Brulotti

Carcere e dignità

Farid Bamouhammad
 
Si potrebbe definire la sua vita una «discesa agli inferi». La prima volta che si è scontrato con la legge aveva solo 7 anni. Nato in Francia ma cresciuto in Belgio, Farid Bamouhammad si è conquistato fin da ragazzo il soprannome di «Farid il Pazzo» per via del suo comportamento ribelle ad ogni norma e ragionevolezza. Arrestato più volte per vari reati, fra cui l'omicidio e il tentato omicidio ai danni degli stupratori della sua compagna, per i direttori delle carceri in cui è stato rinchiuso Farid è stato il «detenuto più ingestibile e pericoloso del paese». Durante gli oltre 20 anni trascorsi dietro le sbarre, spesso nelle sezioni di isolamento, è stato trasferito 167 volte. Negli ultimi anni, alla notizia del suo arrivo, i secondini entravano in sciopero per chiedere il suo allontanamento.
Farid Bamouhammad è stato rilasciato in libertà provvisoria lo scorso dicembre per motivi sanitari. In segno di protesta contro le condizioni di detenzione che gli venivano imposte, tali da spingere l'ipocrisia dei tribunali a riconoscergli un risarcimento simbolico, aveva intrapreso da alcuni mesi uno sciopero della fame e della sete che lo aveva condotto sull'orlo della morte. Secondo alcune fonti dell'amministrazione penitenziaria belga, sarebbe il primo prigioniero in sciopero della fame ad ottenere tale misura. Nonostante le proteste del Ministro della Giustizia belga, subito intervenuto per far revocare il provvedimento, Farid è tuttora libero.
 
