si tratta di una vergognosa umiliazione.
La primavera araba è stata una sollevazione contro l'elite araba corrotta, oppressiva e senza pudore. L'identificazione con la situazione critica del popolo palestinese lasciato all'abbandono ne era un elemento importante.
Ciò che è appena accaduto, dal punto di vista dei giovani arabi di oggi, è peggio, molto peggio. Generali egiziani, principi sauditi, emiri del Kuwait e i loro pari in tutta la regione si mostrano tutti nudi e disprezzabili davanti alla loro generazione più giovane, mentre i combattenti di Hamas spiccano ai loro occhi come esempi brillanti. Sfortunatamente, questa reazione potrebbe condurre ad un islamismo ancora più radicale. [...]
 
 
[27 luglio 2014]