Fuoriporta

Eid in una Gaza distopica

 

Ayah Bashir
 
Laureata in «politiche globali» presso la London School of Economics and Political Science, Ayah Bashir è un'attivista di un comitato con sede a Gaza favorevole al boicottaggio, al disinvestimento e alle sanzioni contro Israele. Per fortuna in questo suo articolo l'autrice non fa alcuna proposta politica o economica a governanti e capitalisti non-israeliani, ma offre una delle poche testimonianze dirette uscite in questi ultimi giorni da Gaza, dove una intera popolazione sta venendo massacrata da uno degli eserciti più potenti del mondo.
L'Eid al-Fitr è la seconda festività religiosa più importante della cultura islamica e indica la fine del Ramadan, ovvero il ritorno alla gioia dopo un periodo di penitenza.
 
 
Lunedì sera, un'ora dopo che le persone rompevano il proprio digiuno per l'ultima volta in un mese, appelli occasionali e preghiere dalle moschee annunciavano che l'indomani sarebbe stato il primo giorno di Eid.
Di solito non si sarebbe stati capaci di trattenere le proprie lacrime, essendo questi momenti sempre stati associati all'allegria e all'esultanza.
Questa volta, invece, sono stati molto cupi. È stato il primo Eid triste a cui io abbia mai assistito in vita mia.
Sebbene la guerra non sia qualcosa di nuovo per noi a Gaza – io stessa sono sopravvissuta a due, nel 2008-09 e nel 2012 – questa è la più terrificante e raccapricciante.
Mentre me ne stavo al buio sul balcone cercando dentro di me quella tipica sensazione che non riuscivo a trovare, ho sentito alcune deliziose voci di bimbo ripetere le preghiere dell'Eid seguendo lo Sheikh, mentre rideva e correva.
Fin dall'inizio dell'assalto furibondo di Israele, siamo rimasti intrappolati dentro casa per molti giorni e notti. La parte centrale della nostra vita è quella di guardare il cielo diventare grigio e nero per il fumo denso di giorno, e arancio brillante nell'oscurità della notte, come risultato dei bombardamenti di Israele. In questo momento gli aerei da guerra stanno sganciando bombe che illuminano l'intero quartiere. In apparenza mi ricordano i fuochi d'artificio durante il capodanno 2011 che ho trascorso a Londra.
 
Potere logorato
Di prima mattina ho ricevuto una telefonata da una agenzia stampa del Sud Africa che mi chiedeva se potevo rilasciare una intervista sulle celebrazioni per l'Eid a Gaza, in circa due ore. Ho risposto di sì.
Poi, quando la telefonata è terminata, ho capito che la batteria del mio cellulare stava morendo e sarebbe durata al massimo altri 10 minuti. Per fortuna sono riuscita a ricaricarla usando una USB esterna. Sebbene possa sembrare imbarazzante parlare di elettricità in mezzo a tutto questo bagno di sangue, distruzione ed esodo della popolazione, si tratta – credetemi – di una calamità cronica indescrivibile. Avete bisogno di ricaricare il telefono e il laptop, seguire le notizie, connettervi al mondo, lavare i vestiti che si accumulano da tempo, far funzionare il generatore per la circolazione dell'acqua, per non parlare del frigorifero e di tutto il cibo che va a male.
Non abbiamo avuto l'elettricità per 72 ore, tranne che per tre ore durante le quali stavo dormendo, ed è stato così a partire dai frequenti bombardamenti della sola centrale elettrica di Gaza e dalla mancanza di rifornimento di carburante. Perciò la maggior parte del vostro tempo, energia e sforzi sono dedicati ad assicurarvi gli elementi più basilari (elettricità, cibo, acqua, carburante, ecc.) che dovrebbero essere disponbili e dati per garantiti.
È un privilegio non essere stati ancora ammazzati dalla macchina da guerra di Israele? Questa è una delle tante domande esistenziali che ci si potrebbe porre. Ho sentito  parecchie persone dire che stiamo morendo anche noi, ma in maniera diversa. Come a dire: «Stiamo morendo molto lentamente. Ci stanno uccidendo molto lentamente». Attualmente la gente di Gaza viene massacrata sia dalla macchina israeliana che dalla morte lenta. Stiamo sopravvivendo in condizioni durissime e la parola «sopravvivenza» viene largamente usata nelle nostre comunicazioni.
 