Durante tutta la durata della mia detenzione, sono rimasto con questa voglia di vendetta e di odio nei confronti degli stupratori di mia moglie. Questa rabbia era rafforzata dal cambiamento di mentalità dei detenuti. Prima, uno stupratore non avrebbe mai osato uscire in cortile perché sapeva che sarebbe stato pestato dagli altri detenuti. Una volta i detenuti avevano un certo codice d'onore; certi delitti non potevano essere accettati.
Per quanto mi riguarda, mi ritrovavo all'improvviso con detenuti che non avevano la mia stessa mentalità. Non avevo nulla in comune con loro.
In prigione, per la maggioranza dei detenuti, ci sono due generi di «stupratori» e quindi due atteggiamenti diversi: il detenuto belga il cui obiettivo sono soprattutto i bambini, e questi sono i pedofili. Mentre gli stranieri attaccano e stuprano più spesso le donne e gli adolescenti. È questo che viene percepito dai detenuti.
Se un detenuto per «reati di moralità» belga esce in cortile, sarà inevitabilmente massacrato e linciato dagli altri detenuti. Viceversa, se si tratta di un detenuto per «reati di moralità» straniero, potrà passeggiare senza timore di rappresaglie. Questi detenuti stranieri conoscono spesso altri detenuti, il che li protegge. Per questi detenuti è la donna, la vittima, ad essere una «puttana»! Per quanto mi riguarda, che un detenuto sia belga o straniero, uno stupratore resta uno stupratore, qualsiasi sia la sua razza. Mi disgustano.
Gli stupratori stranieri, quando si ritrovano insieme in prigione, formano piccoli gruppi e attaccano altri detenuti per una catenina d'oro o altro. 
Le guardie non intervengono mai. Guardano aspettando che la rissa finisca. È più facile entrare in cortile per raccogliere un detenuto mezzo intontito che separare una muta di giovani detenuti particolarmente eccitati!
Mi sono spesso battuto contro questa decadenza e questa ingiustizia. Talvolta solo, talvolta con l'aiuto di altri detenuti, giovani o più vecchi, quelli che malgrado l’incarcerazione hanno conservato una qualche dignità ed etica.
Alcuni detenuti per fatti di moralità trovano altre maniere per proteggersi. «Comprano» altri detenuti. Offrono loro denaro o droga in cambio di protezione. Ho visto pure con i miei occhi, nella prigione di Namur, un detenuto grande e grosso che proteggeva un pedofilo in cambio di rapporti sessuali con sua sorella!! Sono rimasto a bocca aperta!
I detenuti per fatti di «moralità», gli infami, gli ipocriti ottengono un lavoro molto più rapidamente di chiunque altro. In generale vengono trattati meglio degli altri detenuti perché sono tranquilli e non danno problemi durante la loro detenzione.
L'omosessualità in carcere è nascosta e uccide a causa della vergogna che suscita. L'omosessualità esiste, certo, ma è meno frequente di quanto si possa immaginare. È soggetta a battute, anche da parte di quelli che la praticano con grande discrezione.
È sanzionata e condannata dalla direzione, il che è del tutto paradossale e contraddittorio dato che è possibile comprare preservativi allo spaccio della prigione! [...]
In attesa del mio processo, sono stato trasferito nella prigione di Verviers. Volevano sbarazzarsi di me in quella di Forest. Bisogna dire che sia la sincerità che la testardaggine non sono molto apprezzate in una prigione. [...] 
Prima il regime carcerario era fisicamente e moralmente più duro. Tuttavia mi sembrava più sopportabile grazie alla solidarietà e al rispetto fra detenuti. C'era poco traffico di droghe pesanti. Inoltre, all'epoca, questo traffico era mal considerato e accettato. I detenuti più vecchi erano particolarmente rispettosi e realisti.
I «movimenti» pacifici erano più frequenti, sia per ragioni umanitarie che per ragioni legate agli abusi di potere.
Le liberazioni condizionali così come vengono praticate oggi non avrebbero mai potuto verificarsi prima. In effetti i detenuti sarebbero subito insorti. La possibilità di avere una televisione ha calmato ma anche abbrutito i detenuti. Ricordo i tempi in cui in cella c'era solo la radio; i detenuti mi sembravano molto più coscienti e vivi.
Le prigioni sono diventati luoghi in cui la droga circola in quantità.
Il 90% dei detenuti si rifugia nella droga o i farmaci in attesa d’essere scarcerati. Questa situazione soddisfa ovviamente sia le guardie che i direttori delle carceri. Finché sono drogati, i detenuti sono calmi, non ci sono sommosse, meno problemi, cosa che facilita il lavoro del personale penitenziario.
Ho sentito questa constatazione con le mie orecchie provenire dalla bocca di un direttore di prigione. [...]
Per quattro anni sono stato detenuto in «regime speciale», quattro anni di solitudine, di persecuzione, di rabbia e di violenza... Ho conosciuto molti detenuti che non hanno retto e che sono diventati folli a causa di questo tipo di detenzione. Ciò che rende folli sono le umiliazioni costanti, la solitudine, la mancanza d'amore e di comunicazione. Ho conosciuto certi detenuti che sono diventati completamente paranoici. Mi ricordo soprattutto un detenuto che aveva passato diversi mesi con me in regime «speciale». Malgrado il regime carcerario molto rigido, eravamo relativamente vicini. Alcuni anni più tardi l'ho incrociato di nuovo. Il suo sguardo era completamente vuoto e non mi ha nemmeno riconosciuto. Come si può non diventare folli o violenti quando si rimane rinchiusi per lunghi anni 24 ore su 24 in una cella? Il contatto umano era proibito. Solo le visite dietro un pannello blindato erano ammesse. Non c'era quindi modo di toccarsi, di stringere a sé coloro che si ama, di giocare con mio figlio, di sentirlo e di abbracciarlo. Ciò è stato molto duro per mia madre. Quanti bambini sono stati privati così del contatto fisico col proprio padre o la propria madre? Perché punire questi bambini? Esistono altri mezzi per punire.
Per proteggersi in parte da questa tortura, alcuni si rifugiavano nei propri sogni, fantasmi, pensieri. In diversi vi si sono perduti! Anch'io vivevo nella mia bolla, ma mi sforzavo ogni giorno a riprendere contatto con la realtà, anche se era una realtà di sofferenza.
Tutti questi avvenimenti non mi hanno spezzato, né reso folle. Al contrario, mi hanno insegnato che la mia anima appartiene solo a me. Solo uno spirito ribelle o un uomo con un carattere forte può sfuggire alla logica carceraria che rende folli o incapaci.
È l'odio che mi ha permesso di conservare la testa sulle spalle. Stavo male, lo sentivo, ma non lo mostravo mai.
Da quando sono diventato un uomo, non ho più potuto accettare tutto ciò che ho sopportato fisicamente e moralmente. Ho dovuto battermi per essere compreso. La violenza su di me non serviva a niente; al contrario, mi faceva rivoltare ancora di più.
A poco a poco, il personale penitenziario l’ha capito e mi ha lasciato tranquillo.
L'ultimo pestaggio di cui sono stato vittima è avvenuto nel 1988, nella prigione di Lantin. Da allora, non mi sono più lasciato fare. Per numerosi anni alcune guardie mi hanno aggredito in diverse maniere e mi hanno provocato, sperando in un gesto di ribellione da parte mia. Moltissime volte ho dovuto controllarmi, inghiottire il mio odio e la mia rabbia. Alla fine, non ne sono stato più capace. Non potevo più accettare i soprusi quotidiani. Ho giurato a me stesso che mai più mi sarei lasciato umiliare, pronto a battermi. Preferivo perdere i denti e prendere colpi piuttosto che perdere la mia dignità ed il mio amor proprio.
Ho come l'impressione di essere stato costretto per tutta la mia vita ad essere violento al fine di difendermi e proteggermi dall'universo che ho conosciuto. È un mondo a parte e senza scrupoli.
 
[Farid le Fou... Fou d'Amour, 2008]