Miraggi

La cattiva novella

Carl Einstein
 
Nel 1921 Carl Einstein riesce a portare il teatro davanti ad un tribunale con la pubblicazione dell'opera Die Schlimme Botschaft (La cattiva novella) — di cui pubblichiamo pochi estratti — dove mette in mostra una acerba critica dei costumi e dell'ipocrisia dell'epoca in chiave antireligiosa. Incriminato per blasfemia, Einstein verrà processato e condannato a pagare una multa di 15.000 marchi in quello che sarà ricordato come l'unico processo per "vilipendio alla religione" nella Repubblica di Weimar. Ma questo è nulla in confronto all'enorme scandalo in tutto il mondo intellettuale ed accademico che Einstein solleverà tre anni dopo, nel rifiutare la prestigiosa cattedra offertagli dal celebre Bauhaus, rimanendo così fedele alle sue parole: «Sempre da rifiutare le obbligazioni di un certo ambito».
 
***
 
Gesù ed il sorvegliante
 
Il sorvegliante (dandogli un colpo sulla nuca) — Avanti, contro il muro.
Gesù — Mi rinchiudi?
S. — Che altro?
G. — Perché rinchiudi i vivi come se fossero morti?
S. — Come?
G. — Non provi disgusto a rinchiudere una cosa viva? Una cosa viva che appassisce.
S. — Un criminale.
G. — Esistono i criminali?
S. — Che?
G. — Uccidimi, ma non entro in cella.
S. — Sei pazzo.
G. — Non ce la faccio più ad ascoltare giorno e notte il via vai dei detenuti. Non ce la faccio più a udire i gemiti dei sognatori. Non ce la faccio più ad avvertire il pianto furioso di chi non dorme più dalla fame. Non ce la faccio più a cogliere il riso singhiozzante dei folli per il dolore. Non ce la faccio più a veder gettati nel fango coloro a cui sono state spezzate le ossa. Non ce la faccio più a sentire i torturati che vengono bruciati. Non ce la faccio più a sentire l'assassinio degli uomini che tornano dall'interrogatorio, su per le scale. Non ce la faccio più a sentire il massacro nei cortili di coloro che vengono chiusi in un angolo. Non ce la faccio più a sentire l'ansimante borbottio di chi asciuga le chiazze di sangue. Non ce la faccio più a percepire il silenzio fino al tentativo di fuga.
S. — E tu volevi salvarli tutti.
G. — Uccidimi, ma non rinchiudermi. Dopo aver visto fino a che punto gli uomini possono arrivare, preferisco morire subito.
S. — Là.
G. — Tu rinchiudi gli uomini, gli altri attaccano gli uomini e li trascinano. Non contenti di condurli verso il giudice, ammazzano i poveri sul cammino della prigione. Se ci arrivano mezzi morti, i magistrati pensano giorno e notte a come renderli più disgraziati possibile. Si fanno leggi con cui gli ignoranti e i poveri vengono fatti a pezzi. Perché le leggi proteggono i ricchi e i potenti.
S. — Qualcuno deve essere arrestato, altrimenti i delatori potrebbero esistere? Qualcuno deve essere accusato, altrimenti gli accusatori potrebbero vivere? Qualcuno deve essere ucciso, altrimenti i carnefici potrebbero vivere? Qualcuno deve essere rinchiuso, altrimenti cosa farei io? I ricchi e i sapienti si lasciano rinchiudere ed uccidere?
G. — La macchina è costruita e vuole funzionare. Le persone che rinchiudono e uccidono sono deboli. Amano molto più la macchina degli uomini. Voi prendete i deboli, i forti non si lasciano prendere. Voi prendete i coraggiosi, più forti dei codardi, i codardi non si mostrano. Voi prendete i sofferenti, essi soccombono per primi sotto l'accusa e si sentono sempre colpevoli a causa del loro dolore.
S. — Noi non domandiamo chi rinchiudiamo. Agiamo in base ad un ordine.
G. — Voi vedete gli ordini in maniera più distinta rispetto ad uno sventurato? Chi ti comanda?
S. — Lo Stato.
G. — Chi è lo Stato? Sei tu lo Stato, o i funzionari che ti comandano?
S. — Tutti, tutti.
G. — Anche quelli che tu rinchiudi, anche quelli che vengono ammazzati? Questi non sono il popolo, uomini, e lo Stato ammazza maggiormente il popolo. Lo Stato si regge penosamente in piedi sulle mura delle prigioni. Lo Stato ti costringe a rinchiudere uomini che non conosci. Se oggi ti disgusta tenere rinchiusi degli uomini, appartieni ancora allo Stato? Lo Stato rinchiude uomini che per miseria non possono credere allo Stato. Io sopporto di essere un morto vivente. Perché non amo la vita. Ma i morti si lamentano, non sopporto di udir gemere la loro morte lenta. Voi rinchiudete le persone perché vivono e voi, voi siete morti stecchiti. Amate le mura delle vostre prigioni, amate vedere la schiena delle persone che devono voltare la faccia contro il muro. Amate prendere il volto vivo dell'uomo e nasconderlo nelle maschere. Poveri volti. Voi morti, restate accovacciati attorno a volti di morti che sussultano ancora.
S. — A tutti coloro che sono qui seduti, ai miserabili e agli incatenati, hai promesso loro la liberazione. Tu stesso, un miserabile, un incatenato, hai parlato bene, ma li hai liberati?
G. — Ho mostrato loro la vita autentica al di là di questa vita.
S. — La vita non è tale da non riuscire ad immaginarne un'altra?
G. — La vita è così spaventosa che bisogna credere in un'altra al di là delle cose, per dimenticarla.
Un prigioniero – Noi vediamo la nostra vita solo in una cella. Come si può immaginare ancora un aldilà senza celle? Le mie gambe sono abituate a misurare il cortile interno, e il cortile è abituato ai miei piedi. I miei occhi sono abituati a misurare i muri, e i muri sono occhi. I miei sogni sono abituati a vagheggiare catene e lacrime. L'aldilà sono io, è la mia vita precedente che si disgrega e si esaurisce rinchiusa. È il nostro aldilà. Se tu ci ordini un simile dolore, costringendoci a credere nell'ignoto, sei come i giudici e i sorveglianti che ci rinchiudono.
G. — Tu mi accusi? Mi tormenti?
P. — Lo abbiamo dimenticato. Non possiamo accusare nessuno.
G. — Allora cosa?
P. — Soffriamo.
G. — E poi?
P. — Nulla.
G. — Si può scegliere questo nulla? Ci si può liberare?
P. — Si può solo fare violenza, la liberazione stessa è un atto di violenza.
G: — Allora si soffrirà sempre.
P. — Sempre.
Il prigioniero canta
La grazia è un angolo di cielo perduto
La grazia è l'aria senza odore di fango
La grazia è una coperta in inverno
La grazia è essere malati
La grazia è il martirio del giudice
La grazia è l'insulto gridato dal sorvegliante
La grazia è conoscere la data
La grazia prima di tutto è il sonno
 