Eid a Gaza
Dopo un mese di digiuno, non ho visto né le solite celebrazioni né gli esuberanti preparativi. Di solito si comprano nuovi vestiti, vari tipi di dolci e nocciole, e giocattoli per i bambini.
Le strade, i negozi e i supermercati sono sempre affolati e pieni di gente. I genitori di solito portano i bambini a visitare i parenti, a giocare nei campi da gioco e nei pochi parchi-gioco attrezzati in maniera semplice, a mangiare al ristorante e a trascorrere una serata estiva in spiaggia. 
Questa volta i genitori stanno piangendo i loro bambini scomparsi, i bambini stanno urlando per i loro genitori morti, e la gente sta ricordando i propri parenti morti oppure telefonando a quelli ancora vivi che stanno in ospedale o nelle scuole UNRWA (Agenzia delle Nazioni unite per il soccorso ed il lavoro dei profughi). Lo spostamento di massa continua attraverso Gaza con oltre 215.000 palestinesi, quasi un quarto di milione, che ora cerca rifugio nelle scuole UNRWA, secondo l'Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari – per non menzionare le decine di migliaia di palestinesi che hanno trovato rifugio in case di parenti ed amici altrove a Gaza.
Tuttavia, in mezzo a questo insopportabile ed inspiegabile dolore, le donne nelle scuole hanno deciso di preparare insieme i celebri biscotti con i datteri dell'Eid, insegnando ai loro figli cosa significano l'adattabilità e la vita, e mandando un potente messaggio di sfida e di caparbia esistenza al patetico mondo.
L'unico argomento di conversazione era l'attuale barbara offensiva, le sue caratteristiche e le sue implicazioni. Abbiamo condiviso le storie tragiche e l'intollerabile situazione di come sono stati massacrati parenti ed amici. Zio Mohammed ha parlato dei cadaveri dei martiri che sono ancora sotto le macerie del villaggio di Khuza, ad est di Khan Younis, perché lo staff medico è stato avvisato di non entrare nel villaggio per prendere i corpi decomposti.
Zio Moner ha menzionato il vicino che ha ricevuto una telefonata per far evacuare all'istante la sua casa. Non appena ha riappeso il telefono e si è precipitato fuori casa, un aereo da guerra lo ha ucciso con un missile diretto. Mio cugino Abed ha commentato con angoscia: «Non avrebbe dovuto rispondere a nessuna telefonata. Il suo cellulare avrebbe dovuto essere spento, se sapeva d'essere ricercato dagli israeliani. Stanno usando i segnali dei cellulari per localizzare i luoghi esatti di quelli che vogliono colpire. Non ricordate che questa è la stessa maniera in cui hanno cercato di uccidere Mohammmed (nostro parente) nell'assalto del 2012?».
Nel frattempo Nima, la moglie di mio zio, ha ricevuto una telefonata. Ha lasciato il suo bimbo sul mio grembo e si è messa a passeggiare in corridoio mentre rispondeva ansiosamente alla chiamata. Due minuti dopo ha parlato di sua cugina incinta che è stata estratta morta dalle macerie. Ha aggiunto: «Hanno udito un movimento dentro il suo ventre e quindi lo hanno aperto per togliere il feto. Ora è in cura intensiva e le sue condizioni sono molto gravi. I dottori dicono che potrebbe morire per via della mancanza di ossigeno durante la nascita». Sono stati espressi diversi punti di vista relativi all'opportunità di aprirle o meno il ventre.
Rawaa, moglie dello zio, ha parlato del solo bimbo sopravvissuto della famiglia Al-Batsh, la cui intera famiglia di 18 persone è stata spazzata via. Diceva: «Mentre la gente stava cercando la famiglia Al-Batsh sotto le macerie, un uomo ha trovato questa bambina rimasta misteriosamente incolume a parte qualche piccola ferita. L'uomo ha insistito per tenerla con sé dicendo che era stato lui a trovarla e che era un dono di Allah».
Mio fratello Mohammed ha raccontato ciò che era accaduto a quattro suoi amici rimasti uccisi insieme nel nostro quartiere. Ricordo la sua reazione nel ricevere la notizia. Ha iniziato a colpire istericamente pareti e coperte esclamando: «Ieri Abdullah stava mangiando con me. Gli era piaciuto il dessert fatto da mamma e mi ha chiesto di dargli la ricetta. Abbiamo fatto visita al nostro amico in ospedale Mohammed (colpito da un missile israeliano che gli ha causato gravi bruciature e una gamba spezzata. Ora si trova in terapia intensiva). Come si può morire così giovani? Aveva solo 28 anni! Chi si prenderà cura di sua moglie e dei suoi due figli?».
