Intempestivi

Il ricatto

«Piuttosto la vita che quei prismi senza spessore
anche se i colori sono più puri

Piuttosto che quell’ora sempre coperta

che quelle orribili vetture di fiamme fredde

Che quelle pietre fradicie
Piuttosto il cuore a serramanico

Che questo stagno mormorante

Che questa stoffa bianca che canta e nell’aria e nella terra

Che questa benedizione nuziale

che unisce la mia fronte a quella della vanità totale
Piuttosto la vita»
 
Così cantava un poeta ateo del nostro mondo occidentale contro questa vita squallida, misera, noiosa, meschina, questo «stagno mormorante» in cui imputridiamo giorno dopo giorno. Imputridiamo, sì, ma da esseri che respirano, non sotto forma di cadaveri. Privi di sogni e di desideri, ma ancora con un alito di "vita". E la mente brucia e il cuore scoppia al pensiero di quanto accade in Siria, di quanto accade a Gaza, di quanto accade in Libia, di quanto accade nell'altra parte del pianeta, quella sbagliata. A questo massacro immane e quotidiano, a questo orrore talmente assoluto e senza scampo da rendere quasi relativo ed accettabile quello a portata delle nostre tasche e dei nostri schermi.
Qui si sopravvive, ci si trascina fra bollette da pagare e frigo vuoti da riempire? E di cosa ci lamentiamo, dato che là si crepa nella peggiore delle maniere? Cosa darebbero, laggiù, pur di essere al nostro posto, comodamente alienati davanti alla televisione, o in fila in autostrada, o preoccupati solo di sbarcare il lunario? Ed infatti è proprio questo che molti di loro vorrebbero: essere al nostro posto. Ovvero con innumerevoli luoghi dove inginocchiarsi in santa pace a pregare e ringraziare l'autorità, divina o terrena che sia. Non è forse così che si vive, qui nella parte giusta del pianeta?
Loro muoiono, noi viviamo: evviva la democrazia! Loro muoiono, noi viviamo: che bello andare a lavorare! Loro muoiono, noi viviamo: per fortuna il supermercato è ancora aperto! Loro muoiono, noi viviamo: gloria al nostro Dio, così indulgente da non pretendere più sanguinose crociate! Loro muoiono, noi viviamo: sono iniziate le vacanze — ammettiamolo, davvero non abbiamo motivo di protestare!
Quale che sia la guerra scatenata da uno Stato, è forse questa la sua più terribile vittoria. Far amare la quiete nelle strade, far desiderare che tutto torni alla normalità, far rimpiangere il grigiore della sopravvivenza. Spingere le sue (potenziali) vittime ad aggrapparsi alle briciole, ad accontentarsi di quei pochi fugaci piaceri che ancora si riescono a strappare. Insinuare quasi l'imbarazzo per ogni desiderio che vada oltre la mera reiterazione di ciò che è (perché ciò che è qui non è davvero, forse non ancora, ciò che è là).
Loro, quelli che muoiono tutti i giorni sotto le bombe, a sognare solo una libertà che permetta di respirare. Noi, quelli che viviamo tutti i giorni in mezzo alle merci, a ritenerci fortunati di possederla già.
Ma quanto è infame la guerra, ogni guerra che non sia quella intrapresa dagli individui per la propria libertà, quando annienta non solo i corpi ma anche ciò che qualcuno chiamarebbe spirito? Quando non solo avvelena il pane, ma brucia anche le rose? Quando accumula cadaveri su cadaveri, ne ostenta le ferite, ne spande il fetore, per poter meglio lanciare il suo ricatto, quello che vorrebbe farci benedire gli aliti e vergognare degli aneliti?
Ma, come diceva un altro poeta, musulmano del loro mondo orientale...
 
«No! Questo mondo decrepito deve diventar giovane ancora,
e una sua pagliuzza dev'essere dura e greve qual monte!
Quel pugno di terra che onniveggente sguardo possiede nel petto
abbisogna di grida impastate di cuore!
Questo vecchio sole, questa vecchia luna camminano senza meta ciechi
stelle nuove ci vogliono per ricostruire il mondo!
Ogni bella fanciulla che mi si presenti allo sguardo
è bella, sì, ma più bella dev'essere ancora!
Iddio mi dice: "Così è, e tu non dir più parole!"
Ma risponde l'uomo: "Così è, ma altrimenti deve essere, e meglio!"»
 
[3/8/14]