Barabba e Gesù
 
Barabba — Dobbiamo usare la violenza. Ci hanno rinchiuso fra muro e grata.
Gesù — Non è tutto violenza?
B. — Chiacchiere. Noi siamo la massa, dobbiamo abbatterli.
G. — Vuoi arrivare all'omicidio?
B. — Alla difesa.
G. — È una parola!
B. — E tu cos'hai fatto? Ci hai diminuito la vita, le hai tolto il suo valore, l'hai resa così amara che la sputiamo e la vomitiamo dolorosamente.
G. — Ho insegnato l'amore degli uomini e del cielo.
B. — Il cielo è la nostra morte. E l'amore, una forza senza volontà.
G. — Ho insegnato.
B. — Tu hai insegnato e li hai violentati tutti con la parola, hai costretto i rabbini e Pilato a diventare assassini.
G. — Ho parlato.
B. — Hai parlato meglio di loro; è per questo che non potevano più lottare con le parole. Adesso ce l'hai con i tuoi assassini?
G. — No.
B. — Perché la legge dà loro ragione di difendersi come possono contro la tua parola acuta e violenta. Molti uomini hai fatto diventare assassini, e anche loro. Insegni e parli agli assassini e a molti che presto saranno uccisi a causa dei tuoi insegnamenti.
G. — Mi getti addosso un mantello di disperazione soffocante. 
B. — Tu ci hai creato disperati. L'azione nasce dalla disperazione.
G.— Dobbiamo lottare per questa vita miserabile?
B. — Siamo stati creati così miserabili che dobbiamo lottare per il fango della terra, per restare in piedi. I poveri non osano lottare per la loro miseria, la subiscono e non è stato dato loro nulla.
G. — Io amo i miserabili che sono il mondo e non possiedono il fango del loro corpo.
B. — Tu ami i poveri perché ami le cose che non sono.
G. — I ricchi non si piegheranno di loro propria sponte?
B. — Gli uomini giudicano in base alla propria vita, in base alla proprietà e in base alla conclusione. Tutto ciò che essi giudicano in base ad una verità, in base a una coscienza che porta al sapere, è un non senso irreale. Gli uomini conoscono nella misura in cui sono costretti dalle cose. Non la riflessione dei ricchi, ma la rivolta vittoriosa dei poveri costringe i ricchi alla consapevolezza. Noi dobbiamo lottare affinché ci si comprenda. Impicca i morti responsabili; lottiamo per il tuo impero millenario.
G. — Morti, morti, il cammino che conduce al paradiso è disseminato di cadaveri.
B. — Sì, Messia sanguinante, e tu sarai il primo.
G. — La miseria è scivolata senza uccidere palesemente; la giustizia si glorifica nell'omicidio.
B. — Il pensiero è un sogno; la deduzione è il massacro.
G. — Come la vostra vita.
B. — Ciò che facciamo e pensiamo è uccidere. Ciò che nasce dall'amore più grande è un greve assassinio. Gli eleganti orpelli delle frasi esplodono sotto il sangue che schizza.
G. — L'insegnamento è una scusa, se ci si aggrappa solo all'insegnamento.
G. — Capisco. Comincia il massacro. Sono stato e sono il primo che verrà abbattuto dall'assassino.
 