Col cuore pesante, ho ricordato anche il mio collega Abdullah, 22 anni, noto per il suo pronto sorriso ed i buoni rapporti con gli amici, ucciso nel massacro di Al-Shajaeya il 20 luglio dalle forze militari israeliane. Aspirava a diventare un avvocato internazionale dei diritti umani perché desiderava – come diceva sempre – «mostrare i crimini e le violazioni della legge da parte di Israele».
Alle 5 del pomeriggio ci siamo recati a far visita a mia nonna che vive a 400 metri di distanza dalla nostra casa. Abbiamo potuto vedere le strade danneggiate e le case completamente distrutte. Non si sarebbe detto che un tempo erano case se non fosse stato per i resti sparpagliati di vestiti e cose.
Abbiamo raggiunto la casa di mia nonna. L'abbiamo salutata con un augurio: «Buon Eid. Che tu possa stare bene ogni anno». Predominava lo stesso argomento, tranne che in alcuni piacevoli momenti quando abbiamo tentato di fare i dispetti ai bambini dei nostri zii e zie e giocato con loro.
Un'ora dopo bussavano alla porta. Era mia zia Sumia con i suoi tre bambini. Era pallida, non diceva una parola, non ci ha salutato e non ci ha neppure guardato. È andata direttamente in stanza. Mia zia vive nel campo per rifugiati di Al Burji ed ha abbandonato la sua casa fin dall'inizio dell'invasione di terra. Siccome sembrava tranquilla la mattina di quel primo giorno di Eid – i droni non lasciavano il cielo, pensava – la zia era andata alla sua casa a prendersi un po' di cose ed a vedere suo marito ed il quarto figlio. Mentre era là, Al-Burji è stata pesantemente bombardata. Nel correre all'esterno, poteva vedere le scie dell'artiglieria sopra la sua testa. Una donna l'ha afferrata e portata in una casa vicina finché non hanno visto un taxi che andava a Dair Al-Ballah. Abbiamo provato a farle dire qualcosa. Ha pronunciato poche parole. Non è riuscita a vedere suo marito e il quarto figlio. Non è riuscita nemmeno a prendere qualcosa.
Poco dopo abbiamo sentito che i combattenti della resistenza palestinese hanno ucciso cinque soldati israeliani e che le forze israeliane hanno bombardato l'ospedale di al-Shifa così come un campo sportivo vicino alla spiaggia esattamente dove alcuni bambini stavano giocando e cercando di creare i loro momenti felici di Eid, uccidendone almeno 10 in un colpo solo; il numero dei martiri era così salito a 28, nel solo primo giorno di Eid al-Fitr. 
Tento di chiarirmi le idee su come il mondo possa ripetere a pappagallo «il diritto all'autodifesa di Israele» mentre Israele bombarda ospedali e scuole uccidendo civili, la maggior parte dei quali bambini, e chiamare la resistenza palestinese «azioni terroristiche» mentre i combattenti della resistenza uccidono esperti soldati. È noto che quando Israele perde qualche soldato, come rappresaglia il suo esercito mira a massacrare i civili. 
Verso le 18.30, salutiamo nostra nonna e andiamo. Tutta le gente per strada si affretta a fare ritorno a casa. È possibile leggere l'orrore sulle loro facce, nel modo in cui i loro occhi scivolano da destra a sinistra e negli sguardi incessantemente rivolti al cielo per ispezionarlo e sondarlo. In meno di mezz'ora, è difficile vedere qualcuno per strada. Silenzio. Assenza di ogni voce umana. Lanci di artiglieria. Droni.
Gaza sta sprofondando nell'oscurità a causa del taglio mortale dell'elettricità. Sento il petto pesante. Non riusciamo a vedere nulla tranne i razzi di Israele che illuminano il cielo e non udiamo nulla a parte il rumore delle bombe che esplodono ed il ronzio dei droni sospesi, come vespe. Da ieri, il loro rumore è il più potente dall'inizio dell'offensiva. 
Dopo aver provato più volte a chiamare un amico,  dato che non c'era copertura di rete, gli ho chiesto se anche lui sentisse lo stesso forte suono. Ha detto: «Sì, Ayah. Sembra come se avessero ordinato un drone per ogni abitante di Gaza. Forse è l'inizio di qualcosa di buono, offrire a ciascuno di noi un aereo speciale per viaggiare invece di attraversare Rafah». Entrambi, come migliaia di palestinesi, abbiamo perso i nostri voli lo scorso giugno poiché non potevamo attraversare l'Egitto.
 
Il giorno dopo
Il mattino seguente l'Eid siamo stati svegliati tutti presto dal rumore dei bombardamenti di artiglieria e delle sirene di ambulanze. Lo Sheikh dalla moschea vicina annunciava che il nuovo martire era una bambina di nove anni. Era l'ultima di una famiglia che stava cercando di lasciare la propria casa, ma lei non era stata abbastanza veloce. Lo Sheikh ha chiesto alla gente di unirsi al Salat al-Janazah, la preghiera funebre islamica, ed ha aggiunto «Stiamo combattendo uno Stato che non conosce la santità della vita umana né quella del sangue dei bambini, delle donne e degli anziani. Non è solo Israele che ci sta uccidendo; è il mondo intero. Tuttavia Gaza ha portato onore e orgoglio all'intera umanità. Lo stesso Netanyahu ha ammesso che “stanno affrontando un nemico risoluto”. Sì, stiamo combattendo per la nostra dignità. Resisteremo».
Dieci minuti dopo eravamo alla finestra, come al solito, e osservavamo il funerale della martire con centinaia di uomini che procedevano urlando «Allah Akbar... Allah Akbar... I martiri sono i prediletti di Allah...».
Un'ora dopo abbiamo ricevuto una telefonata sulla linea di terra dall'esercito israeliano che ci chiedeva di evacuare la nostra casa perché l'esercito di Israele «si preoccupa della nostra salvezza» affinché «quello che è accaduto a Al-Shajaeya non accada a noi». Era uno dei messaggi registrati che l'esercito israeliano manda di continuo alla gente di Gaza. Abbiamo ricevuto questo messaggio già cinque volte. Ci chiedono di scappare via da qua mentre loro chiudono strettamente le frontiere. Aprite le frontiere ed io andrò a Haifa a piedi.
Ogni qualvolta eravamo senza speranza o iniziavamo a piangere per la vita a Gaza, mamma diceva: «Abbiamo cresciuto i nostri figli perché Israele li uccidesse! Abbiamo edificato e costruito le nostre case perché Israele le annientasse! Non possiamo arrenderci a questo. Non possiamo permetterci di non avere speranza. Dobbiamo sopportare la sofferenza e stare con la resistenza. Con tutti coloro che stanno morendo, per noi e per voi, per vivere con dignità». Il che significa che ogni giorno ci svegliamo a Gaza per dire: «Noi stiamo bene a Gaza, come va la vostra coscienza? Il mondo si sveglia?».
 
[29 luglio 2014]