II
 
B. — L'autunno sanguina dal tuo mantello e l'ombra del cipresso ti nasconde.
G. — Perché vengo ucciso, ho insegnato l'amore.
B. (lo abbraccia) — Non lo capisci. Sono tutti disgustati. Chi può amare?
G. — Ho insegnato l'aldilà degli uomini, e vengo ucciso.
B. — Curiosità, si vuole vedere come le tue parole si sperimentano in te. Hai voluto prendere il fango della Terra, a tutti noi. Noi ci siamo appiccicati. Siamo atomi del fango. Non confondere la volgarità, non dare sogni che spaventino la nostra volgarità.
G. — Se sono sogni, perché vi spaventate?
B. — Il passato ci occupa per intero, ci ha preso. I poveri soffrono, è per questo che sognano spaventati. I ricchi mandano loro dei sogni.
G. — E a me la morte.
B. — Non vedo. La notte assorbe. Non abbiamo luce. Non vedo più nulla.
G. — Cerca la mia voce. Reggimi Barabba, affinché io stia ancora questa notte con te.
B. — La luna diventa bianca, il ramo si secca, l'ombra scuote il muro.
G. — Lascia, sono stanco.
B. — Sei stanco e vuoi vivere immortale.
G. — Lascia, sono triste.
B. — E avevi insegnato la felicità senza fine.
G. — Non ho insegnato nulla. Si vede quello che accade in me.
B. — Cosa accade in te? Sei crocifisso. Impallidisci, povero messia.
G. — Non rendermi responsabile alla luna.
B. — La luna fredda ti va bene. Ingrassi sotto i suoi raggi.
G. — Lascia, non vengo crocifisso. Io mi crocifiggo.
B. — Non puoi smetterla? Sofista!
G. — Tu non mi credi.
B. — Come può un uomo credere ad un altro?
G. — La morte di un uomo non prova nulla?
B. — Forse a te, non a me. Crederai alla tua morte durante il martirio?
G. — Come vi posso aiutare?
B. — Come a te? Tu muori, gridi, la terra trema nera davanti a te, e la feccia urlante è sdraiata sui letti, le automobili corrono verso il teatro, ed i disperati urlanti pendono dai ganci. Non mi riguarda; soffochi nel fango.
 
Gesù e Paolo in cella
 
Gesù — Paolo?
Paolo — Vuoi scappare?
G. — Fino ad ora mi hai lasciato solo.
P. — Ho voluto donarti al dolore acuto dell'abbandono affinché tu percepisca la divinità. Ti ho spinto nel dolore affinché tu non senta il rigore della morte; ti ho immerso nell'onda del martirio affinché tu ti faccia carico ancor più dei nostri peccati.
G. — Con la mia morte, non fate peccato?
P. — Vuoi scappare.
G. — Sì.
P. — Non devi.
G. — Muori dunque, se occorre morire.
P. — Sei troppo debole per elevare la roccia della conoscenza. Si crede a te, non a me, è colui a cui si crede che deve morire.
G. — Perché?
P. — La fede nei viventi disincanta e stanca. Il vivo è soggetto al peccato come noi.
G. — Paolo, voglio partire. La prigione mi ha confuso le idee. Voglio scappare, da te, da tutti.
P. — Vuoi sottrarti al tuo destino? Fai attenzione, ho pagato i sorveglianti perché stiano ben attenti a te.
G. — Hai noleggiato l'occhio che guarda attraverso la porta.
P. — Quest'occhio è ben pagato e vede bene. So che Giuda, quel codardo indeciso, vuole liberarti. Coloro che vacilleranno moriranno di vigliaccheria.
G. — Perché hai spinto Giuda a vendermi?
P. — La fede è iniziata, la tua vita è conclusa.
G. — E mi dai ai pretoriani. Restituiscimi a me stesso.
P. — Chi sei tu? E qual è il tuo insegnamento?
G. — Non è nulla se non può esistere senza di me.
P. — Finalmente capisci, non puoi essere senza di esso. Lo so, tu vuoi fuggire. Non fuggirai, non fuggirai, non fuggirai.
G. — Non fuggirò.
P. — Fuggirai?
G. — Non fuggirò.
P. — Dopodomani la porta della tua cella verrà aperta. 
G. — Verrà aperta dopodomani.
P. — Porti il sudario perché prenderai la croce dopodomani, quando si aprirà la porta e andrai sul Golgota.
G. — Prendo la croce e vado sul Golgota.
P. — Verrai crocifisso sul Golgota, la luce della terra scoppierà nei tuoi capelli e tu sarai Dio.
G. — Verrò crocifisso sul Golgota e sarò Dio.
P. — Tu ti liberi e il tuo cadavere va a Dio.
G. — Va a Dio.
P. — Sei sulla croce.
G. — Sulla croce.
P. — Tu eri sempre sulla croce, fin dal primo giorno. Sei sulla croce da così tanto tempo quanto esistono gli alberi. Non esiste legno che non sia la tua croce. Non c'è mai abbastanza legno per le croci perché Cristo esiste in eterno.
G. — Sono crocifisso su tutti i legni per l'eternità.